MY FAVOURITE THINGS
di Ilaria Faraoni
Titolo: Les Misérables
Anno: 2012 – tratto dal musical di Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil (liriche per la versione inglese di Herbert Kretzmer) basato sull’omonimo romanzo di Victor Hugo (1862)
Casa di Produzione: Working Title Films, Cameron Mackintosh Ltd. Distribuzione: Universal Pictures – Regia: Tom Hooper – Sceneggiatura: William Nicholson, Alain Boublil, Claude-Michel Schönberg, Herbert Kretzmer -Direzione della fotografia: Danny Cohen – Scenografie: Eve Stewart – Costumi: Paco Delgado – Produzione musicale e Orchestrazioni: Anne Dudley – Orchestrazioni: Stephen Metcalfe – Direzione musicale: Stephen Brooker – Coreografie: Liam Steel – Sottotitoli italiani a cura di Fiamma e Simona Izzo.
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TRAMA
Nella Francia delle guerre rivoluzionarie, il popolo è ancora oppresso dalla miseria. Jean Valjean ha rubato un pezzo di pane per sfamare e salvare così il figlio di sua sorella: per questo deve scontare cinque anni di lavori forzati nel carcere di Toulon. La detenzione viene prolungata di altri quattordici anni a causa di un tentativo di fuga. La storia de Les Misérables inizia nel 1815, in piena restaurazione post napoleonica, quando l’ispettore Javert rilascia in regime di libertà vigilata il detenuto 24601: Valjean, appunto. L’uomo, marchiato dal libello che lo identifica come criminale pericoloso, discriminato e abbrutito dalle sofferenze, ruba l’argenteria dell’unico uomo che lo accoglie con umanità e compassione, il Vescovo di Digne. L’evento costituisce la prima svolta per Jan Valjean, che incontra la misericordia divina grazie al Vescovo. Questi, infatti, coprendo Valjean davanti alle guardie e consegnandogli anche i candelieri più preziosi, “compra” la sua anima per Dio, raccomandando a Jean di usare quanto ricevuto per divenire un uomo migliore.
Rinunciando alla propria identità per ricostruirsi una vita, Valjean viene però meno agli obblighi della libertà vigilata e diviene un ricercato sulle cui tracce si pone Javert.
La narrazione successiva segue il percorso di Valjean (ormai un uomo rispettabile e dedito al prossimo) attraverso gli anni, i luoghi ed altri due incontri fondamentali per la sua crescita spirituale: quello con Fantine, del cui destino di malattia e prostituzione egli è responsabile indiretto, e quello con la piccola Cosette, figlia della donna, affidata alla coppia dei poco raccomandabili locandieri Thénardiers. Alla morte di Fantine, Valjean – che ha svelato la sua identità per salvare un uomo innocente (Who Am I?) – fugge portando via con sé Cosette e, cambiando nuovamente nome, diventa per lei un padre: i due trascorrono diversi anni in tranquillità.
Alla storia di Valjean si intrecciano poi altri eventi: l’insurrezione di alcuni focolai repubblicani scatenatasi alla morte del Generale Lamarque, vicino al popolo, repressa nel sangue (la famosa scena delle barricate); il salvataggio, ad opera di Valjean, della vita di Javert, il suo acerrimo inseguitore, caduto prigioniero degli insorti dopo aver tentato di infiltrarvisi; il triangolo amoroso tra Marius (giovane di nobile famiglia che si unisce ai compagni ribelli), Cosette ed Éponine. Quest’ultima, primogenita dei Thénardiers ora caduti in miseria, aiuta Marius, pur essendone innamorata, nella sua relazione con Cosette e sacrifica la vita per lui restando al suo fianco durante gli scontri sulle barricate.
Anche il destino dell’intransigente e assolutista Javert, che si è sempre ritenuto la mano della giustizia divina, è segnato dall’atto di pietà, per lui inaccettabile, operato da Valjean.
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CURIOSITA’:
- Colm Wilkinson, che nel film interpreta il Vescovo di Digne, è stato il primo Jan Valjean dell’allestimento teatrale londinese di Les Misérables (1985); ha interpretato il ruolo anche nella successiva produzione di Broadway (1987) e nel concerto per il decimo anniversario (1995) alla Royal Albert Hall di Londra. (foto 1)
- Fauchelevent, l’uomo finito sotto al carro e salvato da Valjean, è interpretato da Stephen Tate che in teatro, a Londra, ha ricoperto il ruolo di Thénardier.
