Ruffini e Frattini nel nuovo musical della Rancia trasformano gli spettatori nel popolo di Microbia, alla ricerca della sposa giusta per il Principe.
di Ilaria Faraoni
Metti insieme sul palco Paolo Ruffini e Manuel Frattini ed ecco Cercasi Cenerentola, la nuova produzione della Compagnia della Rancia, in collaborazione con Medina Produzioni, che ha debuttato in prima nazionale nella capitale, al Teatro Brancaccio, dopo alcune anteprime.
Lo spettacolo porta con sé ricongiungimenti e separazioni: segna infatti il ritorno alle origini, in un progetto tutto nuovo, di Frattini e di Stefano D’Orazio, che proprio con la Rancia, in tempi e modi diversi, debuttarono nel mondo del musical; e ancora Manuel e Paolo si ritrovano di nuovo insieme sul palco dopo l’esperienza di “80 voglia di ’80”; allo stesso tempo si tratta della prima volta che l’ex batterista dei Pooh non si avvale dell’apporto musicale dei compagni di un tempo in un suo lavoro teatrale. A prenderne il posto è Stefano Cenci musicista, compositore, arrangiatore e produttore solido che qui ha fatto un bel lavoro di stile costruendo in modo credibile il mood degli anni tra i Cinquanta e i Sessanta, periodo scelto per la rivisitazione della fiaba: e non si parla solo dei pezzi rock and roll per i quali il compito è più facile, ma della visione musicale d’insieme (anche se non mancano brani d’ispirazione contemporanea), alla quale contribuiscono senz’altro anche la direzione vocale di Lena Biolcati (particolarmente evidente la ricerca stilistica nel brano “Vado al ballo” cantato da Cenerentola) e le orchestrazioni di Riccardo Di Paola.
Il testo, scritto da Saverio Marconi e da D’Orazio (che firma anche le liriche), presenta diversi elementi che ormai identificano l’impronta di quest’ultimo: due su tutti la raffica di battute ostentatamente caricate e la presenza di una protagonista femminile volitiva, un po’ ribelle, certamente non disposta a sottomettersi agli uomini, alla società, alla sorte che le sembra destinata.
La storia si snoda, pur tra tante diversità, all’interno di paletti “entro e non oltre” i quali rimanere e andare (per usare un tormentone dello spettacolo) per essere fedeli agli avvenimenti così come sono radicati nell’immaginario collettivo, grazie all’evoluzione della originaria storia popolare attraverso Basile (dove Cenerentola/Zezolla diventa perfino assassina), Perrault, i fratelli Grimm, fino ad arrivare alla versione Disney.
La cifra stilistica dello spettacolo, diretto da Marconi stesso insieme a Marco Iacomelli (regia associata) è quella della comicità sopra le righe: non potrebbe essere altrimenti con un Principe interpretato da Paolo Ruffini che ribalta, da copione, il punto di vista della narrazione diventandone protagonista; è delucidante, a questo proposito, il titolo del musical che non è infatti “Cenerentola” ma “Cercasi Cenerentola”.
Ci si trova così davanti ad una storia che, seppure adattissima ai bambini, non sembra essere rivolta specificamente a loro, come si potrebbe pensare, anche e soprattutto perché la presenza dell’attore toscano crea un divario voluto tra storia della fiaba – portata avanti da tutto il cast che interpreta i ruoli in maniera tradizionale – e tempo del cabaret (più comprensibile per un pubblico adulto che sa certi meccanismi) dove Ruffini fa Ruffini e interagisce con gli spettatori creando uno sfasamento temporale. Abbattendo la famosa quarta parete, il 2014 irrompe negli anni Cinquanta in diversi momenti dello spettacolo (altra caratteristica di D’Orazio la contaminazione tra le epoche). Gli spettatori, per tutto il tempo della commedia, diventano il popolo di Microbia, il non meglio specificato minuscolo Regno tra il Danubio blu ed il biondo Arno.
Tutto questo fa sì che la riuscita di alcune scene (che occupano una discreta parte dello spettacolo) sia affidata direttamente al pubblico femminile “pescato” in platea da Ruffini: se la scelta è azzeccata si ride parecchio e si assiste a situazioni esilaranti (alcune signore hanno meritato applausi a scena aperta); al contrario si rischia di rallentare i ritmi: “un rischio calcolato” direbbe il protagonista di qualche storia d’azione.
Paolo Ruffini si diverte ed è divertente, di replica in replica più contenuto (lo spettacolo dal debutto romano sta subendo degli aggiustamenti e dei tagli in corso d’opera) anche se per ora resta un particolare gioco di parole fastidioso e fuori luogo di cui si potrebbe fare molto volentieri a meno. Farebbe anche piacere vedere Ruffini impegnato ancor di più di quanto non sia in momenti più complessi a livello recitativo, visto che nello spettacolo in questione e altrove ha dato prova di esserne all’altezza.
Per quanto riguarda l’aspetto vocale, la scelta è stata quella di non far cantare Paolo, che si esibisce esclusivamente in pezzi rap. La canzone d’amore tra Cenerentola e il Principe, musicalmente molto coinvolgente, è risolta in modo ingegnoso (con un mix tra “Cyrano de Bergerac” e “Cantando sotto la pioggia”) utilizzando in parte la splendida voce di Frattini: la scelta, se da un lato è esilarante perché la situazione da romantica diventa farsesca – sia per lo scambio vocale dei due protagonisti, sia per l’arrivo delle sorellastre – dall’altra lascia un po’ di amaro a chi avrebbe gradito, data la presa del brano, un momento che fosse magico fino in fondo. E soprattutto pone l’accento, sia pure volutamente e in modo da trarlo a proprio vantaggio, sul fatto che Ruffini non canta.
