Dall’Italia all’Europa: quando il talento italiano viene riconosciuto all’estero
di Paolo Vitale
Abbiamo intervistato Daniele Carta Mantiglia, uno dei migliori performer italiani che lavorano all’estero. Daniele è noto in Italia principalmente per il suo Romeo nel Romeo e Giulietta di Riccardo Cocciante nel 2006 ed il suo John Darling in Peter Pan nel 2009. Da allora ne è passata tanta di acqua sotto i ponti e Daniele adesso si ritrova scritturato nei i più grandi e importanti teatri in Francia e in Germania.
Ciao Daniele. La tua carriera è davvero una bella storia da raccontare, ma partiamo dal principio: com’è iniziato il tuo percorso artistico nel mondo del musical?
La mia passione per il teatro, in tutte le sue forme, è nata grazie all’Opera. I miei nonni mi ci portavano spesso, sia a Mantova che all’Arena di Verona. È lì che mi sono incuriosito su ciò che accade “là sopra e là dietro”.
Da che io mi ricordi ho sempre amato cantare, ma le influenze iniziali sono state per la maggior parte pop e soul (sono “nato” con Whitney Houston e Stevie Wonder), quindi l’opera mi piaceva -e mi piace ancora- ma come spettatore, non come “cantante”.
Poi con l’arrivo del Notre Dame de Paris ho trovato il mio “mondo ideale”: teatro e musica moderna fusi insieme. Grazie a quest’opera popolare ho così poi scoperto il musical anglosassone ed ho subito realizzato che avrei voluto fare questo di mestiere: non ho mai avuto altre alternative per la mente.
Ho iniziato così a studiare le arti performative molto presto, iniziando con il pianoforte e poi, dopo la scoperta dell’universo del musical, ho voluto intraprendere anche studi di canto, danza e recitazione.
Pochi anni dopo è arrivata la prima vera opportunità e il primo sogno si è avverato: “Giulietta e Romeo” di Riccardo Cocciante come ruolo principale.
Un’esperienza meravigliosa che porto ancora oggi nel cuore, durante la quale ho condiviso quegli anni di adolescenza e crescita artistica con dei colleghi e amici straordinari. Sono stati la mia seconda famiglia e non avrei potuto sperare un’infanzia migliore.
Poi il grande balzo dall’Italia alla Francia. Come sei arrivato ad interpretare il ruolo di Alfred nel Le Bal des Vampires di Parigi?
Ho sempre tenuto d’occhio il sito francese “Regarde en coulisse” (un po’ il nostro Centralpalc.com) per vedere cosa succedeva in Francia. Era un po’ che non trovavo audizioni che fossero realmente adatte a me e dopo la Silvio D’Amico avevo veramente voglia di ritornare sul palcoscenico. Così un giorno mentre stavo navigando sul sito, vedo il bando di audizioni. Avevo visto questo musical qualche mese prima a Berlino e me ne ero totalmente innamorato, soprattutto del ruolo che ora interpreto, “Alfred”. E così è iniziata tutta la fase di selezione (in totale 4 mesi), dalle prime preselezioni via internet alle audizioni vere e proprie a Parigi con il team creativo e Roman Polanski. In totale 4 turni di audizione, finiti il giorno dopo l’ultimo turno di audizioni, quando ho ricevuto la chiamata della produzione che mi convocava in ufficio per comunicarmi che avevo avuto il primo ruolo. È imbarazzante, ma mentre dico questo ancora mi commuovo se ripenso all’emozione che ho provato in quel momento: un misto di gioia pura, soddisfazione e enorme riscatto personale; ovviamente fiumi di lacrime perché davvero, non me lo aspettavo per niente.
Domanda evegreen: come hai fatto con la lingua? La conoscevi già oppure hai dovuto impararla sul posto?
Ho studiato francese alle scuole medie e grazie alla mia professoressa penso di avere incamerato talmente bene la lingua che non mi sono mai trovato veramente in difficoltà. Certo all’inizio mancava qualche vocabolo e a volte non capivo tutto, ma in generale non è stato come un salto nel vuoto. Il mio lavoro si è basato sul pulire il più possibile l’accento italiano per assicurare al pubblico la comprensione del testo. Ho avuto una professoressa di dizione quasi tutti i giorni, alla fine abbiamo fatto un buon lavoro e devo ammettere che vivere e parlare anche quotidianamente una lingua aiuta molto ad evolvere in questo processo.
