MY FAVOURITE THINGS
di Ilaria Faraoni
Titolo: Kiss me Kate
Anno: 1948 – Debutto a Broadway: 30 dicembre 1948 presso il New Century Theatre (dopo le anteprime allo Shubert Theatre di Philadelphia)
Musiche e liriche: Cole Porter – Libretto: Sam e Bella Spewack – Produttori: Lemuel Ayers e Arnold Saint Subber – Coreografie: Hanya Holm – Regia: John C. Wilson – Interpreti principali: Alfred Drake, Patricia Morison, Lisa Kirk, Harold Lang.
Nell’intervista si prende in considerazione il revival londinese del 2001, reperibile in Italia in dvd, presentato da Richard Price e Chris Hunt – Produzione Teatrale: Roger Berlind e Roger Horchow – Regia teatrale e adattamento per la televisione: Michael Blakemore – coreografie: Kathleen Marshall – Scene: Robin Wagner – Costumi: Martin Pakledinaz – Luci: Peter Kaczorowski – Supervisione musicale: Paul Gemignani – regia Chris Hunt – Prodotto da Richard Price e Andy Picheta – co-produzione con Thirteen/WNET New York, NHK and SVT – Interpreti principali: Brent Barrett, Rachel York, Nancy Anderson, Michael Berresse.
Nell’intervista si fa cenno anche alla versione cinematografica del 1953 – Casa di Produzione: MGM – Produttore: Jack Cummings – Sceneggiatura: – Dorothy Kingsley – Direzione musicale: André Previn e Saul Chaplin – Orchestrazioni: Conrad Salinger e Skip Martin – Coreografie: Hermes Pan – Regia: George Sidney – Interpreti principali: Kathryn Grayson, Howard Keel, Ann Miller, Tommy Rall. Nel cast anche Bob Fosse.
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Trama
Una compagnia di attori, capitanata dal regista Fred Graham, mette in scena La bisbetica domata di Shakespeare in versione musicale. Accanto al vanesio Fred, che interpreterà Petruccio, ci sarà la sua ex moglie, Lilli Vanessi (in procinto di risposarsi) nei panni di Caterina, la bisbetica. L’attrito tra i due viene accresciuto dalla presenza di Lois Lane, Bianca, nuova fiamma di Fred; Lois in realtà è segretamente fidanzata con Bill Calhoun/Lucenzio, ballerino e giocatore d’azzardo impenitente che, dopo aver perso una bella somma a poker, ha firmato un IOU (una “cambiale pagherò”) a nome di Graham.
Dopo l’ennesimo litigio, l’amore sembra riaccendersi tra Lilli e Fred sull’onda dei ricordi, ma un mazzo di fiori destinato a Lois ed arrivato nelle mani di Lilli, scatena l’ira dell’attrice. La questione privata si riversa sul palco, davanti al pubblico, a suon di schiaffi, gomitate e calci da parte di Lilli e sculacciate da parte di Fred. Graham si vedrà costretto a ricorrere all’aiuto dei due gangster che lo assillano per riscuotere il debito di gioco, per trattenere Lilli nello spettacolo: l’attrice, infatti, ha fatto i bagagli subito dopo la chiusura del sipario del primo atto.
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Curiosità
- Nel 1958 fu girata una ripresa televisiva di Kiss me Kate (attualmente reperibile in dvd in Italia) con i due protagonisti originali che lo avevano interpretato in teatro nel 1948: Alfred Drake e Patricia Morison. Se si confrontano alcune scene si noterà la fedeltà del film della MGM del 1953 all’impostazione ed agli interpreti teatrali. Ecco, come esempio, il video di I hate men interpretata da Patricia Morison e la versione di Kathryn Grayson https://youtu.be/mR2Pom1BMBk. E ancora si possono confrontare Where is the life that late i led? nelle interpretazioni di Alfred Drake e di Howard Keel
- Tra i brani di Kiss me Kate ce n’è uno intitolato Tom, Dick or Harry. “Tom, Dick and Harry” è un modo di dire che affonda le radici nei secoli scorsi (usato anche da Shakespeare nella variante “Tom, Dicke and Francis”): viene usato con il significato di “chiunque” ed è anche un equivalente del nostro “Tizio, Caio e Sempronio”. Tuttavia c’è un film del 1941 della RKO con Ginger Rogers intitolato Tom, Dick and Harry, dove la protagonista è indecisa tra tre pretendenti che in sogno le ripetono a rotazione «Sposa me, sposa me, sposa me!», lo stesso invito che rivolgono a Bianca i tre pretendenti in Kiss me Kate, nella canzone in questione: «Marry me, marry me, marry me!». Come se non bastasse, nel film, Ginger Rogers va a teatro a vedere proprio un’edizione de La bisbetica domata. Chissà che in Kiss me Kate non ci sia una citazione voluta di quella pellicola.
