In scena e dietro le quinte un cast di artisti che rende l’incontro sicuro al 100%
di Ilaria Faraoni
Quante volte sulle pagine della rivista cartacea Musical!, poi di Musical! On line o di Central Palc è stato scritto che in Italia, nel teatro musicale, abbiamo degli artisti straordinari ma non li valorizziamo abbastanza? Accecati dal mito dell’estero non ci rendiamo conto che per talento e capacità non siamo secondi a nessuno e che per buon gusto e cultura siamo i primi in assoluto. In più ci si mettono, in alcuni casi, logiche discutibili e non si tiene conto che certi artisti di valore dovrebbero occupare ben altri posti e posizioni nei cartelloni delle stagioni teatrali.
Ecco allora che i nostri performers, ai quali non mancano le scritture nelle grandi produzioni, per mettere a frutto al 100% estro, capacità e creatività, per portare avanti un discorso in cui credono e la loro personale visione di fare teatro, si organizzano e mettono su spettacoli nuovi, dove osare un po’ di più al di fuori degli schemi consolidati e classici; oppure portano in scena testi importati dall’estero, ma sempre particolarmente ricchi di trovate e costruzioni narrative e registiche alternative allo standard del musical o commedia musicale noto ai più in Italia. Ne risulta che spesso, nel circuito più piccolo, si può assistere ai lavori più interessanti, al fermento creativo, ad unioni di ingegni e soprattutto di cuori che battono insieme per inseguire piccoli sogni da realizzare.
È il caso di Appuntamento al buio, versione italiana di First Date – Broadway’s Musical Comedy – di Austin Winsberg (testo) e Alan Zachary e Michael Weiner (musiche e liriche) – che è arrivato per la prima volta in Europa grazie all’accordo con R&H theatricals Rights di Londra ed è andato in scena, per ora, per soli due giorni al Centrale RistoTheatre di Roma.
Come per due perle come Ciao Amore Ciao – Tenco e Dalida tra musica e amore e Ti amo, sei perfetto, ora cambia, anche in Appuntamento al buio c’è lo zampino geniale di Piero Di Blasio (ormai un punto di riferimento solido) che in questo caso firma l’adattamento delle liriche e la regia; il tutto però nasce dall’input di Eugenio Contenti che, lavorando a New York, si è innamorato dello spettacolo e lo ha proposto, adattandone poi i testi (la presentazione dello spettacolo QUI).
La storia, che apparentemente potrebbe sembrare semplice – un ragazzo ed una ragazza che, agli antipodi nei modi di essere, di vestire e di pensare, si vedono per un appuntamento al buio, organizzato da amici e parenti – è costruita in modo talmente ben articolato da non suscitare mai un attimo di noia. Nessuna lungaggine, nessun tempo morto grazie alla struttura stessa con cui nasce il testo e grazie alla regia di Di Blasio; lo spettacolo, senza intervallo, scorre e avvince senza dare modo di pensare: “Ma quando finisce?”.
L’assenza dell’intervallo è inoltre la scelta giusta per il tipo di impostazione di cui gode Appuntamento al buio, esaltata qui dalla location stessa, un RistoTheatre appunto, nella cui platea un bancone da bar reale si mescola alla scenografia, rendendo il pubblico al tempo stesso spettatore e avventore del locale immaginario dove si svolge la storia; e infatti, prima dell’inizio, Fabrizio Checcacci, che nella finzione interpreta il cameriere metà impiccione e metà istrione aspirante showman, serve realmente da bere al pubblico che si accomoda in sala e spesso, durante lo svolgersi dell’azione principale, “lavora” nella zona bar, proprio nello spazio degli spettatori, che osservano il resto della scena posta in alto e alle spalle del bancone.
Già da tale elemento si può capire lo spirito di Appuntamento al buio: un continuo alternarsi di realtà (pur sempre nella finzione) e immaginazione nella quale i protagonisti Casey (Laura Galigani) e Mike (Antonio Orler) colloquiano e “lottano” rispettivamente con la sorella Maggie (Silvia Di Stefano), il best friend forever Alex (Maurizio Di Maio) e gli ex fidanzati “cattivi ragazzi” (Luciano Guerra e Maurizio Di Maio) per quanto riguarda Casey e con l’amico “piacione” Nick (Luciano Guerra) l’ex fidanzata Allison (Laura Pucini) e la madre morta prematuramente (ancora Silvia Di Stefano) per quanto riguarda Mike.
Tutti gli interpreti poi, ad eccezione della Galigani e di Orler, hanno tre funzioni: impersonano gli avventori del locale, costantemente seduti ai tavolini, salvo poi alzarsi improvvisamente e assumere la funzione divertentissima e a tratti surreale di commento allo svolgersi della vicenda, a mo’ di coro greco in chiave comica e sopra le righe; infine interpretano i ruoli sopra citati e altri personaggi necessari all’occorrenza, per dipingere quadretti che strappano gli applausi.