- Nel romanzo di Hugo, Gavroche è uno dei figli dei Thénardiers (tutti non citati nel musical, ad eccezione di Éponine). Alcune voci non meglio precisate, vogliono che il personaggio sia stato ispirato dal ragazzo del dipinto di Eugène Delacroix: La libertà che guida il popolo.
- Nel film, pur essendo presente già un bozzetto scenografico, sono state tenute, per la loro bellezza, le barricate costruite dagli attori. Si è reso necessario solo fissarle per metterle in sicurezza.
- Per poter girare il film in presa diretta, gli attori cantavano con il solo accompagnamento live del pianoforte, ascoltandolo tramite auricolari ben nascosti. C’era bisogno quindi di un set molto silenzioso e, per questo motivo, sono stati sparsi tappeti ovunque, anche sulle barricate.
- Per le ricostruzioni, la produzione si è avvalsa del Richard Attenborough Stage presso i Pinewood Studios, i più grandi del Regno Unito. Alcuni esterni sono stati girati presso l’Old Royal Naval College di Greenwich.
- Il grande elefante che si vede, ricostruito, nel film, era stato voluto da Napoleone che aveva in progetto un’enorme fontana, mai realizzata, per ornare Place de la Bastille. Ne fu portato a termine solo il prototipo in gesso, che cominciò a deteriorarsi fin dal 1820, per essere demolito poi definitivamente oltre vent’anni dopo.
- Nelle note di produzione si legge: “Nonostante il materiale potente che stavano ereditando, i film-makers hanno avuto bisogno di tornare alla fonte originale della storia per riempire dei buchi che sul palcoscenico non si notavano ma che non sarebbero stati invisibili sullo schermo. Hayward dice: “Il libro è stato di grande ispirazione per Tom. Era un adattamento sorprendentemente difficile, e non appena incontravamo dei problemi consultavamo il libro e trovavamo tutte le risposte. Portare dentro al film alcuni dei grandi elementi della storia per riempire i vuoti senza intaccare l’architettura generale e l’integrità della colonna sonora è stata una delle sfide più divertenti di questo adattamento”.
N.B. Per leggere la presentazione e lo scopo della rubrica My Favourite Things cliccare QUI.
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Si ringrazia in modo particolare Lorella Cuccarini per il tempo dedicato nonostante gli intensi impegni della campagna sociale promossa da Trenta Ore Per la Vita
Lorella, perché hai scelto Les Misérables?
Perché è uno dei musical che più mi è rimasto nel cuore e che ancora oggi mi emoziona. L’ho visto tre volte a teatro, due volte a Broadway ed una volta, di recente, a Londra: ho fatto un viaggio un mese e mezzo fa e sono riuscita a rivederlo; ci tenevo a portare i miei ragazzi perché loro hanno iniziato con il film, seguendo un percorso inverso rispetto al mio. Io l’ho visto per la prima volta a Broadway negli anni ’90. Les Misérables ed Il Fantasma dell’Opera sono i due titoli che più mi hanno colpito, sono spettacoli che potrei vedere cento volte e cento volte riuscirebbero a suscitarmi lo stesso tipo di emozione. Les Misérables però ha una marcia in più: è un’operazione di trasposizione cinematografica assolutamente più riuscita rispetto a quella de Il Fantasma dell’Opera; certamente il film è molto piacevole, però non rispecchia a pieno la pièce teatrale; con il film de I Miserabili invece, secondo me ci sono stati un totale rispetto della messa in scena teatrale e lo stesso tipo di efficacia narrativa.
Una delle condizioni poste da regista Tom Hooper è stata quella di far cantare il cast dal vivo…
È una delle grandi idee di Hooper, quella di aver fatto cantare tutti gli attori in presa diretta, facendoli accompagnare solo da un pianoforte live per poi aggiungere successivamente tutta l’orchestrazione, che è anche un’orchestrazione molto importante, perché tutti i temi dei Miserabili sono ricchissimi. La presa diretta dà una verità incredibile a tutto il racconto, riesci a sentire i respiri degli attori; ci sono alcune scene dove Hugh Jackman, per esempio, quasi sputa nei momenti in cui, cantando, deve dimostrare più rabbia, più disperazione. Un elemento che invece manca nel Fantasma dell’Opera, dove non c’è questo tipo di appeal. Quando ad uno spettacolo musicale si toglie il live, credo che si tolgano metà del pathos e della potenza.