- Il film della MGM fu girato in 3D con un sistema molto avanzato, messo a punto dalla casa di produzione stessa, il Metrovision Tri-Dee, anche se poi prese il sopravvento la proiezione in 2D. Nel 2015 è stata messa in commercio, purtroppo non in Italia, la versione 3D in bluray. Da notare, anche vedendo il film in due dimensioni (disponibile nel nostro paese in dvd), tutti gli accorgimenti, soprattutto durante i balletti, per esaltare l’effetto tridimensionale che sarebbe stato ottenuto con gli occhialini. Basti notare foulard, guanti e braccialetto lanciati verso la macchina da presa da Ann Miller, o i piedi di Tommy Rall che sembrano bucare lo schermo e arrivare dritti sullo spettatore.
- Da notare il gioco di specchi che usò nel film il regista George Sidney, che fa pensare da un lato alla vanità degli attori, dall’altro sembra rimandare al meccanismo del teatro nel teatro: si crea una sorta di identificazione, un parallelismo tra i protagonisti nella vita “reale” ed i loro corrispettivi shakespeariani, gli uni specchio degli altri (vedere in particolare i brani Too Darn Hot e Wunderbar.
- Nel film, una delle ballerine delle tre coppie di From this moment on, è Jeanne Coyne, l’assistente di Gene Kelly. La Coyne aveva sposato Stanley Donen, braccio destro di Kelly, nonché coreografo e regista di celebri pellicole. Terminato da tempo il matrimonio con Donen, Jeanne sposò poi nel 1960 anche Gene Kelly, che aveva divorziato tre anni prima dalla moglie “storica”, la ballerina e attrice Betsy Blair: la loro unione era durata sedici anni.
- Per una curiosità su Carol Haney, altra assistente di Gene Kelly che in From this moment on danzava con Bobbe Fosse, rimandiamo a quanto spiegato da Altea Russo nell’intervista che segue.
N.B. Per leggere la presentazione e lo scopo della rubrica My Favourite Things cliccare QUI.
Si ringrazia particolarmente Altea Russo per la disponibilità infinita ed immediata, anche in tarda ora, nonostante gli impegni con la sua scuola di danza a Napoli.
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Altea, perché hai scelto di parlare di Kiss me Kate?
Perché sono molto attratta dai cosiddetti backstage musical, quelli dove c’è il teatro nel teatro, come A Chorus Line, 42nd Street, Il Fantasma dell’Opera: spettacoli dove si possono vedere gli attori in scena e fuori scena. Kiss me Kate mi piace in modo particolare perché ci sono ironia, comicità, numeri musicali pazzeschi e quella vena di romanticismo che non guasta mai e che mi conquista sempre. Per me è uno dei migliori, tra i backstage musical.
Tra l’altro la parte di teatro nel teatro è molto ampia…
Sì, infatti gli interpreti devono essere bravissimi, altrimenti è uno spettacolo controproducente, molto difficile da portare in scena. I personaggi che sono sul palco, nella finzione, sono quelli shakespeariani e quindi non semplici da interpretare; poi vediamo i personaggi “della vita reale”: gli attori quindi, oltre a dover cantare e ballare, devono anche saper passare velocemente dal tono “di scena” a quello del “dietro le quinte”.
Vero. Ci vuole un’abilità particolare. Nel film forse lo stacco tra recitazione cinematografica e recitazione teatrale è più facile; nel musical gli artisti devono portare in scena due tipi differenti di recitazione teatrale.
Sì, ed è poi quello che succede anche in Cabaret [nel quale Altea Russo interpreta la parte di Fräulein Schneider – Compagnia della Rancia, NdR]. Ci vogliono dei grandissimi attori, come del resto nel caso dello spettacolo montato da Saverio Marconi. Nel Kiss me Kate che stiamo prendendo in considerazione ci sono veramente degli ottimi performer, dei talenti eccezionali; i ballerini sono fortissimi, sanno cantare divinamente e recitare benissimo.
Come si lavora sulla recitazione quando si deve affrontare il teatro nel teatro?
