ALLAVITA!: un brindisi al successo
di Lucio Leone
Il mondo può sempre essere idealmente diviso in due: da una parte c’è chi ama qualcosa e dall’altra chi invece la detesta. Chi ama i musical e chi non li regge per esempio, chi ama il circo e chi non lo sopporta. Risulta un pochino più difficile immaginare invece che se ad una persona viene la voglia di partecipare a questa festa di colori e luci e suoni chiamata Cirque Du Soleil (una festa che abbastanza puntualmente arriva nel bel paese, stupisce e fa incassi da capogiro), a quella stessa persona possa poi non piacere quel che vede per cui, forse, riferendoci agli spettacoli del Cirque in generale (e a quello oggetto della presente recensione nello specifico) diciamo che al massimo ci può essere chi riesce a seguire il senso della storia messa in scena e chi no. Apprezzando a prescindere.
Le critiche infatti, se e quando ci sono state, sono comunque quasi sempre venute dai puristi del circo inteso come spettacolo storico con una serie di stilemi che il contemporary circus (movimento nato alla metà degli anni ’60 del secolo scorso che vede nella compagnia canadese il più illustre e famoso membro) ha ribaltato, reinventato rispetto al tradizionale tendone con presentatori ed animali alternati ad acrobati e clown, e che si sono sentiti traditi nella sostanza più che nel risultato. Oppure sono state rivolte ad una sorta di marchio di fabbrica del Cirque che caratterizza fortemente tutte le produzioni che si sono succedute nel tempo fino a far sembrare ripetitivo lo schema impiegato (ma questo vale per gli aficionados che di spettacoli ne hanno visti molti).
In definitiva l’idea alla base degli spettacoli del Cirque Du Soleil, fin dal quel lontano 1984 in cui una coppia quebechiana di artisti da strada decise di pensare in grande e reinventare le street performance sposandole al mondo del circo è (o almeno era) originale ed è (tuttora) affascinante. La Storia del resto insegna che quell’idea si è presto trasformata in un business di successo (a cui non erano estranei anche degli investitori lungimiranti, primo tra tutti il Governo canadese) fino a trasformare la Società costituita nell’attuale colosso dell’intrattenimento capace di numeri impressionanti: oltre 40 spettacoli messi in scena, più di 800 milioni di fatturato annuo, 5000 persone assunte tra artisti e impiegati…
Numeri da capogiro come si intuisce, ma tornando all’oggetto di questa recensione, seppur con un allestimento per certi versi “ridotto” e limitato a “sole” 80 repliche (poche per gli standard del Produttore ma molte per i palcoscenici nostrani), anche questo ALLAVITA! – lo spettacolo inedito e espressamente pensato per EXPO 2015 – è uno show del Cirque a pieno titolo che vede in scena 48 artisti (di cui ben 23 italiani) alternarsi in 14 quadri legati al tema dell’alimentazione ecosostenibile di EXPO 2015 sposato però alla formula del viaggio onirico tanto caro ad altri titoli precedenti della stessa Compagnia come Quidam, Zarkana o Kurios. Anche ALLAVITA! infatti è costruito come un lungo sogno visionario – in questo caso quello del giovane Leonardo (interpretato da un ottimo Giacomo Marcheschi, che pur se in un ruolo solo mimato e danzato riesce perfettamente a regalare al proprio personaggio quel senso di freschezza e tenera ingenuità necessari al ruolo) – a cui la nonna regala un seme magico dal quale nascerà Farro, una creatura fantastica ed antropomorfa alta tre metri (mossa da un team di ottimi burattinai) che lo porta – come un novello Virgilio – a scoprire il mondo attorno a sé e a guardarlo in maniera illuminata e più profonda.
I numeri messi in scena sono, inutile dirlo, ipnotici. La danza volante dei due amanti, il tenero ondeggiare delle corolle dei fiori (su degli altissimi pali in vetroresina), la pioggia che cade sono una gioia ed una festa per gli occhi. Togliere la suspense del pericolo dai numeri del circo “tradizionale” sostituendola con grazia e poesia rende questo genere di intrattenimento unico nel proprio genere e gli regala una specie di magia difficile da trovare in maniera così composita altri generi teatrali, che si tratti di balletto, prosa o musical.