Un altro aspetto determinante della regia di Hooper è stato l’uso dei primi piani. In alcuni momenti, con la macchina da presa sembra quasi voler entrare nell’anima dell’attore… Un esempio su tutti è la canzone di Fantine, I dreamed a dream: secondo me è un pezzo di teatro, oltre che di cinema, straordinario.
Oltretutto aver spostato I dreamed a dream dopo The Docks (Lovely Ladies) ne ha esaltato la drammaticità…
Infatti, la scelta di spostarla ha dato ancora più spazio al dramma di quegli anni e di quei personaggi. Anche per questo è un film incredibile: ti tiene incollato alla poltrona ed è capace di emozionarti in ogni momento del racconto. Come musical al cinema, credo sia l’operazione più riuscita mai stata fatta.
In una intervista Tom Hooper ha dichiarato: “Quando si canta in un film si deve conferire un’intimità diversa rispetto al palcoscenico”.
Sì, certo, perché il cinema è fatto di primi piani. È chiaro che l’espressività che hai al cinema è molto diversa da quella che hai sul palco. Il cinema è molto più intimo. In teatro devi arrivare con i tuoi movimenti e con il tuo sguardo fino in galleria; si tratta di approcci completamente diversi.
Per raggiungere più verità in alcune scene, quelle di maggiore sofferenza o quelle che includevano la morte di un personaggio, è stato sacrificato il canto perfetto a favore dell’interpretazione: gli attori cantano con un filo di voce o hanno il fiato spezzato. Questo sarebbe un discorso possibile anche in teatro, secondo te?
A teatro non hai la possibilità di vivere “attaccato” al personaggio. Il cinema ti dà questa possibilità, ti tiene incollato al personaggio: in quel momento si racconta, quindi anche la piccola imperfezione, i momenti in cui senti un respiro preso male, un singhiozzo o la voce che si spezza, sono molto efficaci, perché vivi proprio accanto a quel personaggio. In teatro è diverso. Il teatro mantiene una distanza con l’attore e quindi anche la riuscita del pezzo è quasi d’obbligo: il pubblico si aspetta che tu risponda all’esecuzione con una certa precisione. Pensa all’Opera: se vai a vedere Madama Butterfly, anche nel momento in cui lei è lì, lì per suicidarsi, dal punto di vista vocale l’esecuzione è ineccepibile.
Per mio gusto personale, anche a teatro una piccola imperfezione, se è accompagnata da un’emozione, va bene ed è giusta.
Nel caso di Les Misérables abbiamo la possibilità di toccare con mano come cambi l’interpretazione dal teatro al cinema grazie a Samantha Barks, che ha ricoperto il ruolo di Éponine sia nel musical del West End
(e nel grande concerto del venticinquesimo anniversario) sia nel film: come vedi cambiare la sua recitazione?
Devo dirti la verità: io amo Samantha Barks, è perfetta e sembra nata per il ruolo di Éponine… Non ho notato grandissima differenza rispetto alla sua interpretazione teatrale. È chiaro che nel film c’è ancora più atmosfera. Il suo pezzo, On My Own, fatto sotto la pioggia, è di grande impatto, molto godibile. In primo piano, si riescono a carpire anche le sfumature ed i respiri che fa. Però sia a teatro, sia al cinema, lei è veramente perfetta, non c’è altro aggettivo! È stata anche una bella scommessa. Solitamente i registi cinematografici preferiscono prendere attori famosi che sappiano anche cantare. Hooper ha voluto forse mantenere una continuità con lo spettacolo teatrale e Samantha Barks sicuramente era l’interprete più giusta: ha una faccia perfetta anche per il cinema e una naturalezza vocale immensa. Se vedi le riprese che sono state fatte nel concerto per i venticinque anni de Les Misérables, canta come se stesse parlando. Tra parentesi, ha anche due dei brani più belli dell’intero spettacolo.
Visto che abbiamo già toccato alcuni brani, vogliamo parlare delle musiche di Schönberg?
Secondo me Les Misérables, dal punto di vista del libretto e delle canzoni, è uno degli spettacoli più riusciti di sempre; difficilmente si riesce, in una commedia musicale, a ricordare più di due o tre temi. È così anche per Il Fantasma dell’Opera, che ha un pezzo più bello dell’altro e almeno tre o quattro temi che si possono cantare al primo ascolto. Les Misérables è uno spettacolo di quelli che nascono sotto una buona stella: Schönberg e Boublil hanno fatto un lavoro straordinario, ineccepibile. I brani sono tutti bellissimi. Fra l’altro -non sapevo neanche facesse parte dei Miserabili– ma uno dei brani l’ho interpretato…
… nell’avansigla di Festival. Master of the House, scommetto che parli di quello.
