Un “Rebecca” rimaneggiato e sforbiciato ma dal fascino immutato.
I Vereinigte Bühnen Wien (I Teatri Riuniti di Vienna) hanno rimesso in scena, lo scorso 22 settembre, Rebecca il musical di Michael Kunze e Sylvester Levay che ha debuttato nel 2006. Il team artistico è stato rimaneggiato: la regia è sempre quella di Francesca Zambello, più incisiva, grazie a qualche sforbiciata, rispetto alla prima versione, Peter J. Davison è lo scenografo, i costumi rivisti sono quelli di Birgit Hutter. Sono cambiati il coreografo, Simon Eichenberger; il light designer, Mark Mccullogh; il sound designer, Thomas Strebel e il responsabile dei video, oggi una donna, S. Katy Tucker.
Nuovo cast (nella nostra replica l’assegnazione dei ruoli era diversa rispetto alla prima) e sul podio, non più Caspar Richter, ma Herbert Pichler.
Lo spettacolo sta andando in scena con grande successo al Raimund Theater completamente rinnovato.
La storia è tratta dal romanzo di Daphne Du Maurier, Rebecca la prima moglie (1938), l’opera che ha sempre identificato la scrittrice, nonostante lei non amasse essere chiamata “l’autrice di Rebecca”. Testo adattato per la radio nello stesso anno da Orson Welles e poi prima produzione hollywoodiana nel 1940 di Alfred Hitchcock con Lawrence Olivier e Joan Fontaine.
Lo spettacolo riconferma la sua cornice visiva sfarzosa e purtroppo per noi, anche Rebecca si allinea a quegli spettacoli inesportabili in Italia perché troppo complessi, per scene, struttura e capacità di un teatro, numero di tecnici e attori.
Fortuna che Vienna non è all’altro capo del mondo.
La Zambello vi ha rimesso mano: l’azione incalza, qualche dialogo è stato accorciato, infatti delle tre ore originali oggi lo spettacolo, compreso l’intervallo, dura due ore e quaranta. Se nel 2006 ci chiedevamo l’esito di Rebecca su un pubblico giovane visto che molte produzioni allora erano rockeggianti, strizzando l’occhio alla contemporaneità, pensiamo soltanto a Mozart capelli rasta, jeans sfilacciati e cappottone lungo, oggi possiamo dire che questo musical gotico-rosa è diventato un classico per un pubblico trasversale.
La coppia protagonista, Ich e Maxim de Winter è formata rispettivamente da un’olandese, Nienke Latten, recitazione sempre allineata al personaggio e alle situazioni e una voce limpida, e il tedesco Mark Seibert, ormai di casa a Vienna. Presenza scenica da vendere, voce calda e profonda.
Seibert che abbiamo visto a Trieste nel 2012 al Politeama Rossetti in Elisabeth accanto ad Annemieke van Dam nel ruolo del titolo, che in Rebecca, invece, interpreta Mrs. Danvers, la governante. Un ruolo questo che ci ha lasciati perplessi, non per le sue capacità canore, ma per il suo aspetto. La signora van Dam ha un viso molto bello e dolce e nonostante cercasse di atteggiarlo in maniera arcigna, saettando lo sguardo, risultava sempre troppo dolce. Certo la sua figura alta, magra, vestita di nero è inquietante, una nube densa nell’innocenza e ingenuità della giovane signora de Winter, ma ripetiamo, il suo viso da madonna stona con il ruolo assegnatole.
Un po’ troppo esuberante nella recitazione la signora Van Hopper di Annemarie Lauretta, la datrice di lavoro di Ich a cui la giovane fa da dama di compagnia prima di incontrare Maxim de Winter. La sua performance I’m an american woman ha mandato comunque in visibilio il pubblico.
Tutto il cast crepita bravura. Nei pezzi d’insieme si muovono in perfetta sincronia, addobbati sontuosamente, pensiamo ai costumi che vediamo sfilare inizialmente nella hall dell’albergo a Montecarlo, ma anche quelli della festa a Manderley che richiama la famosa Masquerade del Fantasma dell’Opera, non più rossi come nella prima edizione ma color oro.
Affarista e viscido, pronto a cogliere l’opportunità di denunciare Maxim, accusandolo di aver ucciso Rebecca sua prima cugina e amante, il Jack Favell di Boris Pfeifer; in una folata di tweed ecco Beatrice la sorella di Maxim, la simpatica Silke Braas-Wolter e anche Aris Sas dà al suo Ben quell’aria stranita e allucinata che calza a pennello a questo personaggio idiota e terrorizzato da Rebecca. James Park (Frank Crawley) che interpreta l’amico di Maxim e responsabile della tenuta, è un perfetto gentleman.
Come non restare poi a bocca aperta per i continui cambi di scena che ti proiettano nella biblioteca di Manderley, nella monumentale camera di Rebecca con questa tappezzerie che sembrano tridimensionali, un merletto gigantesco. Ogni elemento di scena è perfetto e curato (che Davison abbia appreso la lezione di Visconti?), mentre le luci spennellano situazioni e stati d’animo dei personaggi. E la scena finale con l’incendio di Manderly? Vedere lo scalone invaso dal fuoco fa venire i brividi. Nonostante incomba su tutto il leit-motiv Rebecca, nonostante il vento getti sui volti di Maxim e Ich le ceneri di Manderly, l’amore alla fine trionfa.
L’happy end a cui tutti vogliamo credere.