Dal West End ad Amalfi: Ario Avecone racconta com’è nato il Murder Ballad italiano
di Paolo D. M.Vitale
In occasione della ripresa di “Murder Ballad”, abbiamo intervistato Ario Avecone, uno dei più ambiziosi “esploratori” di musical che abbiamo in Italia. Avecone – che abbiamo conosciuto diversi anni fa per il suo riuscitissimo progetto “Amalfi-839 a.D.” e successivamente per “Rebellum” e “That’s amore” – sta infatti riportando in scena, proprio in questi giorni, una seconda edizione, rivista e aggiornata, del suo “Murder Ballad. Omicidio in rock”, il musical ideato e scritto da Julia Jordan con le musiche e i testi originali di Juliana Nash. Tante sono le novità e i cambiamenti apportati allo spettacolo.
PV: Cosa significa per te questo spettacolo e come mai hai scelto di portarlo in Italia?
AA: Murder Ballad per me significa tanto. Ho conosciuto questo spettacolo per caso a Londra: passeggiando per Soho sono stato attratto dal titolo particolare e dalla bella locandina di questo piccolo teatro del West End, The Arts Theatre. Il cast era pazzesco e quindi sono entrato. È così che mi sono letteralmente innamorato di questo spettacolo, delle sue musiche e della sua storia. Uscendo da lì ho chiamato subito l’MTI [che possiede i diritti, ndr] e ho ottenuto un appuntamento per il giorno dopo con Bert Flink, il direttore di MTI UK London. Durante la notte ho partorito un’idea di progetto che consisteva in una modifica totale dello spettacolo. L’idea a Flink piacque moltissimo, tanto che mi diede subito la concessione dei diritti per l’Italia. Dopo una prima versione e un primo piccolo tour, l’anno scorso, quest’anno abbiamo ripreso il progetto e l’abbiamo decisamente migliorato, rendendolo ancora più intenso. Sono state modificate diverse cose: abbiamo aggiunto molte proiezioni e – dal momento che mi hanno lasciato la massima libertà artistica – abbiamo anche aggiunto alcuni brani nuovi. Questo ha fatto sì che nel MB italiano esistano due momenti che negli altri Paesi non ci sono e che, a mio avviso, hanno reso questa versione la migliore del mondo sotto tanti punti di vista: drammaturgia, melodia, linearità… Il mio auspicio è che un prodotto di questo valore possa trovare un maggiore spazio all’interno del panorama teatrale italiano e io mi sto impegnando proprio per creare una rete dedicata ai musical OFF. Quello che ho notato, infatti, è che il musical “canonico” in Italia sta avendo un notevole calo nella qualità delle sue produzioni. Al contrario, sono convinto, che i musical OFF possano riportare in vita questo settore così sofferente.
PV: Ci spieghi meglio queste differenze tra il tuo MB e quello originale? Cosa hai cambiato, aggiunto o eliminato?
AA: Le differenze sono parecchie. Dell’intreccio originale con i quattro personaggi è rimasta chiaramente la base, ma abbiamo aggiunto due personaggi: Destino (interpretato da Valentina Naselli) e Libertà (interpretato da Jacopo Siccardi). La nostra storia verte molto di più sull’importanza di questo narratore (Myriam Somma) che delimita i confini tra realtà e finzione. In generale, comunque, è proprio l’idea stessa dell’allestimento ad essere diversa: la versione americana è più grottesca, piena di stereotipi della cultura e della società americane come il locale col biliardo o la mazza da baseball… Quella italiana è invece una versione più psicologica, più adatta cioè al pubblico del nostro Paese. Ricordiamoci che MB è un musical, ma può essere anche visto come una prosa in musica, proprio per il suo intreccio, la sua dinamica, la sua drammaturgia. L’evoluzione dei personaggi avviene attraverso le canzoni che non si limitano ad essere un momento staccato dall’intreccio. Da questo punto di vista è un titolo molto affine alla prosa e rappresenta quasi il trait d’union tra questi due generi. Altra differenza sostanziale è il luogo in cui si svolge la vicenda: nella versione americana l’azione si compie tutta all’interno di un bar, nella versione italiana si compie invece all’interno della mente del narratore che raccontando la storia la fa, per così dire, concretizzare davanti agli occhi degli spettatori. Un’altra differenza importante è l’intensità della recitazione: gli attori anglosassoni risultano molto più distaccati rispetto ai colleghi italiani. La mia regia ha voluto che gli attori non uscissero mai di scena e che ogni personaggio continuasse a vivere la propria vita anche nei momenti in cui da copione non erano presenti: la storia diventa così un vero tutt’uno di movimenti, gesti e parole. I livelli di lettura possono essere tanti – io ne ho contati almeno tre – ma sta allo spettatore di coglierli e apprezzarne le sfumature. Diciamo che io sono sempre stato affascinato molto dalla cinematografia e per questo spettacolo mi sono ispirato molto a film come Taxi Driver, Inception e allo stesso Joker appena uscito. Tutti quei titoli insomma dove il confine tra realtà e finzione è estremamente labile, ma è proprio in questa difficoltà di decifrare la storia che risiede il divertimento mio, come autore, e dello spettatore.
