Dopo aver pubblicato la recensione di Dorian Gray. La bellezza non ha pietà (cliccare QUI) parlando con l’autore dei testi e delle musiche dell’opera, Daniele Martini, disponibilissimo al dialogo, abbiamo pensato di intervistarlo per approfondire qualche punto.
Intervista a cura di Ilaria Faraoni
Daniele, come si è svolto il lavoro di selezione del testo? In base a cosa hai scelto la linea da adottare?
Prima di tutto ho fatto una ricerca sul testo originale di Oscar Wilde e sulla storia della pubblicazione del romanzo, che originariamente era più breve. Wilde dovette inserire dei capitoli descrittivi e discorsivi ma ridondanti e poco utili, per rispettare il contratto con l’editore che prevedeva la consegna di un testo di centomila parole. Ho studiato quindi quali fossero quei capitoli e, anche se sembrano fornire dettagli importanti per la caratterizzazione e l’origine dei personaggi, si nota che la penna vi è corsa con altri obiettivi. Sono convinto che Wilde non avesse bisogno di aggiungere altro a quanto aveva già scritto, perciò ho cercato di rispettare la sua prima versione, tralasciando alcune parti del romanzo.
In secondo luogo, da un punto di vista drammaturgico, ho fatto una scelta mirata a livello di comunicazione. Come giustamente hai analizzato nella recensione, il mio obiettivo non era quello di fare il riassunto del romanzo o di raccontare le cause, proprio per dare uno stimolo, un urto forte, una spallata allo spettatore; per far capire che nella vita a fare la differenza e a portarci, come Dorian Gray, a un’evoluzione, non sono le cause scatenanti, per quanto importanti e interessanti, ma le scelte che facciamo, soprattutto da un punto di vista emotivo.
Ho tralasciato quindi volutamente tutta una serie di meccanismi, di avvenimenti, di “cause”, come il perché Sibyl Vane reciti male proprio quella sera o la morte del fratello che cerca di vendicarla. L’ho fatto non perché tutto ciò non sia importante, ma perché non ho concepito l’opera come una parafrasi, un riassunto o una trasposizione musicale del romanzo. Per questo motivo ho anche cambiato il titolo, che è diventato: “Dorian Gray. La bellezza non ha pietà”. È un “liberamente tratto da”.
Lo spettacolo vuole essere una provocazione, vuol far pensare e riflettere proprio sui contenuti. È vero, non sono presenti alcune parti che avrebbero potuto semplificare forse la fruizione e l’ascolto, ma tenevo maggiormente ai significati più profondi, al perché delle cose. Ho voluto indagare quelle dinamiche che alla fine appartengono a tutti, ed è questa la grandezza del romanzo stesso. Oscar Wilde disse, in un’intervista, che tutti noi in fondo siamo i personaggi del suo romanzo, contemporaneamente e in momenti diversi. Siamo addirittura il ritratto impietoso che ci giudica, che ci dà un ritorno spietato. Ecco il perché de “La bellezza non ha pietà”.
Quindi è da questa considerazione di Wilde che hai avuto l’intuizione di racchiudere tutto in un unico personaggio?
Esattamente, per me è molto importante ed in questo sento di aver rispettato molto Wilde: l’ho trovata la chiave di lettura più bella e contemporanea. Ognuno di noi ha sfaccettature differenti e si può riconoscere, vivendo l’esperienza in prima persona.
Quando scrivo, che sia un’opera d’immaginazione o un rifacimento di un testo preesistente, amo rimanere sugli archetipi fondamentali dell’essere umano: c’è quel bisogno di avere la sensazione di appartenere a tutto e a tutti, un bisogno di universalità. Con questo non voglio spiegare la vita agli altri, me ne guardo bene. A me interessa dare uno stimolo: per me il teatro è un dialogo con il pubblico.
Vorrei approfondire anche la scelta di inserire il doppio di Dorian sulla scena, la sua anima. Qualcuno lo ha definito l’anima buona di Dorian… è così?