Esattamente! Quando feci il pezzo che Pippo Caruso fece arrangiare per l’avansigla del programma Festival, non sapevo ancora che in realtà fosse il brano dei Thénardiers. Lo scoprii solo quando vidi Les Misérables a Broadway, e fu per me una sorpresa incredibile. «Ma come?», mi chiesi. Non c’era stato mai modo di parlarne, all’epoca, per cui pensavo fosse un brano originale scritto da Pippo per la trasmissione.
Come pure l’avansigla di Fantastico 6 era ripresa da La cage aux folles.
Sì, infatti poi ho capito quale era il gioco. Erano brani che effettivamente si prestavano molto bene allo scopo.
Ti ho interrotto su Master of The House, vuoi aggiungere qualcosa?
Il pezzo dei Thénardiers è l’unico momento di grande risata di tutto Les Misérables: c’è davvero ben poco da ridere in tutto il resto della storia. Invece quei due personaggi così buffi, anche trucidi, costituiscono l’unica parte comica e leggera.
Forse Master of the House è anche la parte più teatrale, nel film, con quel gioco di borseggio…
Sì, è proprio una coreografia vera e propria all’interno del locale, una coreografia che non è fatta di passi di danza, ma di fatti e cose che accadono. Quel numero è abbastanza fedele a quello teatrale. Forse è una delle scene che sono state più rispettate a differenza di altre che invece nel film vivono anche di scenografie più maestose e della presenza di un gran numero di persone. Alcune scene corali, rispetto alla versione teatrale, sono molto più ricche. Il pezzo dei Thénardiers è rimasto abbastanza fedele all’originale.
Il finale del primo atto, One Day More, racchiude tutti i temi musicali principali. Vogliamo parlarne?
Sì, è quello che a teatro viene chiamato il concertato, ed è il momento in cui sotto lo stesso “tetto” vengono raccontati gli stati d’animo dei vari personaggi, alla fine del primo atto.
Era un fine primo atto difficile da realizzare, ma credo non tradisca le aspettative di chi conosceva la versione teatrale.
Sì, per questo dico che è lo spettacolo musicale meglio rappresentato al cinema: ne sono stati realizzati diversi e sono stati anche ben fatti, però questo è il capolavoro assoluto. In Italia, purtroppo, i musical al cinema non hanno mai avuto un grandissimo successo: se vai a vedere gli incassi, i film musicali incassano moltissimo nel resto del mondo, mentre in Italia incassano poco. Quello italiano non è un pubblico così amante del musical, nemmeno di quello teatrale, o comunque comincia ad esserlo ora: il musical al cinema è ancora meno amato.
Sarebbe interessante capire perché. Forse perché è da poco che ci dedichiamo al genere, a parte la grande tradizione della commedia musicale di Garinei e Giovannini?
Abbiamo una grande tradizione, quella dell’Opera, e l’abbiamo coltivata da sempre. L’Opera è italiana ed è stata esportata in tutto il mondo. Il musical non è una nostra creazione, lo abbiamo importato dall’estero. Poi sì, c’è stata una bellissima esperienza con la commedia musicale di Garinei e Giovannini che è comunque qualcosa di diverso, una commedia all’italiana con canzoni.
Adesso, grazie ad alcuni spettacoli che sono arrivati in Italia e che sono stati fatti bene – perché poi c’è da dire questo: devono essere fatti bene – pian piano l’interesse per il musical è cresciuto, anche se ce ne vuole prima che ci sia quella spinta per andare al cinema a “cercare” un musical. Penso al grandissimo film con Meryl Streep, Mamma Mia!, o a tanti altri esperimenti, fatti molto, molto bene. Se guardi gli incassi nel resto del mondo, non sono paragonabili a quelli italiani. Qui, film del genere si vanno a vedere solo con un bel cast, ma certamente non sono mai i più visti rispetto ad altri blockbusters.
Ed è un peccato…
Un peccato sì, però bisogna seminare con pazienza! Un’abitudine, una cultura, non si creano in pochissimi anni: ci vuole tempo e soprattutto ci vogliono progetti importanti e ben realizzati. Purtroppo, invece, ogni tanto incappiamo in produzioni che non sono di qualità. Una volta tradito il pubblico, rischi di perderlo; bisogna lavorare per non tradirlo mai, per offrirgli sempre spettacoli fatti con grande professionalità, con persone preparate.
