Al Teatro Brancaccio di Roma, per le feste, il nuovo travolgente musical di Colombi: bentornata Lorella!
di Ilaria Faraoni
L’esuberante Maurizio Colombi è di nuovo alle prese con un musical per famiglie: questa volta si tratta di Rapunzel, una delle fiabe trascritte nell’Ottocento dai fratelli Grimm, conosciuta in Italia anche come Raperonzolo. Lo spettacolo, presentato da Luigi e Alessandro Longobardi, direttore artistico del Brancaccio, segna il tanto atteso ritorno, sulle scene teatrali, di Lorella Cuccarini, nel ruolo di Madre Gothel. Un nome di richiamo, certamente, ma che riunisce in sé talento, capacità e preparazione, serietà professionale e quel carisma che non si può acquisire: ci si nasce, e fa brillare, e infatti la Cuccarini brilla.
Lo spettacolo convince a primo impatto: energia, freschezza, velocità, qualità artistica e assenza di banalità scenica sono i primi elementi che saltano agli occhi appena si inizia ad assistere al musical.
Ma partiamo dall’inizio: il testo. In locandina si legge: “Liberamente tratto dalla fiaba dei fratelli Grimm”. In realtà con quest’ultima ha pochissimo in comune: giusto i nomi della strega e della protagonista, la segregazione di quest’ultima nella torre – a causa di un patto tra Gothel ed il padre della ragazza – ed i lunghi capelli di Rapunzel, nell’originale neppure magici, usati come mezzo per accedere all’edificio. La storia del musical prende quasi tutto, invece, dalle numerose invenzioni della recente versione Disney.
La novità principale dello spettacolo diretto da Colombi, è quella di aver trovato una giustificazione alla malvagità di Madre Gothel, già presente in nuce, ma molto diversamente, nella storia dei Grimm, dove tutto partiva dal furto, ai danni della strega, dei ravanelli coltivati nel suo giardino.
Nel musical, Gothel è la sorella maggiore della Regina: è stata privata della successione al trono a causa della sua salute malferma e allontanata perché dedita agli studi alchemici intrapresi per cercare un rimedio alla sua condizione. Quando le si chiede di rinunciare al suo fiore magico, fonte di salute, di eterna giovinezza e di bellezza, per salvare sua sorella morente, ne vorrà in cambio la bambina. Il potere dei capelli di Rapunzel, pari a quello del fiore, farà sì che Gothel la terrà sempre accanto a sé, impedendole qualsiasi contatto con il mondo esterno, fino al giorno in cui, l’arrivo dello scanzonato ladro fuggiasco Phil, cambierà tutto.
Lo spettacolo è molto cinematografico, a partire dal logo del titolo – proiettato in caratteri scintillanti durante l’ouverture – e dalla presentazione di tutti i personaggi che faranno parte della storia, che nascono, in animazione, dal tratto di una matita e si colorano via via, accompagnati dai rispettivi nomi.
L’allestimento scenico di Alessandro Chiti è stilisticamente coinvolgente. Non è semplicemente funzionale alla storia, anche se assolve egregiamente tale compito, ma conquista anche per un valore a sé. C’è differenza tra una bella scenografia e una scenografia artistica: quella di Chiti appartiene al secondo caso. L’elemento predominante, che incornicia l’arco scenico e ritorna anche negli elementi mobili, è un intreccio vegetale stilizzato: che siano rami o, più simbolicamente, rovi, è lasciato all’interpretazione. La cornice può ricordare vagamente il sapore di una vetrata tiffany, dove le sottili linee di piombo contornano e uniscono i disegni creati dai vetri, e infatti tale elemento prende colori diversi di volta in volta, assorbendo quelli delle luci di scena, spesso usate – dal lighting design di Alessandro Velletrani, in funzione psicologica: Gothel, per esempio, è spesso caratterizzata dalla luce rossa.
D’effetto e tutt’altro che banale anche il movimento delle scenografie, che non segue il tradizionale uso dei girevoli, ma inventa qualcosa di più particolare.
Altro elemento vincente è lo studio dei movimenti dei singoli personaggi operato dalla coreografa Rita Pivano, che non si limita perciò a coreografare i momenti di ballo vero e proprio, ma a dare impronte diverse, nette e subito identificative ai caratteri. In questo gioco, accattivante e ben riuscito, molto è puntato, ovviamente, proprio sull’effetto cartoon esasperato.
E visto che la chiave di lettura di tutto lo spettacolo è proprio quella del cartone animato, che cartone animato sia fino in fondo: ecco perciò l’interessante soluzione di alcune sequenze create grazie all’uso di filmati dove gli attori, con un particolare effetto grafico, sembrano vere e proprie animazioni, ed il punto di vista varia da quello esterno a quello soggettivo, il tutto condito da un effetto tridimensionale come quello della boscaglia, tanto per fare un esempio.
Proiettati su un velatino, come nel precedente musical Peter Pan, sempre diretto da Colombi, spesso gli elementi tridimensionali dei filmati, cedono il posto, mentre si solleva il sottile telo, all’elemento scenografico reale corrispettivo, senza soluzione di continuità.
Sempre per il discorso cartoon, l’altra particolarità, che avvicina il teatro al cinema, è l’uso delle musiche e dei rumori di scena, eseguiti dal vivo da Davide Magnabosco, che accompagnano i movimenti degli attori; per fare un esempio pratico si possono citare i suoni dei pugni. Anche tale elemento era già presente in Peter Pan e aggiunge sicuramente dinamicità e comicità all’azione, anche se in Rapunzel l’espediente, a primo impatto, sembra usato un po’ troppo in abbondanza. Come si dice: less is more.