La musica è come sempre inedita e perfettamente legata all’azione teatrale, così come lo sono proiezioni, il progetto luci e soprattutto i costumi. Dispiace solo che nello scarno comunicato stampa tutto questo non sia minimamente riportato e difetti dei crediti degli ottimi professionisti che comunque hanno saputo dare a ALLAVITA! senso e ritmo (cominciando con la coppia dei compositori Bob & Bill che per il Cirque hanno scritto le partiture di altri famosi spettacoli). La regista Krista Monson deve quindi prendersi idealmente carico di estendere ai propri compagni il giusto merito e gli apprezzamenti per il proprio lavoro, mentre è da delegarsi ad alcuni ottimi artisti attivi nel panorama del musical italiano (oltre al già citato Marcheschi il cast comprendeva tra gli altri il ballerino-coreografo Giordano Orchi e la danzatrice ed acrobata Annalisa Loiodice) quello di estendere il plauso ed i complimenti ai propri colleghi. Un cast che questi cari Canadesi, ça va sans dire, come sempre scelgono con molta attenzione e che è indiscutibilmente uno dei punti più forti di ogni singolo spettacolo prodotto dal Cirque fatto com’è dall’eccellenza nelle rispettive discipline artistiche che siano teatrali, circensi o acrobatiche.
Oltre alla scarsità del comunicato stampa dispiace vedere come anche sul sito www.cirquedusoleil.com le informazioni siano praticamente inesistenti a parte un rimando verso una scarna paginetta molto poco accattivante rispetto a quelle allestite per altri spettacoli. Il sospetto che vorrei disperatamente scacciare è che l’abbiano loro stessi per primi considerata più una marchetta che un progetto artistico.
Tralasciando però la mancanza di informazioni e promozione inspiegabili e di difficile interpretazione insieme alle lodi ci sono essenzialmente solo due critiche che mi sento di muovere a ALLAVITA!: la prima è che la parte dei tre clown con una comicità muscolare tipica di molti spettacoli del Cirque, si sia espansa e protratta oltre il consueto. Capisco che si tratti di un retaggio del glorioso mondo dei clown e che l’intermezzo leggero faccia parte della Storia di questa Compagnia, ma temo che questa parte dello show abbia solo rallentato il ritmo dello spettacolo togliendo invece di aggiungere.
La seconda è che ALLAVITA! sembra in effetti partecipare soltanto in maniera trasversale e marginale (ma come ad onore del vero e del resto hanno fatto anche molti padiglioni nazionali) al tema di EXPO. Ma né l’una né l’altra cosa (o le immancabili banalotte citazioni a Pavarotti e a Cutugno, che per gli stranieri che allestiscono uno spettacolo destinato all’Italia sembrano assolutamente necessarie) nulla tolgono all’ora e mezza davvero piacevolissima in cui ho seguito con lo stesso stupore di quando ero piccolo le evoluzioni degli acrobati, la perfezione dei movimenti scenici, l’alternarsi di costumi meravigliosi e immagini suggestive. Perché in definitiva non mi interessa se l’ispirazione è genuinamente artistica o meramente commerciale: mi limito a giudicare il risultato proposto, e seguendo se non la Storia di Leonardo e di Farro (lo ammetto, sono uno di quelli per cui non è indispensabile capire che succede mentre succede) certamente la spettacolarità dell’azione scenica io questo ALLAVITA! l’ho trovato francamente decisamente meritorio.
Concludo con una piccola nota polemica: non molto tempo fa è uscito un pezzo critico sul successo (o meglio su un supposto flop) di questo spettacolo su un importante quotidiano nazionale che sosteneva come gli 11000 posti dell’Arena non si fossero mai riempiti in quelle 80 repliche. Certo, tra le tante divisioni del mondo possiamo contare anche e forse soprattutto quella che vede contrapposte le fazioni di chi generalmente vede il bicchiere mezzo pieno e chi mezzo vuoto. Ma se tenete presente che la media di ALLAVITA! è stata di circa 2000 spettatori paganti a replica (oltre ai “braccini corti” che si sono assiepati al di là del recinto dell’Arena godendosi lo show a sbafo, risparmiando così il costo del biglietto da 25, 30 o 35 € che fosse) con punte frequenti di oltre 7000 persone come ad esempio la sera infrasettimanale di fine agosto in cui l’ho visto io (oltre a un paio di sold out), mi viene da sottolineare l’ovvio: quale altro spettacolo in Italia negli ultimi anni ha potuto contare sia di una lunga tenitura sia di questa media di spettatori? Per cui, se volete, continuate a vederlo semivuoto il bicchiere ma almeno tenete presente che io, così come gli altri 6999 spettatori attorno a me, lo abbiamo considerato comunque contenere un ottimo vino, magari non originalissimo, ma comunque ottimo. Cin cin, salute.