di Ilaria Faraoni
Manuel Frattini, è tornato a vestire i panni del principe dei ladri della foresta di Sherwood, accompagnato da Fatima Trotta. Al momento dell’intervista, Robin Hood, il musical è in scena al Teatro Brancaccio di Roma, dove lo spettacolo rimarrà fino al 25 marzo 2018. Il tour proseguirà poi ad Aosta (Teatro Splendor), Milano (Teatro Nuovo) ed Assisi (Teatro Lyrick). Cliccare QUI per altre info su Robin Hood, il musical prodotto da Medina e Tunnel Produzioni, con le musiche e le liriche di Beppe Dati, la regia e la riscrittura del testo di Mauro Simone (che abbiamo intervistato – cliccare QUI) e le coreografie di Gillian Bruce.
Manuel, ti era già capitato di riprendere lo stesso ruolo a distanza di anni ma questa è la prima volta che riprendi lo stesso personaggio in uno spettacolo che ha sì le stesse musiche del precedente (Beppe Dati), ma che è completamente diverso. Come ti sei trovato nella costruzione del nuovo personaggio? È stato difficile sganciarsi dal passato e ricostruire tutto daccapo?
Ovviamente la cosa ha tanti aspetti positivi: lo stimolo è sicuramente più grande, anche se tornare in scena con uno spettacolo che hai già fatto è sempre piacevole, come è successo in passato. In questo caso, anche se parliamo dello stesso personaggio, l’allestimento è totalmente nuovo e questa è la parte che, chiaramente, all’attore piace maggiormente. Oltretutto lavorare di nuovo con Mauro Simone alla regia, dopo gli anni di Toc Toc a time for musical – parliamo veramente di tanto tempo fa – è stata un’esperienza: la sua modalità di lavoro è stata affascinante. Mauro è riuscito a creare un gruppo affiatatissimo e a fare dei lavori sul personaggio assolutamente interessanti, nuovi, con tanta consapevolezza che lui stesso ha acquistato negli anni.
In passato avete anche condiviso il palco, in Toc Toc e Pinocchio. È difficile mantenere la gerarchia regista-attore quando c’è anche un’amicizia di lunga data?
Siamo stati molto bravi, in questo senso. Questo è molto bello: c’è un rispetto reciproco tale che va al di là dell’amicizia. Nel momento in cui siamo in una sala prove e stiamo montando uno spettacolo lui, pur continuando ad essere Mauro, è il regista ed io sono totalmente a sua disposizione, come lui lo è per me, senza però confondere i due aspetti. È chiaro che rimane comunque una situazione piacevole perché c’è una conoscenza tale che ti permette forse di arrivare alla persona più facilmente, rispetto a quello che accade con qualcuno che non conosci. Questo vale per entrambi. Però la gerarchia e stata assolutamente rispettata e non c’è mai stato un momento nel quale abbiamo, tra virgolette, “approfittato” della nostra conoscenza per trarne qualcosa.
Per chi avesse visto la prima versione di Robin Hood e non abbia ancora visto la nuova: com’era il tuo personaggio e com’è ora?
Non dirò mai, anche perché non saprei rispondere, che uno spettacolo sia migliore dell’altro: sono due spettacoli totalmente diversi. Innanzitutto io ho una maturità diversa rispetto a quella di 10 anni fa. Poi la scelta del team creativo è stata quella di dare una chiave più legata al family entertainment, e qui mi soffermo e apro una parentesi grandissima: family entertainment non vuol dire “spettacolo per bambini”, vuol dire spettacolo anche per bambini, attenzione! Perché ci sono un’ironia ed una comicità adatte ad adulti e bambini. Lo stiamo scoprendo anche con le matinée, dove c’è un pubblico esclusivamente di giovanissimi: grazie agli spettacoli per le scuole scopriamo che alcune battute e alcune cose non funzionano su un pubblico così giovane, mentre ce ne sono altre che non hanno la stessa resa per un pubblico adulto. Nello spettacolo quindi c’è il giusto equilibrio, è davvero adatto a tutte le età. Lo specifico sempre perché spesso ho interpretato titoli che possono sembrare strizzare l’occhio al pubblico dei più piccoli, ma la gente ha imparato, anche con il tempo, a scoprire che non è così. Questo Robin Hood è molto colorato, non voglio dire che sia vicino alla Disney, perché mi sembra di capire che poi la gente confonda la Disney con lo spettacolo per bambini, ma ricordo che i film Disney sono capolavori che amiamo tutti, dal nonno al nipote.
Sottolineiamo i punti di forza della vostra storia, proprio anche rispetto al film della Disney al quale qualcuno potrebbe pensare.
