Dopo il flop a Broadway, anche in Italia “Pretty woman” non fa innamorare, nonostante l’ottimo cast.
di Prunella
Ormai da anni molti musical a Broadway sono degli adattamenti di pellicole famose, The Lion King, A Little Night Music, Sunset Boulevard e alcuni di questi hanno avuto anche l’adattamento italiano come Hairspray, Dirty Dancing, Sister Act e i recenti Priscilla, la Regina del Deserto e Pretty Woman entrambi visti lo scorso febbraio al Politeama Rossetti di Trieste.
Pretty Woman non è andato bene a Broadway. Il film di Garry Marshall è talmente iconico che trasformarlo in un musical è stata un’arma a doppio taglio. Da una parte tutti gli spettatori hanno in testa Richard Gere nel ruolo di Edward Lewis, l’affascinante uomo d’affari, e Julia Roberts in quello della giovane squillo Vivian Ward. A teatro quindi bisogna rifare il verso al film, ma si resta un po’ perplessi perché gli interpreti, per quanto meravigliosi, non sono Gere e Roberts e il paragone purtroppo resta sempre in agguato.
D’altra parte non si può neanche stravolgere la storia. Siccome lo facciamo a teatro, dobbiamo essere originali? Che Pretty Woman sarebbe, allora? Quindi che fare? Carline Brouwer, coadiuvata da Chiara Noschese, si è attenuta al film utilizzando le scene fondamentali dall’adescamento fortuito di Vivian a lei che canta nella vasca dell’attico di Edward, dallo shopping a Rodeo Drive alla serata all’opera, questa sì, teatralmente molto bella. Le note della Traviata che si intrecciano con quelle del musical, un momento davvero magico. Lo scuro degli abiti dei cantanti d’opera e il rosso fuoco dell’abito di Vivian. Aggiungiamo però che le musiche di Bryan Adams & Jim Vallance non sono proprio indimenticabili e questo per un musical è un problema.
Comunque, fatta la punta alla matita, gli spettatori in realtà si sono abbandonati a questa favola, sognando a occhi aperti.
L’inizio parte alla grande con Welcome to Hollywood e un cast, numeroso, tirato a lucido. Ballano da slogarsi le ginocchia pazzescamente bene sulle coreografie di Denise Holland Bethke. E non sono da meno nella lezione di tango che sostituisce al ristorante Voltaire la scena del film, quella delle stronze lumachine che scappano dal piatto di Vivian.
La storia va liscia e ci si lascia accalappiare dalla freschezza, dalla simpatia di Beatrice Baldaccini/Vivian, entrata a pieni voti nel ruolo. Strepitoso, ma nel campo del musical, è uno dei migliori artisti che abbiamo, Cristian Ruiz, in triplice ruolo: quello di Happy Man, che nella versione teatrale rappresenta il destino, la possibilità di realizzare i propri sogni; quello di Mr. Thompson il direttore dell’albergo e quello di Mr. Hollister il proprietario del negozio super chic di Rodeo.
Giulia Fabbri che interpreta Kit De Luca, l’amica di Vivian, è una tigre vocalmente, ma è troppo sopra le righe per quel che riguarda la recitazione. Ecco, le nostre produzioni, per quanto accurate, perché Stage Entertainment Italia non ha lesinato spese, difettano ancora sulla parte della recitazione. Anche Thomas Santu, ottima voce, nella recitazione non era rilassato. Rigido nella postura, non siamo riusciti a cogliere quel cambiamento che lo porterà a innamorarsi di Vivian. Soltanto verso la fine si è sciolto in qualche battuta che ruba a Vivian – forse anche i dialoghi del libretto non hanno aiutato. Battute secche -. Come traduci a teatro i primi piani cinematografici, gli sguardi, gli ammiccamenti?
Franco Travaglio che ha curato la traduzione in italiano di testo e liriche siamo certi, vista la sua comprovata esperienza, che abbia fatto del suo meglio, ma il testo drammaturgicamente è quel che è. A teatro purtroppo quel climax dell’innamoramento svapora un po’.
Applausi a scena aperta per Pietro Mattarelli nel ruolo di Giulio, il simpatico cameriere dell’hotel che si muove con grazia tersicorea. Completano il cast Andrea Verzicco, l’avvocato/amico di Edward (Philip Stuckey) e Lorenzo Tognocchi (David Morse), il capo della grossa compagnia marittima che Edward vuole comprare.
Scena funzionale che diventa caseggiato, albergo o teatro (di Carla Janssen Höfelt), mentre i costumi di Ivan Stefanutti sono una sinfonia di colori. Sul finale non poteva mancare Oh Pretty Woman di Roy Orbison e quindi tutti in piedi a ballare e ad applaudire.