PV: Direi che sono temi prettamente pirandelliani, prima ancora che topos cinematografici. Come sta rispondendo il pubblico italiano a tutto questo?
AV: Potremmo scomodare perfino Schopenhauer ma, in fondo, il fatto è che il rapporto tra sogno e realtà ha da sempre affascinato l’uomo, sin dagli inizi del suo pensiero. Riguardo alla reazione del pubblico il discorso è sempre lo stesso: chi viene a vederlo ne resta affascinato e magari torna più volte, ma il problema è a monte, convincere cioè la gente a venirci. In Italia manca un sistema, un meccanismo, un’organizzazione di distribuzione di questo tipo di spettacoli. Di conseguenza il pubblico non è preparato e non va a vedere ciò che non conosce. Perfino nella mia Napoli, un tempo all’avanguardia su questo argomento, oggi il pubblico è molto timido. Il mio sogno sarebbe quello di avere delle teniture più lunghe – due, tre settimane – nelle grandi città, proprio per consentire il passaparola, ma in Italia è praticamente impossibile perché il sistema non lo permette. Il motivo è che, ovviamente, i teatri non possono permettersi di tenere in scena per così tanti giorni un titolo OFF che non conosce nessuno. L’unica soluzione è quella di acquisire degli spazi e proprio in tal senso mi sto già muovendo.
PV: Parliamo adesso dei tuoi compagni di avventura. Arianna in primis. Com’è iniziata questa collaborazione artistica?
AV: Con Arianna è iniziato tutto casualmente perché lei chiese i diritti alla MTI pochissimo tempo dopo che li chiesi io e, ovviamente, le dissero che li avevano appena concessi a me. Così ci incontrammo, grazie all’amico Lucio Leone, e le proposi di fare la protagonista dello spettacolo dato che l’aveva già interpretato negli Stati Uniti. Adesso con Ariana siamo già alla seconda stagione assieme e abbiamo stretto una collaborazione artistica a 360°, oltre che una bella amicizia, e stiamo lavorando anche ad altri progetti differenti da MB.
PV: E com’è stato dirigere un’artista come lei, più abituata forse al modo di lavorare americano? Hai notato differenze?
AV: Arianna è una persona che, per fortuna, si adatta molto bene ad ogni tipo di situazione. Quando io scelgo un attore è perché mi fido e lo lascio libero di creare il proprio personaggio. Dirigere per me significa mettere in risalto le qualità degli attori, non le volontà del regista. Spesso invece il problema è che i registi vogliono essere i protagonisti della scena al posto dell’attore. Arianna è invece una di quelle artiste che mette tantissimo di suo e quindi alla fine il lavoro con lei consiste solo nell’asciugare e nel ripulire i dettagli. In America gli attori non sono lasciati così liberi e questo rende tutto molto più freddo e distaccato, mentre al contrario MB ha bisogno di arrivare dritto al cuore dello spettatore. Lavorare con Arianna è davvero molto facile.
PV: E il resto del cast com’è stato scelto? Avevi già in mente i loro nomi quando pensavi a chi affidare i ruoli?
AV: Con Myriam Somma è stato molto facile perché lo spettacolo a Londra l’abbiamo visto assieme e quindi abbiamo subito capito che potesse essere un ruolo adatto a lei. Fabrizio Voghera, che è subentrato a Antonello Angiolillo, è stato scelto tramite casting. Mi ha colpito molto per la vocalità e per il suo modo di essere diverso rispetto ad Antonello. Riguardo a me c’è un aneddoto che ti devo raccontare: quando andai alla MTI per chiedere i diritti, Bert Flink, mi disse “Tu potresti essere un Tom perfetto” e quindi quest’anno ho deciso di cimentarmi pure col ruolo oltre che con la regia, regia per la quale mi sono fatto affiancare dal grande Fabrizio Checcacci.
PV: In conclusione, perché il pubblico dovrebbe venire a vedere Murder Ballad?
AV: Prima di tutto perché uscirà diverso da come è entrato. I personaggi sono caratteri con cui tutti possono entrare in sintonia, la storia è una storia comune ma con diversi livelli di lettura e l’azione ha un ritmo costante che non si ferma mai. Questo fa sì che sia uno spettacolo che non annoia neanche per un secondo. Il secondo motivo è il cast che è eccezionale: artisti superlativi con delle voci straordinarie. Il terzo motivo è l’allestimento originale e l’adattamento speciale unico in tutto il mondo. Tutto questo rende Murder Ballad uno spettacolo davvero imperdibile.
Ricordiamo qui le prossima date in programma:
SALERNO – Teatro Sala Pasolini – Dal 24 al 26 Gennaio 2020
MILANO – Teatro Guanella – Dal 30 Gennaio al 02 Febbraio 2020
VERONA – Isola della Scala Teatro Capitan Bovo – Dal 07 al 08 Febbraio 2020
TORINO – Teatro Cardinal Massaia – Dal 05 al 06 Febbraio 2020
FIRENZE – Teatro Puccini – 12 Febbraio 2020
AMALFI – Arsenale della Repubblica – 14 Febbraio 2020