Oggi, ci sono più professionisti rispetto a vent’anni fa. Ricordo le prime audizioni per Grease: si presentarono oltre mille persone, ma alla fine trovammo i quindici ragazzi del cast con un po’ di fatica. Ora, alle audizioni ci sono tanti ragazzi già cresciuti nell’ambito del musical, che hanno studiato nelle scuole adatte. Insomma: per fortuna cominciamo a diventare grandi!
Nel film è stata aggiunta una canzone scritta espressamente per l’occasione, Suddenly, cantata da Valjean/Jackman in carrozza, dopo che questi ha portato via Cosette dai Thénardiers.
Di tutti i temi che ci sono nei Miserabili, Suddenly è veramente il pezzo che mi è rimasto meno impresso. Sarà che conoscevo già tutti gli altri temi dello spettacolo… non mi è rimasto molto di quella canzone e non credo aggiunga qualcosa.
Forse è stato inserito per evidenziare il cambiamento di Valjean grazie all’amore per Cosette.
Probabilmente anche per evidenziare la sua presa di coscienza ed il senso di responsabilità nei confronti di questa bambina, dopo essersi sentito responsabile della tragica storia di Fantine.
Il tema di Dio ed il rapporto tra l’uomo ed il volere divino e come quest’ultimo venga interpretato dagli uomini è centrale ed è visto sotto diverse angolazioni: quella del Vescovo, quella di Valjean, quella dei prigionieri, quella del popolo di miserabili, quella di Fantine e quella di Javert: vogliamo approfondire questo aspetto dell’opera?
Beh, c’è anche il senso di giustizia secondo Javert e Jean Valjean: Javert ha un’idea di giustizia molto legata al senso del dovere. Lui è un militare. Per certi versi anche un po’ ottuso, chiuso, non riesce a vedere tutto il bello ed il buono che c’è in Jean Valjean, un uomo arrestato solo per aver rubato un pezzo di pane.
Il rapporto che Valjean ha con il vescovo è bellissimo: è centrale il tema della misericordia. Il Vescovo si rende conto che Valjean ha rubato solo per reale bisogno: ha rubato per fame, perché era in grandi difficoltà. Fa un patto con lui, gli dice di tenere tutto (Valjean gli aveva sottratto tutta l’argenteria, ndr) ma di usarlo per ripartire e per essere un uomo nuovo. A quel punto Valjean si trova di fronte a Dio, ha una presa di coscienza.
Valjean e Javert sono la rappresentazione di due modi di vedere la vita: da una parte il lasciarsi in mano alla Provvidenza e l’instaurazione di un dialogo con Dio mettendosi nelle sue mani e facendo ripartire la propria vita sotto la sua protezione, la sua aura; dall’altra invece, un senso di giustizia che è estremamente umano, che non guarda oltre, che non riesce mai ad avere un respiro soprannaturale.
È anche interessante notare come Hooper abbia evidenziato queste caratteristiche di Javert riprendendolo dal basso in alto o in posizione quasi sempre molto elevata, fin dalla prima presentazione del personaggio in Look Down.
È vero, lo mette in una situazione di superiorità estrema, perché effettivamente Javert rappresenta la giustizia, è colui che decide e che fa il bello ed il cattivo tempo, che ha in mano il destino delle persone. È in alto, ma in realtà è la persona che non vola mai: se c’è un personaggio che vola, in senso ovviamente metaforico, questo è sicuramente Jean Valjean. Javert, con il suo senso di giustizia, muore, si chiude in se stesso, non riesce mai ad avere quel guizzo che gli fa capire che intorno a sé non esistono solo bianco e nero, ma ci sono tante altre sfumature di colori.
Quando Javert canta Stars, nel film, Hooper lo fa camminare in bilico su un cornicione…
Sì, infatti devo dirti che la prima volta che ho visto quella scena, conoscendo l’epilogo, mi sono chiesta: «Cosa succede?» Mette un po’ di ansia. Non sai perché cammini su quel cornicione, che cosa voglia fare. È quasi come se fosse un lanciare un seme di quello che poi effettivamente avverrà, perché Javert alla fine deciderà di suicidarsi, e devo dire che anche questa l’ho trovata un’idea molto interessante. È in qualche modo una sorta di preveggenza, un voler anticipare qualcosa o comunque un voler comunicare un senso di incertezza, anche a chi non conosca la storia e non sappia come andrà a finire. È una delle genialità di Hooper: in questo film ce ne sono tante. Bisognerebbe vederlo una decina di volte e probabilmente ogni volta si coglierebbero sfaccettature diverse.