Bisogna lavorare sull’autenticità, sulla verità delle intenzioni, delle battute. Se devo recitare la parte di me stessa, ovviamente, non userò la stessa timbrica che userei per interpretare un altro personaggio: non sarà una recitazione sopra le righe, non darò la stessa enfasi. In Cabaret, per esempio, abbiamo fatto un lavoro certosino sulle intenzioni, sul modo di portare la voce.
Il lavoro fatto con Saverio è stato veramente durissimo, perché voleva tutto molto vero, autentico: la stessa cosa succede in Kiss me Kate. Se pensiamo a Rachel York/Lilli Vanessi quando è in camerino e riceve i fiori o a Rachel York/Lilli Vanessi quando interpreta Kate de La bisbetica domata sul palco, siamo davanti a due personaggi completamente diversi. Da un lato la York lavora sulla verità, quasi come si trattasse di una recitazione cinematografica, dall’altro usa una recitazione teatrale, con tutta l’enfasi che il personaggio richiede.
Devo dire che adoro Rachel York! È camaleontica: l’ho vista fare la classica bionda un po’ sciocca, Norma Cassady, in Victor Victoria accanto a Julie Andrews e Crudelia De Mon. Poi, in Kiss me Kate, come se niente fosse, passa da So in love a I hate men.
Ho apprezzato molto anche il suo “Never” nella canzone del titolo, Kiss me Kate: lo declina vocalmente in tutti i modi possibili!
Lì noti che potenza vocale e che padronanza tecnica abbia, mentre quando canta So in love, dove potrebbe strafare, è veramente delicata, sublime; non esce dalla partitura, non fa quegli svisi che magari si concedono le dive: è pulita.
A proposito di So in love… ti confido che sono legatissima a Kiss me Kate perché quel brano ce lo cantavamo mio marito Felice [Casciano, NdR] ed io all’inizio della nostra storia. Per molto tempo è stata la nostra canzone.
Poi c’è il brano di Lois Lane, Always true to you (In my Fashion): lo cantavo ai provini, dieci anni fa.
Anche la canzone che apre lo spettacolo, Another Op’nin’ Another Show ti confesso che mi viene in mente e la canticchio tutte le volte che sono in tournée, quando apro il portellone dell’ingresso artisti ed entro sul palco, con i tecnici che sono lì a montare. Un’altra città, un’altra prima… Quel numero lo adoro, lo guarderei cinquecento volte al giorno perché è reale, è proprio così che succede! Vedi una collega che arriva in ritardo, un’altra che arriva con le borse, la sarta che si guarda intorno per capire dove posizionare i vestiti per i cambi scena, dietro le quinte… E dopo le settimane passate come dei pazzi a chiederci se ce la faremo a mettere in scena lo spettacolo, tutto per magia diventa possibile e debuttiamo: i miracoli degli artisti!
Diversi spettacoli hanno un’apertura sullo stesso tema, da Accendiamo la lampada di Garinei e Giovannini a I Promessi Sposi di Guardì e Flora…
Perché secondo me l’idea di vedere cosa succeda dietro le quinte, come siano gli attori quando entrano in un teatro, è affascinante.
Il musical di Kiss me Kate debuttò per la prima volta nel 1948: come trovi la rappresentazione del mondo dello spettacolo, oltre all’opening? Oggi è ancora attuale? Ti ci riconosci?
Sì, ci sono molti meccanismi del dietro le quinte validi ancora oggi. Basti soltanto pensare alla storia amorosa tra il capocomico e la ballerina che fino al giorno prima lavorava in un night e non ha assolutamente idea di quello che deve fare in un teatro e che, di nascosto, ha un altro fidanzato, quello vero; oppure pensiamo all’ex moglie di lui o ai fiori che vengono consegnati alla persona sbagliata…
C’è anche un’altra scena che è molto reale, quella ambientata fuori, davanti all’ingresso artisti: Too darn hot, con quel grande balletto della compagnia. Ti posso dire che durante il riscaldamento di Frankenstein Junior [dove Altea interpretava Frau Blücher – Compagnia della Rancia, NdR], spesso capitava che Paola Ciccarelli, capo balletto, mettesse una musica e noi cominciassimo a improvvisare qualcosa: a volte abbiamo anche filmato quei momenti, venivano fuori dei numeri da ridere.
A parte la storia surreale con i gangster, c’è molta verità in Kiss me Kate: gli attori mentre recitano credono in quello che stanno rappresentando, perché sono cose che accadono realmente.