Diciamo che le categorie di giudizio e di pensiero non sono interessanti. Probabilmente tutti noi, leggendo il romanzo, abbiamo pensato che all’inizio l’anima di Dorian fosse in qualche modo buona e che si sporcasse poi con quelli che possiamo definire, usando una categoria di giudizio semplice, i suoi peccati. In realtà l’anima è di per sé asessuata, eterea, al di là di ogni categoria. La rappresentazione dell’anima simboleggia il dualismo interiore di ciascuno e il percorso che compie il nostro logos interiore nel porsi di fronte agli eventi della vita, ecco perché non ho parlato delle cause scatenanti: ho inserito una manifestazione fisica del logos interiore. Ho giocato sui contrari; tutto ciò che nel romanzo è fisico, in questa rappresentazione è diventato etereo, impalpabile: non c’è, non esiste. Per questo motivo tutti i personaggi sono dentro un unico Dorian: come disse Wilde, tutti siamo tutto. Per le stesse ragioni Sibyl Vane diventa un velo, diventa musica mentre l’anima, l’unica cosa impalpabile, nello spettacolo per coerenza è stata resa fisica. È un contrappunto.
È interessante anche il momento in cui Dorian sembra ingabbiare l’anima a mano a mano dentro la struttura fatta di rettangoli di varie dimensioni.
Sì esatto. È un parallelismo con il romanzo, quando Dorian comincia a percepire con chiarezza che con le sue azioni e le sue scelte ha intrappolato in qualche modo la sua essenza, rinchiusa come in una gabbia, all’interno del dipinto. La cornice di fatto può essere considerata una gabbia, un contenitore della tela che, di per sé, può anche non avere un limite: si potrebbe stendere una tela su tutta la superficie del pianeta e anche oltre. Lo spazio può non avere fine, ma la cornice sì. Dorian simbolicamente mette in gabbia la propria anima con le proprie scelte, con le proprie azioni. C’è un passaggio molto importante nel romanzo, che ho voluto rispettare: Dorian, all’inizio, non fa esplicitamente un giuramento di carattere mefistofelico, con coscienza, ma mormora il desiderio piagnucolando fra sé e sé, quasi per sbaglio. In un secondo momento, quando si rende conto che lo scambio è realmente avvenuto, decide di usare la situazione a proprio vantaggio.
C’è altro che vuoi sottolineare o precisare?
Dal momento che, come dicevo, non ho voluto fare un riassunto del romanzo, quando ho scritto lo spettacolo una delle preoccupazioni principali è stata che stesse in piedi da sé. Mi sono chiesto: «Cosa accadrebbe se una persona che non ha letto il libro si sedesse in platea?». La risposta è stata che vedrebbe le ossessioni, il logos interiore, le emozioni, le scelte di una persona che può rappresentare ognuno di noi, al di là della trama originale. Ho cercato di prendere i colori fondamentali.
Lo spettacolo ha debuttato nell’estate del 2016 al Teatro La Fenice di Venezia con un’altra regia: è cambiato molto da allora o è rimasto sostanzialmente lo stesso?
È cambiato molto nella sua concezione. Quella versione andava più verso la direzione spettacolare; l’opera ruotava maggiormente intorno all’interpretazione delle canzoni, con una visione un po’ più concertistica, più musical: a me non interessava. Volevo stare invece di più su quelle provocazioni che a te sono arrivate; volevo stare nel teatro. Per me questo è teatro, musicale d’accordo, ma è teatro: un contenitore di contenuti ben diversi. Con Emanuele Gamba, il regista attuale, abbiamo lavorato in questa direzione, per approfondire alcune sfumature, per lavorare sul testo, sui significati, sulla provocazione, sulla condivisione. Soprattutto sulla condivisione.
Le musiche come nascono?
Nascono dal mio bisogno di sottolineare alcuni punti e aspetti che reputavo fondamentali, dilatando il tempo di un discorso interiore del personaggio. La musica ci permette di rallentare il tempo scenico, di dilatare lo spazio. Ho usato il linguaggio musicale per rallentare un po’ il passo in alcuni punti e permettere una digestione più facile dei contenuti.
Nella scrittura musicale ho adottato un linguaggio differente per ogni momento, con la scelta delle linee melodiche, dell’arrangiamento, delle armonie, con il contrappunto, proprio per cercare di avere un’aderenza alla curva drammaturgica.
Esiste un CD o comunque prevedete di farlo? A Roma non l’ho visto…
Sì, esiste un CD che abbiamo preparato proprio in questi giorni: contiene dieci arie scelte, ma per un disguido non è stato possibile metterlo a disposizione del pubblico a Roma; sarà disponibile dalle date di Torino. Poi c’è anche il progetto di un CD completo dell’opera, entro la fine del tour.