Motivo per cui, compatibilmente con le proprie disponibilità, anche a teatro si dovrebbe tornare a vedere uno spettacolo più di una volta.
Il bello è proprio questo: quanto più tu riesci a dare, tanto più uno spettacolo cattura. Se riesci ad appassionare le persone e a lasciare intuire che c’è tanto altro ancora da scoprire, riesci a creare la motivazione per tornare a vedere quello spettacolo anche due o tre volte; per Les Misérables è così. Ed è un discorso che vale per il teatro, così come per il cinema.
Nei Miserabili, poi, i personaggi affascinanti sono tanti: anche quelli che apparentemente sembrano minori, sono invece intagliati perfettamente all’interno del racconto.
Trovo che il personaggio di Éponine sia uno dei più belli in assoluto e che nel film qualche piccolo cambiamento, più in linea con il romanzo di Hugo rispetto allo spettacolo teatrale, lo esalti maggiormente. È l’amore più profondo e nobile, quello che ti fa guardare più all’altro che a te stesso.
Assolutamente. La generosità… e rappresenta anche quello che si può fare per amore. Tra l’altro se ti metti nei suoi panni, i panni di una ragazza cresciuta con l’idea di essere la figlia prediletta, quella che probabilmente avrebbe avuto più della sorellastra e che poi si ritrova in una situazione completamente diversa, rispetto a Cosette… Poi nell’amore non corrisposto per Marius riceve il colpo di grazia, e a quel punto, pur di stare accanto a lui, è capace di farsi uccidere.
Nel film muore per salvarlo, prendendosi la pallottola al posto suo, nel musical teatrale viene colpita tornando alle barricate dopo aver consegnato la lettera di Marius, se non erro.
Sì, viene uccisa sulla strada del ritorno.
Parliamo degli interpreti.
Purtroppo non ho avuto l’occasione di vedere Lea Salonga nel ruolo di Fantine a teatro, anche se ho avuto però la fortuna di vederla in Miss Saigon con il cast originale, ed è stata un’esperienza indimenticabile.
Per quanto riguarda il cast del film, alcuni interpreti sono stati veramente una grandissima scoperta.
Sapevo che Hugh Jackman aveva fatto un One Man Show a Broadway, però non avrei mai immaginato che riuscisse ad interpretare un ruolo come quello di Jean Valjean e credo che lo abbia fatto in maniera assolutamente superba.
Sinceramente mi sono piaciuti tutti gli interpreti. Ho visto che qui in Italia è stato criticato Russel Crowe nel ruolo di Javert, io invece devo dire che ho apprezzato anche lui, anche se vocalmente di certo non è stato all’altezza di alcuni Javert che ho visto a teatro.
Eddie Redmayne per me è stato una grande scoperta, non pensavo che un attore come lui potesse interpretare il ruolo di Marius cantando così: non l’avevo mai visto in un musical e devo dire che è stato meraviglioso.
Amanda Seyfried, Cosette, l’avevo già vista in Mamma Mia! quindi sapevo che è un’attrice veramente completa a 360°.
Riguardo ad Anne Hathaway ho letto che voleva moltissimo questo ruolo perché, se non sbaglio, sua mamma aveva interpretato Fantine a Broadway. In un’intervista raccontava che aveva dovuto lavorare e combattere tanto per conquistarsi la parte, perché era in un momento in cui era troppo giovane per fare Fantine e troppo grande per interpretare Éponine. Perciò pare si sia sottoposta ad una dieta spaventosa e sia dimagrita di non so quanti chili nell’arco di pochissime settimane prima delle riprese. Un lavoro che le è valso un Oscar, assolutamente meritatissimo.
A questo proposito vorrei sapere il tuo punto di vista su queste scelte così estreme che molti attori fanno: in questo caso oltre alla Hathaway, che come dicevi ha perso moltissimi chili, addirittura 18 nel giro di nemmeno due mesi (stando ai dati riportati in alcune interviste), anche Jackman ha voluto dimagrire tanto per interpretare al meglio il periodo della prigionia di Valjean.
Beh sai… posso mettermi nei loro panni, nei panni di un attore che vuole ottenere fermissimamente un ruolo e per affrontarlo deve sottostare anche ad una serie di sacrifici. È chiaro che se devi fare un film che è ambientato in quella Parigi, in quel periodo storico, dove si faceva la fame, non puoi avere un fisico bello morbido, rotondo. Se vuoi un ruolo così, devi fare determinati sacrifici. Poi ognuno raggiunge i risultati a suo modo. È chiaro che se perdi 15 chili in tre o quattro settimane il fisico non ne è felice. A me fa molta rabbia vedere, soprattutto al cinema, personaggi che non sono giusti per la dimensione storica in cui sono calati.