C’è anche il ruolo di Hattie, la sarta, che canta l’opening: è molto autentico ed è un bellissimo personaggio, quasi materno nei confronti di Lilli, ma con un caratterino forte che le permette di gestire tutti gli attori.
Nella versione cinematografica alcuni personaggi, come quello di Hattie, non hanno trovato spazio.
Sì, probabilmente proprio per il gioco del teatro nel teatro: personaggi del genere si legano più alla realtà teatrale. Ci sono delle figure, come l’aiuto sarta, che sono fondamentali negli spettacoli ed hanno voluto sottolinearle appositamente. Una figura del genere è importante quasi quanto il direttore di scena, perché se dimentica lei un cambio, la prima attrice si trova nei guai.
Comunque la butto lì, ma secondo me Kiss me Kate è un musical che potrebbe essere portato in scena ancora oggi. E mi piacerebbe lo facesse la Compagnia della Rancia.
È sempre stato il mio sogno vederlo in scena in Italia, in grande stile. Aspetto che si realizzi, prima o poi.
Magari! Anche perché le musiche di Cole Porter sono meravigliose e sfidano il tempo e lo spazio. Pensiamo anche a Il grande Gatsby: ancora oggi vengono riproposte, non saranno mai fuori moda; sono musiche eterne!
Proprio per questo mi sono sempre meravigliata che in Italia ci siano stati degli allestimenti di Kiss me Kate, ma siano passati un po’ in sordina.
Sarebbe bellissimo se lo mettesse in scena una grande produzione, in modo che possa girare. E poi ripeto: ci deve essere un grande cast.
Abbiamo già parlato di molte canzoni: approfondiamo il discorso sulle musiche di Cole Porter?
Quello che ho notato è che prima di Kiss me Kate, Porter aveva scritto tanti altri musical, addirittura credo, più di una ventina, però erano concepiti come contenitori delle canzoni, servivano per promuoverle e magari si poteva dimenticare anche il titolo dello spettacolo, ma rimanevano in testa i brani musicali come, ad esempio, Night and day o Let’s do it.
Kiss me Kate è uno spartiacque tra quello che accadeva prima e quello che è successo dopo: le canzoni diventano il proseguimento della trama, funzionali e necessarie alla storia ed alla descrizione del personaggio. Prima forse solo Show Boat e Porgy and Bess avevano fatto questo tipo di operazione.
I brani sono tutti molto belli ed uno dei punti di forza è che spaziano in molti generi musicali e forme espressive. C’è la canzone più da operetta come Wunderbar, poi c’è il pezzo cantato dai due gangster, Brush up your Shakespeare, che è tutta un’altra cosa, o ancora c’è un brano come So in love… Credo sia una commistione voluta, per coinvolgere un pubblico più vasto.
Un altro aspetto che trovo molto interessante è la centralità che si è data a Shakespeare, che culmina poi nella canzone dei gangster, Brush up your Shakespeare, appunto. È importante che anche in un musical possa entrare Shakespeare.
Ed io credo che anche Kenneth Branagh si sia molto ispirato al genere di lavoro che si fa in Kiss me Kate: se si pensa a Nel bel mezzo di un gelido inverno o a Pene d’amor perdute, se la citazione non è voluta… quasi ci siamo. Ci sono molti riferimenti.
È un meccanismo che funziona. È come portare Shakespeare al pubblico che non va a vedere le tragedie o le commedie servendoglielo in una maniera accattivante, come avvolto in una carta da regalo.
Concordo. E magari vedendo Kiss me Kate, chi è a digiuno di Shakespeare, va a leggere almeno La bisbetica domata. Se si raggiunge questo scopo è un grande valore aggiunto.
Sì, assolutamente.
Parliamo delle coreografie di Kathleen Marshall. Mi ha colpito in modo particolare il quadro musicale Bianca dove Michael Berresse/Bill Calhoun si arrampica sulle strutture…
Sì, è bellissimo, quasi un numero da atleta. Anche Kathleen Marshall, come coreografa, passa da uno stile all’altro: c’è il tip tap, poi c’è il numero che fa Nolan Frederick su Too darn hot… Sono generi completamente diversi. Quando recitano Shakespeare la coreografia si adatta allo stile della bisbetica domata; quando si passa al dietro le quinte, i ballerini si muovono con una fisicità e con uno stile più attuali, più vicini alla realtà di quegli anni. E se vogliamo citare anche Bob Fosse, ci sono molti richiami al suo stile: guardiamo come usano le mani, come usano i fianchi, le isolazioni. Too darn hot sembra quasi coreografata da lui.