Rispetto all’Italia quali sono secondo te le maggiori differenze dal punto di vista lavorativo per un performer?
Sarò sincero, non mi interessa essere “politically correct” e dire che è tutto uguale, perché purtroppo non è così e in fondo lo sappiamo tutti che le cose non stanno funzionando benissimo ultimamente (non ovunque, ma in molte situazioni). Premetto che non sono uno di quelli che pensa di stare meglio lontano dall’Italia. Adoro il mio paese e sono fiero di essere italiano, ma sono anche molto obiettivo.
Non parlerò di differenze di salario perché quello dipende dalle possibilità di una società e non tutti hanno il capitale di Stage Entertainment, né dei vantaggi che si possono avere dallo stato francese in quanto artista, perché onestamente servirebbe una rivoluzione per poter fare qualcosa in questo senso, ma c’è una cosa alla base che è differente e che noi in quanto artisti professionisti, produttori e operatori dello spettacolo in genere possiamo prendere in considerazione per cambiare le cose e cominciare a lavorare diversamente (dove necessario, è chiaro).
Intanto si è considerati dei lavoratori veri e propri, non l’ultima ruota del carro di una produzione; nessuno si permetterebbe mai di instaurare un rapporto di lavoro sulla base del fatto che siccome amiamo questo mestiere più della nostra vita stessa, allora siamo disposti a lavorare gratis, aspettare per mesi (o anni) buste paga senza fiatare, sentirsi sottomessi e senza possibilità di chiedere ciò che ci spetta solo perché dobbiamo essere riconoscenti se siamo stati scelti per un ruolo, o perché abbiamo paura che qualcuno ci licenzi o non ci ingaggi per delle produzioni successive. Non serve scendere a compromessi ridicoli o comportarsi da “servitori” di un padrone scortese per poter lavorare e avere la soddisfazione di fare il lavoro per cui abbiamo studiato, per cui ci siamo sacrificati e continuiamo a massacrarci corpo, anima e mente ogni giorno.
In secondo luogo, io ne sono la prova vivente, le audizioni sono fatte in modo molto trasparente e sai che se partecipi ad un casting verrai ascoltato e valutato per quello che sei e che vali veramente e questo genere di produzioni è sempre attento a cercare tra i nuovissimi e non solo tra gli “habitué”. Questo porta maggior ottimismo e stimola l’arista a migliorarsi.
Certo, non dico che qui sia tutto perfetto, ma c’è sicuramente meno “favoritismo” e questo provoca maggior serietà e senso di responsabilità negli artisti che lavorano e maggior possibilità di lavoro per i tanti artisti esistenti. Forse questa minor presenza di favoritismi è anche data dal fatto che ogni volta il team creativo che sceglie gli artisti cambia, a seconda dello show (anche se il team residente di Stage Entertainment è lo stesso), ma sta di fatto che come artista mi sento di dire che c’è più rispetto, più trasparenza e più onesta. Una cosa che dovremmo imparare e comprendere è che se vogliamo essere rispettati, dobbiamo in primo luogo rispettare noi stessi sapendo dire “NO” quando necessario e facendo valere i nostri diritti e la nostra dignità senza paura.
Potrò sembrare pesante, non mi interessa, ma come ho già detto tengo a questa professione e questa arte più di qualsiasi altra cosa e continuerò a difenderla, volesse anche dire non accettare o non ricevere più offerte di lavoro. Ho scelto di fare l’artista non certo per il denaro, quindi per “sopravvivere” posso fare tranquillamente qualcos’altro, ma quando faccio il mio lavoro, questo mestiere, voglio essere soddisfatto e felice.
Che novità hai in programma e che puoi rivelarci per i prossimi mesi?
Al momento sto lavorando parallelamente come performer per Disneyland Paris per un evento che celebra Walt Disney e tutti i più grandi e anziani dirigenti e dipendenti Disney di tutto il mondo.
Dopodiché finito lo show qui a Parigi, rientrerò in Italia per un po’ di vacanze e mi preparerò per trasferirmi a Strasburgo, dove sono stato ingaggiato per la stagione prossima come front man in un Cabaret di varietà (come il Moulin Rouge).
Poi ci sono altri progetti in campo, ma essendo ancora in sospeso e non definiti preferisco aspettare a parlarne.