Veniamo alla questione del doppiaggio. Alcuni non hanno gradito che nel film, quelle poche battute non cantate, siano state doppiate. Cosa ne pensi al riguardo?
Ti dico la verità: l’ho sempre visto in lingua originale. Anche al cinema l’ho visto al Barberini, a Roma, che ha una sala che proietta tutto in lingua originale, quindi la questione non mi ha toccato, però capisco e comprendo la critica, perché in realtà questo è un musical in cui di recitato non c’è niente o quasi. Ci saranno una decina di battute in tutto, per cui doppiarle era inutile, così come in altri casi non trovo giusto tradurre le canzoni. Questi sono film che, anche proprio per le liriche, bisognerebbe vedere in lingua originale con i sottotitoli: è il modo migliore per godere anche della scrittura. Un pezzo musicale tradotto non è mai la stessa cosa dell’originale.
In effetti se al cinema, in un musical, doppi le canzoni è finita…
Sì, e nel caso dei Miserabili togli anche il punto di forza, che è la presa diretta. Quando vedi questo film ti sembra di stare a teatro perché c’è una presa diretta che rende tutto così autentico; nel momento in cui si facesse un doppiaggio, diventerebbe un film come tanti altri, si toglierebbe metà della forza.
Anche in film dove non c’è la presa diretta, penso valga lo stesso discorso. Per esempio: come si può doppiare Julie Andrews in Tutti insieme appassionatamente? Eppure, in televisione, il film molto spesso è passato con il doppiaggio delle canzoni.
Hai ragione. Io capisco anche che c’è l’esigenza di arrivare al maggior numero possibile di spettatori e che, nel momento in cui mantieni la lingua originale, allontani ancora di più un pubblico che già non apprezza a pieno il musical al cinema. Noi appassionati ci troveremmo molto più a nostro agio nel sentire un film in lingua originale, ma quando vuoi arrivare al grande pubblico, capisco anche la necessità del doppiaggio. Ed in alcuni casi è stato fatto anche bene. Per esempio ne Il Fantasma dell’Opera c’era la meravigliosa Renata Fusco, che io conosco molto bene perché era la mia Rizzo in Grease, c’era Pietro Pignatelli… Avevano selezionato delle voci veramente notevoli e nel fare la traduzione sono stati molto bravi: hanno scelto persone che lavorano nel musical e hanno sicuramente restituito quel tipo di preparazione, però purtroppo non sempre è così. In alcuni casi le traduzioni non erano assolutamente rispettose dell’originale e questo è un peccato. E poi insomma: come si fa a doppiare una Julie Andrews, una Shirley MacLaine, una Liza Minnelli?
Parlando della versione teatrale de Les Misérables, vogliamo dare qualche cenno sulle scenografie e sui “movimenti coreografici” nel senso più ampio del termine?
Movimenti coreografici veri e proprio non ce ne sono, è più un’opera di regia e devo dire che è assolutamente ben fatta. Dal punto di vista scenografico l’elemento che più ti colpisce è quello delle barricate, forse quello più iconografico.
I movimenti sono giusti, fatti per raccontare ogni volta delle emozioni. Uno di quelli che mi hanno colpito di più, è il momento in cui muore Gavroche. Ti strappa il cuore, perché vedi questo bambino che vuole andare a recuperare le pallottole dall’altra parte della barricata, con grande coraggio, mentre tutti gli altri sono nascosti. Continua a cantare mentre accusa ogni colpo di pistola e va avanti fino alla morte. È una scena di una tragicità e di una forza incredibili. I movimenti sono assolutamente perfetti: non cambierei niente di tutto lo spettacolo. Ancora oggi, e come dicevo l’ho rivisto pochissimo tempo fa, è attuale, freschissimo, è come se lo avessero realizzato ieri. Probabilmente i figli dei nostri figli, vedendolo tra vent’anni, diranno la stessa cosa.
C’è qualcosa dello spettacolo teatrale che costituisce un punto di forza che il film non è riuscito a riprodurre o ad eguagliare, secondo te?