Sicuramente, al di là della scelta di Mauro di ricordare gli animali del film della Disney, che hanno una precisa identità – ci ha spedito un lavoro molto dettagliato rispetto agli animali cui fanno riferimento i caratteri dei personaggi – sicuramente c’è una verità più umana e meno da cartoon nei rapporti; c’è un giusto mix. Credo che si tratti di un insieme di cose, c’è anche un equilibrio buono con le canzoni. Perché attenzione: non è uno spettacolo inedito per il quale sono stati scritti brani musicali ad hoc; questa è stata una difficoltà che ha dovuto risolvere la regia. È stata mantenuta la colonna sonora precedente, con canzoni che dicevano alcune cose, raccontavano delle situazioni e c’è stata la necessità di contestualizzarle nella storia che stiamo raccontando ora che, anche se è sempre quella di Robin Hood, ha uno spirito diverso. Se devi riscrivere totalmente una partitura, seguendo la chiave che hai voluto dare allo spettacolo, è molto più semplice, perché scegli esattamente cosa dire, come raccontarlo, che arrangiamenti fare. Qui Mauro ha dovuto trovare il giusto modo per inserire le canzoni affinché potessero continuare a raccontare la storia.
Una cosa che mi è piaciuta molto è stata l’insistenza sul concetto di non togliere la vita all’altro, un invito che viene ripetuto ben tre volte da tre personaggi diversi.
Sì, è un messaggio molto chiaro. Non arrivare a togliere la vita ad un’altra persona per risolvere i tuoi rancori, per una vendetta che si deve consumare.
Un altro messaggio di estrema attualità, secondo me, è l’accennare all’esistenza degli invisibili, così come vengono chiamati i poveri, in un brano. Pensa che mi ha colpito molto la storia di una persona del pubblico che a Torino, percorrendo la strada che solitamente faceva per andare a teatro, passava sotto un porticato abitato da clochards; una volta uscito dallo spettacolo, ha rifatto per l’ennesima volta quella strada, ma per la prima volta si è reso veramente conto di quello che aveva sotto gli occhi tutti i giorni e al quale non aveva mai rivolto un pensiero più profondo. Quel brano ha risvegliato alcune cose in quella persona.
Poi ci piace dire che Robin Hood è un supereroe i cui superpoteri sono l’onestà, il coraggio, la lealtà: non dovrebbe essere così, ma sono qualità talmente rare da diventare appunto dei superpoteri.
Prima di interpretare Robin Hood, se pensavi a questo eroe che figura ti veniva in mente tra i due romanzi di Dumas e i film vari? Ed ora, avendolo interpretato, è diverso da come lo immaginavi prima?
Mi è successa esattamente la stessa cosa che mi è successa con altri ruoli. Non ho mai amato Pinocchio, non ho mai avuto una passione particolare per Peter Pan. Sono stati tutti personaggi che ho scoperto e rivalutato proprio interpretandoli. E in ogni occasione, vale anche per Robin Hood, non ho mai avuto come riferimento un film già visto, né sono andato a rivedermi questa o quella versione per trarne ispirazione, malgrado la maggior parte dei lavori che ho fatto siano in realtà già esistenti, basti pensare anche a Sette Spose per Sette Fratelli o a Cantando sotto la pioggia. Non ho mai avuto un’esigenza del genere non per presunzione, ma perché ho sempre pensato che poi potesse condizionare la mia personale visione del personaggio. Quindi mi lascio portare per mano da chi mi guida, in questo caso da Mauro Simone, come in passato da tutti gli altri registi che mi hanno diretto.
Nel musical, Robin è assimilato ad una volpe rossa. Nell’universo animalesco di Robin Hood, Manuel quale animale sarebbe?
Guarda… potrei anche essere un po’ volpe, dentro al corpo di uno scoiattolo.
Giusto: lo scoiattolo vola. Come non pensare a te, che sei un esperto, con tutte le volte che hai volato sul palco?
In realtà pensavo più alle dimensioni e alla velocità (ride, NdR). Mentre la scaltrezza e la furbizia che ha una volpe arrivano con la maturità, attraverso l’esperienza.
Ti sei mai sentito, nella vita, davanti a qualche situazione, un “Principe del nulla” come canti nello spettacolo?
Prima di rispondere, giro a te la domanda. Come leggi quel momento, come ti arriva? Ti faccio l’intervista io (ride, NdR)
Pensando al passato leggevo Principe del nulla come un momento in cui Robin si sentiva rifiutato da tutti e da tutto, perché con quegli alberi che si muovevano e gli andavano quasi addosso, sembrava che anche la foresta gli si ribellasse contro. Qui è un po’ diverso, perché il brano arriva in un momento differente della storia e in un altro contesto. Ma mi sono sempre interrogata sul significato profondo di “Principe del nulla“.
Si potrebbe lasciare, a chi vuole, una libera interpretazione. Per quanto riguarda la domanda, se facciamo riferimento a quella prima impressione di cui mi parli, sì: mi è capitato nella vita. Penso che succeda un po’ a tutti di sentirsi non capiti o fuori luogo, o di credere di non essere “abbastanza” per determinate situazioni. Quindi è capitato ovviamente anche a me, mi succede ancora, poi i contesti in cui accade sono diversi. In maniera significativa, per fortuna, non mi è successo mai, sono sempre le insicurezze a farti sentire non adatto ad alcune situazioni, però c’è una convinzione di fondo che per esempio Robin ha e che sicuramente aiuta a superare quei momenti.
