Un’alchimia magica tra moda, musica e corpi statuari: Jean Paul Gaultier illumina Milano col faro della libertà
di Paolo D. M. Vitale
Piacevolmente sorpresi e non poco divertiti. Siamo usciti così dal Teatro Arcimboldi di Milano dopo la prima italiana del Jean Paul Gaultier Fashion Freak Show.
L’atmosfera, sin dall’ingresso in sala, era frizzante e glamour con un grand défilé di outfit total-Gaultier o, almeno, simil-Gaultier. A dominare la folta platea degli Arcimboldi sono state le arcinote righe a la marinière tipiche della maison, ma anche kilt, sbuffi, strass, lacci e piume… tutto rigorosamente da uomo!
Fashion addicted a parte, inizia lo show.
Non avevamo grandi aspettative: temevamo una terribile messa laica di autosantificazione condita da retorica e buoni sentimenti in salsa haute couture!
Quello a cui abbiamo assistito è stato invece uno spettacolo godibilissimo, divertente e, a tratti, perfino commovente.
Viene ripercorsa la vita di Jean Paul Gaultier – presente in sala – dai primi vestiti creati per il suo orsacchiotto fino ai successi urbi et orbi dei giorni nostri. L’autocelebrazione non è mancata, sia chiaro, ma est modus in rebus! Con la giusta dose di ironia, talento e spettacolarità, si puó dire – e fare – tutto! È forse è stato proprio questo il segreto dell’operazione: un giusto equilibrio tra agiografia e parodia, tra spettacolo e moda, tra vita vera e vita raccontata. Gaultier non ha peli sulla lingua: da bambino sognava di lavorare per uno spettacolo del Folies Bergère e cosí, adesso che bambino non è più, puó permettersi – milioni alla mano – di fare quello che gli pare, creandosi un Folies personale.
Ecco quindi che il suo Fashion Freak Show è un po’ giocattolo, un po’ sogno (auto)esaudito e un po’, perchè no, vetrina promozionale non convenzionale, esattamente come non convenzionale è da sempre la sua moda. E in effetti questa strana alchimia funziona: le sue creazioni sartoriali sono teatro puro e ogni volta che uno dei suoi capi entra in scena i nostri occhi si sgranano di meraviglia.
Il racconto procede per quadri, quasi come uno spettacolo di rivista. Molto gradito l’omaggio all’italianissimo Pierre Cardin, nella cui scuderia un giovane e sconosciuto Gaultier ha iniziato a muovere i primi passi. Si prosegue con l’incontro col bellissimo Francis, l’amore della sua vita, morto prematuramente di Aids. Questo il quadro più toccante: dopo il grande idillio d’amore vissuto tra boa di struzzo e corsetti, piombano su Gaultier il dolore e la separazione. La morte tuttavia non lo ferma, e il suo fermento creativo esplode nuovamente.
Divertenti i quadri in cui Anna Wintour entra in scena come esponente della “Fashion Police”, altera, ipocrita, incapace di comprendere sin dall’inizio la portata rivoluzionaria dell’opera di Gaultier e, soprattutto, incapace di cogliere l’ironia dell’enfant terrible delle passerelle parigine.
Lo show corre rapido saltando da un caposaldo della vita di Jean Paul (si, ormai lo chiamiamo per nome; ormai è uno di noi!) all’altro: l’orsacchiotto di pezza con il celebre reggiseno a punta, la nonna, Francis, Pierre Cardin, Madonna con il celebre reggiseno a punta, Catherine Deneuve senza celebre reggiseno a punta, le notti folli a Le Palace, le sfilate in giro per il mondo, le copertine di Vogue…
Ma tutto questo sarebbe risultato poco coerente col personaggio e mal raccontato se l’aspetto visivo non fosse stato assolutamente perfetto. Oltre ai superbi costumi-abito di Gaultier, i punti di forza di questo visionario allestimento sono almeno tre: la scenografia composta da grandi led wall scorrevoli con le sublimi creazioni video di Justin Nardella e Renaud Rubiano; una playlist pop-rock-disco che è impossibile non amare; un corpo di ballo di artisti semplicemente meravigliosi guidati dal coreografo Simon Philips.
L’energia trasuda da ogni singolo poro di ogni performer e dai loro corpi statuari – spesso nudi – si emana un’aura di provocante e spensierata sensualità. E’ eros. Forse è già sesso. Sicuramente non è pornografia.
È tutto un piacere dei sensi. Un voluttuoso e gratificante amplesso per la vista che, alla fine dello spettacolo, avremmo voluto spogliarci dei nostri tristi e banali pullover cerulei infeltriti comprati in chissà quale tragico angolo casual nella cesta delle occasioni per indossare un meraviglioso kilt color cipria, un corsetto con lacci di raso nero e un cappello da marinaio per gridare al mondo “eccomi, io non mi prendo troppo sul serio per pensare che tutto questo non abbia niente a che fare con me!”.
Grazie Jean Paul, abbiamo respirato l’aria pura della libertà.