Parlando di Magnabosco si arriva alle musiche, inedite, composte da quest’ultimo insieme ad Alex Procacci e a Paolo Barillari. Ognuno si è ritagliato un proprio spazio con un genere ben preciso: il primo si è occupato dei pezzi più sinfonici, il secondo di quelli più corali e vocalmente all’avanguardia, l’ultimo di quelli più folk.
Nell’insieme i brani risultano ben distribuiti ed ogni spettatore potrà scegliere e lasciarsi trasportare dal genere musicale che gli è più congeniale. Ad unificare il tutto, evitando che i diversi stili stridano, ci pensano gli arrangiamenti di Magnabosco che ha curato anche la direzione musicale. Un brano di Gothel spicca un po’ troppo per essere costruito sul sound e sul ritmo di La pelle nera.
Le liriche sono di Maurizio Colombi, Giulio Nannini e Federico Del Vecchio.
Al gusto personale dei singoli spettatori si rimettono le incursioni nella contemporaneità: citazioni musicali (Rose rosse, Papaveri e Papere, Margherita, Casetta in Canadà, Tulipan, Fiorin Fiorello, Proposta – Mettete dei fiori nei vostri cannoni) o altri riferimenti ai giorni nostri come il rap, l’hip hop e, addirittura, il Moonwalk. Ad alcuni tutto questo darà molto fastidio, altri invece si divertiranno ancora di più, anche se si potrebbe togliere qualcosa anche qui.
I costumi di Francesca Grossi richiamano, nelle fogge e nei colori, quelli disneyani di riferimento.
Ottimo il ritmo scattante generale dello spettacolo, così come ci si aspetta da Colombi, anche se un po’ troppo lungo risulta il finale del primo atto, con tutta la scena alla Locanda del Lupo.
Dulcis in fundo il cast: di Lorella Cuccarini, tra l’altro in forma smagliante, si è già parlato a inizio articolo. Ha saputo costruire una cattiva “da favola”, in tutti i sensi. La sua è una presenza scenica che si fa sentire forte e diverse sono le sfumature del personaggio che può esplorare, comprese quelle più sensuali in un numero studiato apposta per metterla in risalto. Ma non mancano anche le parti più comiche e quelle un po’ più fantasy, con l’uso di effetti magici e movenze che li accompagnano da manuale. Il grande senso del ritmo, da ballerina qual è, anche a livello interpretativo, unito ad un’autoironia fondamentale per affrontare un ruolo del genere, fanno di lei una Gothel perfetta. Il suo è uno dei personaggi più caratterizzati anche fisicamente e vocalmente, fino al modo di articolare la parole, anche se questa costruzione risulta molto più evidente all’inizio e va normalizzandosi verso la fine, forse volutamente, visto che il personaggio avrà poi una catarsi inedita di “miyazakiana” memoria.
Che dire? Finalmente di nuovo in teatro, Lorella: bentornata!
Alessandra Ferrari, Rapunzel, abituata ad altri generi, sorprende in questo. Vocalmente molto forte, è una bomba anche a livello interpretativo, perché riesce a conferire al personaggio quella carica vitale incontenibile propria già del cartone animato e che tutti si aspettano di ritrovare anche sulla scena: comunica l’entusiasmo, la gioia, l’ingenuità, l’irrequietezza, la determinazione ed il conflitto interno tra il voler realizzare il suo sogno e il dispiacere per la disubbidienza alla “madre”. Impresa ardua, riuscita in pieno.
Giulio Corso, Phil, è un’altra scoperta in questo particolare genere. Anche lui irrefrenabile, un cartone animato catapultato sul palco quando deve essere sopra le righe, intenso quando la parte lo richiede.
La coppia spacca, anche a livello di ritmo, un termine che torna più volte in questo articolo, ma si tratta di uno degli elementi fondamentali di Rapunzel e quindi è giusto sottolinearlo in più occasioni. Del resto Maurizio Colombi è maestro nel conferire tempi serrati ai suoi spettacoli; e sa scegliere gli artisti giusti per ottenere quello che vuole.
Da citare anche gli irresistibili fiori, rigorosamente invasati e posizionati su una mensola, interpretati da Alessandra Ruina e Martina Gabrielli (Rosa e Spina) ed il Polifemo di Maurizio Semeraro, che si fa notare tra i poco raccomandabili frequentatori della locanda, addolciti dall’arrivo di Rapunzel.
Il resto dell’apprezzatissimo cast, sprizzante energia: Goffredo Maria Bruno, re/brigante – Barbara Di Bartolo, regina/locandiera – Lorenzo Grilli, brigante (Igor)/cantastorie – Donato Altomare, brigante (Milord)/segugio – Ezio Domenico Ferraro, brigante (Gamba di Legno)/guardia reale – Alfonso Capalbo, brigante/guardia/druido – Giovanni Mocchi, capitano/ brigante – Filippo Grande, brigante/guardia reale – Maria Chiara Centorami, cortigiana/guardia – Vanessa Innocenti, Rapunzel bambina/popolana – Eleonora Peluso, popolana.
Il tutto è arricchito dagli effetti speciali di Erix Logan e dagli effetti aerei di Max Martinelli.
Lo spettacolo, seppure può sembrare un po’ più rivolto ad un pubblico di ragazzi rispetto ad altri “family show”, così come li si vuole chiamare, è assolutamente godibile anche dagli adulti, soprattutto da quelli che hanno voglia di sognare un po’ e di ridere in modo sano; non mancano poi bei messaggi da tenere a mente ad ogni età. E comunque, varrebbe la pena vederlo anche solo per il cast e per l’allestimento.
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Qui il video di presentazione della conferenza stampa:
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