Comunque è vero che Principe del Nulla prende dei significati diversi a seconda di come si svolge il racconto e del momento in cui viene presentata la canzone.
Un commento sulle coreografie di Gillian Bruce: com’è lavorare con lei? Qual è il tuo numero preferito? Ne hai uno di ballo molto impegnativo, dove devi anche cantare mentre ti arrampichi sui bastoni…
Nel numero di Robin Hood, Gillian voleva una cosa atletica, nel limite del possibile. Io ho soltanto parole entusiaste per Gillian, perché ha la capacità di contagiare le persone con l’entusiasmo e con l’energia: ci riesce sempre. Con Robin Hood, Crazy for you e Cercasi Cenerentola ho avuto modo di lavorare con lei dopo un bel po’ di tempo e ho ritrovato lo stesso affiatamento, se non addirittura maggiore. Adoro e stimo moltissimo il suo modo di concepire le coreografie, niente deve accadere senza un senso, ci deve essere sempre una motivazione e al tempo stesso tutto deve essere anche spettacolare. Nel numero che citi, ti ritrovi i bastoni in mano con un perché.
In tutto questo, come dico sempre, sono piacevolmente rassegnato al fatto di avere sempre avuto numeri abbastanza impegnativi anche fisicamente. Poi, rispetto all’anteprima che abbiamo fatto a Napoli ad ottobre scorso, credo e spero che questo numero sia diventato visivamente più fruibile, più agile in tutti i sensi, perché sono riuscito a trovare il giusto equilibrio tra fiato e fatica.
La canzone mi piace molto anche perché Beppe Dati sa che adoro lo swing e che in qualche modo bisogna inserirlo da qualche parte (ride, NdR).
Tra l’altro è il brano dove c’è l’invito a non aver paura. Come sono i versi esatti?
C’è anche una frase che rivolgo a Will, il più giovane della banda: «Bisogna avere coraggio e determinazione»… La canzone dice: «Bisogna vivere senza paure, puntare dritto e andare sempre avanti».
Ecco: al giorno d’oggi, secondo te, in un periodo storico molto difficile, dove siamo spaventati per tutto, qual è la ricetta per non aver paura?
Guarda: bisogna veramente lasciare andare, “smollare” un po’. Ci vuole un po’ di sana inconsapevolezza perché, se veramente ti fai contagiare e condizionare da quello che senti quando accendi la tv, non esci davvero più di casa. Questa cosa ce l’ho un po’ innata, anche perché rifiutandomi di fare l’adulto, faccio quello che va e fa senza timori e responsabilità. Nella giusta dose, bisogna avere un pochino di questa inconsapevolezza, altrimenti non si vive più.
Qual è la scena che ti diverte di più e qual è quella che ti emoziona maggiormente? Dal riscontro che ti arriva dalla sala, sono le stesse scene che fanno più divertire ed emozionare anche il pubblico?
Ritornando al discorso di prima, quando dicevo che Robin Hood è uno spettacolo che è anche per bambini, ma che non è solo per bambini, ma anche per adulti, sto constatando, proprio con le matinée di questi giorni, dove abbiamo il teatro sold out, pieno di bambini, che le due cose non sempre coincidono.
La scena che mi diverte di più è quella dove, per nasconderci dal Principe Giovanni e da Sir Snake, che entrano nella stanza di Marian, Little John si trasforma in un tappeto ed io mi rifugio dietro gli specchi. Accade una serie di cose, ci sono delle battute anche molto “easy”, c’è l’equivoco. Ecco: per esempio quello è un tipo di comicità che a me e agli altri adulti diverte molto; i bimbi in quella scena invece non ridono, non colgono quella finezza, quel gioco, reagiscono molto di più ad altre cose. Questo mi fa capire come alcuni punti centrali di divertimento, come quella scena, siano quasi esclusivamente per un pubblico adulto, mentre altre cose siano fruibili anche dai bimbi.
Per quanto riguarda i momenti più emozionanti, che poi sono anche quelli durante i quali mi devo concentrare di più, uno dei miei preferiti è sicuramente Principe del nulla: chiudere il primo atto così è una bella responsabilità, non è una canzone semplice, però è molto bella, la amo. Poi torno nuovamente sul discorso di Poveri: quello è un momento toccante che arriva anche al pubblico e, fin dalla precedente edizione, il brano è spesso tra quelli che poi la gente ricorda.
Per concludere: un commento o un aggettivo sulle musiche di Beppe Dati
Direi senz’altro: poetiche!
INTERVISTA A MAURO SIMONE PER ROBIN HOOD, IL MUSICAL 2.0
INTERVISTA A FATIMA TROTTA PER “ROBIN HOOD IL MUSICAL 2.0”[divider]Link che potrebbero interessare:
Sito ufficiale di Manuel Frattini: http://www.manuelfrattini.com/it/
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