L’ho notato anch’io. Sarebbe interessante vedere anche le coreografie originali dello spettacolo teatrale, quello del 1948. E ricordiamo che Bob Fosse è presente nel film della MGM del 1953.
Sì e a proposito del film, c’è una curiosità. Fosse ebbe l’occasione di coreografare il suo pezzo in From this moment on. La sua partner era Carol Haney. Vedendo la coreografia che aveva montato Fosse un coreografo, Jerry Robbins, rimase folgorato e lo raccomandò per The Pajama Game, che fruttò a Fosse il Tony Award per le coreografie. Per lo spettacolo, Fosse chiese di avere in scena la sua partner di Kiss me Kate. Ma proprio il giorno in cui nel pubblico c’era un produttore della Warner Bros, la povera Carol Haney si ruppe una caviglia e furono costretti a mandare in scena la sostituta. Il produttore della Warner fu talmente colpito dalla cover che, seduta stante, le fece firmare un contratto: era Shirley McLaine. Magari la sua carriera sarebbe esplosa ugualmente, ma se la Haney non si fosse rotta la caviglia…
La stessa cosa successe tra Gene Kelly e Fred Astaire. Fred Astaire si era ritirato dalle scene ma Gene Kelly dopo tutto il lavoro preliminare, si ruppe la caviglia il giorno prima delle riprese di Easter Parade e chiamò Fred Astaire a sostituirlo. Se Kelly non si fosse infortunato, non avremmo avuto tutti i film più noti di Fred Astaire (leggere MANUEL FRATTINI PARLA DI “EASTER PARADE”)
Incredibile! Tornando a Kiss me Kate… qui ci sono attori che interpretano una parte, ma se non ricordo male pare fosse una specie di moda mettere in scena coppie celebri che poi alla fine quasi litigavano per davvero. Inevitabilmente la vita reale si sovrapponeva alle scene recitate. Pensiamo anche a Liz Taylor e Richard Burton…
Sì, infatti ho letto che la storia di Kiss me Kate è vagamente ispirata ad un coppia di celebri attori, Alfred Lunt e Lynn Fontanne (nominata guarda caso anche nel film) che, marito e moglie nella vita, recitarono proprio ne La bisbetica domata, nel 1935.
Ma tornando a Bob Fosse… Parliamo del suo stile partendo dai numeri musicali che lo vedono protagonista nella versione cinematografica di Kiss me Kate del 1953? Tom Dick or Harry e From this moment on.
Quello che mi piace di più è il passo a due, forse perché ho visto raramente Fosse fare dei numeri di quel genere: dà molto spazio alla compagna, per farla uscire bene. Poteva fare dei virtuosismi per mettersi in mostra, invece è generoso; sembra quasi un passo a due d’amore reale. Credo che Fosse abbia lanciato il suo stile proprio in quella coreografia: il modo di usare le articolazioni, le ginocchia in dentro… prima di allora non esisteva niente del genere.
Da quel momento in poi quelle particolarità divennero quasi un vezzo, una sua nota distintiva. Kiss me Kate è uno de primi film che fece come attore, forse il primo. Credo che abbia preso forza dal successo ottenuto con quel film tra critica, addetti ai lavori e pubblico, per poi produrre e portare avanti il suo stile. Ancora oggi, secondo me, non c’è nessuno che faccia coreografie come le sue. Chi le fa, fa delle citazioni o copia lo stile di Fosse, ma nessuno è riuscito a fare qualcosa di altrettanto diverso, unico, privo di altre contaminazioni.
Su Fosse ci sono anche delle leggende metropolitane: quella sull’uso della bombetta, per esempio. C’è chi sostiene che si volesse rifare a determinati artisti e chi, invece, ne attribuisce l’uso alla perdita precoce dei capelli, perché un ballerino calvo non era bello da vedere, all’epoca. Fatto sta che il cappello diventò parte integrante della sua danza. Stessa cosa accadde con i guanti: non gli piacevano le sue mani, quindi le copriva, creando però delle coreografie dove venivano continuamente sottolineate.
Il coreografo del film era il grande Hermes Pan… fu di larghe vedute nel decidere di dar spazio a Fosse…
Infatti! Un altro avrebbe avuto paura, avrebbe pensato che gliene sarebbe venuto un danno, avrebbe detto: «Cos’è questa roba?». Perché i movimenti di Fosse erano a volte anche forti, dissacratori. Fece bene a fidarsi: fece un favore a lui ma anche a noi, che abbiamo avuto un maestro; per molti ballerini Fosse è un punto di riferimento.