Una grande prova di abilità dunque per gli artisti che devono entrare ed uscire continuamente dai ruoli e dai propri compiti, rimanendo per giunta sempre in scena, fingendo di chiacchierare spontaneamente con i rispettivi partner al tavolino. Mai sottovalutare le controscene, che non devono prevaricare rubando l’attenzione all’azione principale, ma che devono essere sempre impeccabili, qualora uno spettatore decida di puntare l’occhio sugli altri interpreti e non su quelli che stanno svolgendo l’azione in primo piano: qui il lavoro è riuscito alla perfezione.
Una macchina dunque ben congegnata, il cui funzionamento si deve non solo agli autori e alla regia, ma anche agli eccezionali interpreti: Laura Galigani riesce ad essere davvero antipatica e cinica sulle prime, per mostrare poi le debolezze nascoste e la sensibilità che conquistano il pubblico; Antonio Orler sembra veramente il bravo ragazzo impacciato e timido e proprio per questo si scatena l’entusiasmo degli spettatori quando finalmente esplode contro l’immagine della sua ex, che fino a quel momento lo soggiogava: una vera e propria liberazione; la ex, Laura Pucini, fornisce una caratterizzazione coi fiocchi, con tanto di pose ricorrenti che fanno divertire e pregustare le sue prossime entrate in scena; Fabrizio Checcacci ha un’aria maliziosa al punto giusto che lo fa arrivare sempre a segno quando lancia le sue frecciatine quasi senza parole; il tutto per arrivare all’esibizione (sempre ironica) nel bel mezzo della cena, dove esprime il pieno della sua potenza vocale; Luciano Guerra diverte tanto con il suo Nick, ben studiato anche a livello di espressione fisica, donnaiolo dispensatore di consigli (mai seguiti dall’amico) la cui massima aspirazione da macho è poi fare la maratona dei film/telefilm di Star Trek; Maurizio Di Maio è irresistibile con il suo Alex, l’amico gay di Casey. Suo è il tormentone dello spettacolo, quello dei messaggi (rigorosamente cantati) lasciati sulla segreteria telefonica dell’amica, che puntualmente non gli risponde. Il suo personaggio si carica e va in crescendo per esplodere nel finale: una vera bomba. A Di Maio e a Checcacci è lasciato inoltre il sottofinale con tanto di bandiera arcobaleno, quel lieto fine che sembra (non riveliamo troppo) non esserci stato invece per i protagonisti.
Dulcis in fundo c’è Silvia Di Stefano: un’artista rara di quelle che riempiono il teatro della loro sola presenza anche senza fare niente. Imperdibile vederla qui nei panni della nonna italiana di Mike con una caratterizzazione che spazia dalla nonnina del Far West a quella di Cappuccetto Rosso, con una vis comica potentissima; al tempo stesso Silvia riesce ad essere di una profondità e dolcezza uniche interpretando la mamma del protagonista, quando canta la lettera di addio al figlio prima di affrontare l’operazione che le sarà fatale. Un momento di forte intensità che entra nella trama così divertente senza stonare minimamente; un nome, quello della Di Stefano, che ci si augura di vedere sempre in scena perché fa davvero la differenza in qualsiasi ruolo.
Apprezzamenti anche per le scenografie, costituite da principio da quattro finestre con serrande e altrettanti balconi stilizzati di diversi colori e stili, che, spostate dagli attori stessi, che agiscono dietro di esse, si aprono per dare pieno spazio al locale dell’appuntamento.
La direzione musicale, firmata da Giovanni Maria Lori è impeccabile e rende al meglio i vari generi toccati dalla partitura. In futuro non sarebbe male pensare anche ad una versione live, anche con pochi elementi, che esalterebbe, nei teatri più piccoli, le vocalità degli interpreti, conferendo quel tocco in più che la musica dal vivo regala e rendendo più comprensibili le liriche, che purtroppo qua e là si sono perse per le casse troppo alte.
I costumi, tutti giusti per i personaggi, sono di Paola Landini.
I movimenti coreografici che coinvolgono l’attenzione con la semplicità dell’energia sono firmati da Luca Peluso (l’Eugene dell’attuale versione di Grease della Compagnia della Rancia) che ha lavorato in stretta collaborazione con Di Blasio, come aiuto.
Speriamo di aver reso bene l’idea dello spettacolo (consigliato più ad un pubblico di adulti che di bambini) visto che, come cantato dal cast in un divertente quadretto in cui ogni interprete, capitanato da Google, impersona un social network: «Se passa in rete è per sempre perciò occhio a quello che fai».
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