Mai come in questo caso, l’impatto sonoro, l’impatto vocale e l’impatto dei personaggi al cinema mi hanno colpito ed emozionato come a teatro. Solitamente al cinema manca la bellezza del live; a teatro hai gli attori sul palcoscenico e quindi ti senti avvolto dalla storia, un po’ come se ci entrassi dentro. Al cinema questo manca per il fatto stesso che c’è uno schermo. Ecco, con Les Misérables questo non succede. Non credo ci sia un momento che a teatro è più forte rispetto al cinema.
È un film fatto con grande intelligenza ed anche con estrema sensibilità, da una persona che evidentemente ama profondamente il teatro musicale. Hooper è riuscito a restituire le stesse emozioni, lo stesso pathos.
Naturalmente a teatro è tutto più minimale. Nel film ci sono dei piani sequenza pazzeschi; se pensi al momento delle barricate o al momento iniziale dove Valjean è ai lavori forzati, sei davanti a scene con moltissima gente. A teatro questo non è possibile. Però non è fondamentale: ci sono comunque la stessa forza e la stessa potenza evocativa.
Infatti penso sempre, e ne ho avuto conferma concreta, che quando il contenuto è molto valido e gli artisti sono straordinari, bastino anche delle quinte nere e delle luci per far arrivare le emozioni.
Se pensi infatti al concerto per i venticinque anni, c’è l’imponenza del palco, certo, del numero di artisti presenti, ma non è importante ci siano chissà quali soluzioni scenografiche o ambientali, per cui hai ragione: quando ci sono quegli interpreti straordinari, quei temi musicali, non hai bisogno di altro.
Comunque per riallacciarsi alle considerazioni precedenti, non dimentichiamo che anche nel film c’è sempre la mano di Mackintosh.
E beh… D’altronde lui è stato quello che ha avuto il genio, l’intuizione di prendere lo spettacolo che era nato in Francia, di adattarlo e di portarlo a Londra.
Ad averne di produttori come Mackintosh…
Eh… nel mondo non sono molti quelli che riescono a fare la differenza.
Anche perché in Italia ormai gli artisti li abbiamo, mancano la cultura ed un altro tipo di considerazione…
Secondo me manca anche il coraggio, manca qualcuno che ci creda. Penso che noi abbiamo figure professionali e artistiche capaci, ma c’è bisogno anche di persone che supportino i nuovi progetti. Certamente, questo non è un momento favorevole e non solo per il teatro musicale, ma per tutta la cultura e lo spettacolo in generale. Oggi si rischia poco: di investimenti se ne fanno pochi e non sempre poi, quando vengono fatti, sono utilizzati al meglio.
Nel nostro piccolo, con Rapunzel, abbiamo portato uno spettacolo tutto italiano, nuovo, con un produttore che ci ha creduto e che ha gettato il cuore oltre l’ostacolo. Sono stata molto felice: quando uno spettacolo funziona e arrivano gratificazione e successo, questo è linfa vitale per tutto il teatro in generale. Speriamo sia anche di buon auspicio per altre produzioni, perché altri credano e investano in progetti futuri. L’estro lo abbiamo, abbiamo bisogno di qualcuno che lo supporti con intelligenza, perché anche gli investimenti bisogna farli in maniera oculata: i soldi devono essere spesi bene.
Vero, anche perché si nota sempre più spesso l’altissima qualità più in spettacoli piccoli e autoprodotti che altrove. Rapunzel, che invece rappresenta anche un bello sforzo produttivo, è uno di quei casi dove c’è questa luce: c’è la qualità.
Sai, alle volte ci si accomoda anche un po’, è una critica che dobbiamo farci tutti noi, operatori nel mondo dello spettacolo. Perché se si ottiene un successo e dopo un altro successo, c’è il rischio di “accomodarsi”, di andare avanti con il pilota automatico. Invece no, ogni volta deve essere come la prima: stesso entusiasmo, stessa voglia di vincere. Da questi presupposti si deve almeno partire, poi per carità, non è detto che si riesca sempre ad avere i risultati. Quindi, al lavoro! Chi ama il teatro, in particolar modo il teatro musicale, sa anche che cosa significhi. Io ho la possibilità ed il piacere di poterne apprezzare la bellezza sia dal palco, sia dalla platea e mi rendo conto di quanto il teatro mi faccia bene, in un modo e nell’altro: come performer hai delle soddisfazioni, delle gioie, delle emozioni, come pubblico ne hai altre. Speriamo che consapevolezza e volontà crescano sempre di più.
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1 thought on “LORELLA CUCCARINI PARLA DI LES MISÉRABLES”
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