Se lo osserviamo quando fa gli stessi passi di Tommy Rall (Bill Calhoun/Lucenzio) e Bobby Van/Gremio sembra un ballerino dei giorni nostri. Van e Rall (che pure trovo eccezionale) si possono collocare in quegli anni, Fosse no.
Sì, infatti è questa la cosa bella: l’attualità delle sue coreografie, che non diventeranno mai superate: Fosse ha istituito un altro modo di comunicare, un’altra lingua; il suo stile non può diventare vecchio perché non è semplicemente uno stile di danza. Fosse, come la musica di Cole Porter, va oltre il tempo e lo spazio e tra venti o trent’anni sarà ancora così.
Tra l’altro, tornando a From this moment on, il pezzo non era nemmeno nel musical originale. Il brano era stato tagliato da un altro spettacolo di Porter (Out of this world) e fu inserito solo dal film in poi. Nella versione teatrale che stiamo prendendo in esame la canzone è stata spostata nel backstage ed è cantata dall’autoritario quanto grottesco fidanzato di Lilli Vanessi. Non la trovi un po’ sprecata? Avrebbero potuto costruire anche lì una grande coreografia…
Forse è stato fatto perché non proseguiva la storia: diventava una sequenza di passi a due più ballettistica che “da musical”. Devo dire che non mi è mancata una coreografia su quel brano, forse perché lo associo al film, mentre per me il musical è un’altra cosa. La versione teatrale è infarcita di numeri pazzeschi, quindi non ci si fa neanche caso. Puoi notare l’assenza perché sai che nel film c’è quella scena, ma lo spettacolo è talmente armonioso ed il mio occhio viene così attratto da tutti gli altri numeri, che sono riempita da altro.
Non riesco proprio fare una critica a questo musical, mi sembra uno di quegli spettacoli perfetti, così come, per esempio, alcune versioni di Jekyll & Hyde.
Hai visto prima il musical o prima il film?
Li ho visti più o meno nello stesso periodo: quando mi entusiasmo per qualcosa vado a cercare e a vedere tutto. Anche per Cabaret è stato così. Non so perché, ma il musical di Kiss me Kate mi piace molto di più, rispetto al film, forse perché lo trovo un po’ antico, anche per come è girato, o perché immagino di farlo: mi vedo in scena a interpretare determinati ruoli [ride, NdR] e quindi vengo attratta più dalla versione teatrale.
Ti piacerebbe di più interpretare la parte di Lilli/Kate o di Lois/Bianca?
No, non ho questa presunzione, non penso di poter avere il carisma per fare Lilli Vanessi: mi piacerebbe molto, ma non ho la bellezza per poter interpretare quel ruolo. La parte di Lois/Bianca sì, potrei farla, ma ormai ho quarant’anni… al massimo potrei interpretare la sarta, Hattie. E la interpreterei anche volentieri, quindi se qualcuno lo mette in scena… [ride, NdR].
Comunque davvero: non vedo una sola ragione per non pensare di portarlo in scena, in Italia.
Infatti: troviamo i fondi e facciamolo fare [ride, ndr]. Come dicevo ci vogliono attori e ballerini molto bravi: anche nel revival di cui parliamo i ballerini sono tutti della vecchia leva, tosti, superano i trent’anni; è gente che sa il suo mestiere e che deve rendere il lavoro che si fa dietro le quinte, sostenere il doppio ruolo…
Poi ci vuole anche un’impostazione lirica per i due protagonisti.
Sì, ma penso che in generale un’impostazione lirica sia sempre un bene. Poi si studia come impostare la voce per un musical, l’emissione del suono… ma l’impostazione lirica salva, è come la base classica per i ballerini: su quella base, poi, puoi fare quello che vuoi, ma la devi avere.
Cosa diresti per convincere i lettori a vedere Kiss Me Kate?
Come attrice, come performer, posso dire che per me Kiss me Kate è un musical che celebra la gioia di vivere e la follia degli attori di teatro, quindi va visto almeno per sapere come siamo dietro le quinte. E poi ci sono moltissimi ingredienti che ne fanno un successo: come dicevo all’inizio l’ironia, il sarcasmo, il romanticismo, i numeri musicali, i performer eccellenti nelle tre discipline… Non si può non vedere almeno una volta. Poi te ne innamori e lo guardi altre quattrocento.