Per la filosofia secondo la quale va dato a ciascuno il suo, a Manuel Frattini – protagonista alla pari nel ruolo del consigliere Rodrigo – viene affidata la parte “musical” vera e propria. Quando è in scena sono scintille e l’esplosione arriva già nel primo atto, con un assolo di pura abilità che termina poi in un tip tap tutto lustrini che è una gioia per gli occhi: energia contagiosa picchiata sulle tavole del palcoscenico, maestria, leggerezza e carisma palpabile nell’aria che strappa applausi a numero non ancora terminato e ovazioni finali. Frattini poi, si sa, ha i tempi comici innati, è sempre pronto alle improvvisazioni del compagno di scena; ha la capacità istintiva e l’esperienza per andare a risolvere anche tutte quelle situazioni che potrebbero diventare scomode a causa del fattore “interazione col pubblico”. Suoi sono anche i riuscitissimi equivoci o tormentoni (sfruttati poi da Ruffini) generati dai vocaboli desueti e altisonanti usati da Rodrigo come “IMMANTINENTE!”. Oltre a brani più divertenti e movimentati, a Manuel sono affidati anche il già citato duetto con Cenerentola (“Che notte stanotte”) e la canzone “Colpo di fulmine” con la quale finalmente può esprimere la sua carica emozionale: e si vola! Del resto Manuel Frattini è il musical italiano “per antonomasia”, per utilizzare un’altra delle espressioni del suo Rodrigo.
Sarebbe bello che il suo personaggio venisse maggiormente approfondito dagli autori: “Chi è Rodrigo?”, “Qual è il suo passato?”, “Quali sono i suoi sentimenti?”, “Come si è sviluppato il suo rapporto di affetto con il Principe?”, “Perché vacilla davanti al denaro al punto di diventare un imbroglione, salvo redimersi davanti alla confessione d’amicizia del Principe?”. Le risposte a queste domande caricherebbero anche maggiormente il brano di cui sopra. In sostanza ci si entusiasma e tanto per il grande artista che è Frattini, per le sue performances, meno per il personaggio in sé, visto che questo non è costruito e pensato così sopra le righe come quello della matrigna da non aver bisogno di una storia sua.
Beatrice Baldaccini è una Cenerentola indovinata, in linea con il tipo di “eroina” alla D’Orazio: la giovane performer, già con un bel bagaglio di esperienze, è brava, propone il suo personaggio con il giusto mix di forza, ironia (particolarmente divertente il brano che non riesce mai a terminare a causa della matrigna e delle sorellastre). Dotata di una voce precisa e sicura, nei momenti più drammatici sa toccare le giuste corde emotive.
Un grande applauso va poi al trio Avidoni che rappresenta uno dei punti di forza dello spettacolo: si tratta di Laura Di Mauro/la matrigna Velenia, Silvia Di Stefano/Anastasia e Roberta Miolla/Genoveffa.
Non si è voluto cedere al facile cliché della cattiveria associata alla bruttezza: qui siamo infatti davanti a tre belle donne (come vuole anche la versione dei fratelli Grimm); si è lavorato sull’interpretazione e i risultati sono fantastici. Laura Di Mauro vince e spopola, insieme agli autori e ai registi, in una prova all’ultimo duello con il vocabolario: perché sembra facile far ridere con gli strafalcioni, ed in effetti lo è, ma non quando questi sono reiterati per tutta la durata dello spettacolo; si potrebbe cadere nel “troppo che stroppia”, ci si potrebbe stancare e invece no! Velenia fa ridere assolutamente dall’inizio alla fine e immancabilmente si sente il pubblico che ripete, con ilarità, le gaffes linguistiche metabolizzandole con qualche secondo di ritardo, tanta è la velocità e la naturalezza con la quale vengono sparate.
Roberta Miolla, la sorella che tartaglia, è una scoperta, anche se non siamo di certo davanti ad una esordiente. Ottime qualità anche nel canto! Delle due è la “gemella” che balla: sempre per la scelta “a ciascuno il suo”, le è stato cucito addosso, come numero di punta personale, un momento di ballo coinvolgente tra spaccate e gambe all’orecchio a suon di can can e ritmi latini.
E poi c’è Silvia Di Stefano: la “gemella” che canta (ma che balla anche insieme all’ensemble). Silvia, si sa, è un’artista di grandissimo temperamento e forte presenza sul palco. Una garanzia! Da notare tutte le sue controscene, oltre alle scene principali. Il suo numero di punta, arriva nel secondo atto: un pezzo di bravura che chiama applausi a scena aperta e scatena le successive acclamazioni finali; un brano dove la Di Stefano sfodera la sua potentissima voce e si trasforma in un juke box vivente che passa repentinamente da “Vesti la giubba” (o “Ridi, Pagliaccio”) a “Heidi”.
Nel ruolo della Fata, qui Clementina, c’è Claudia Campolongo: un po’ pasticciona, un po’ donna organizzatrice di vite altrui dal piglio deciso e sbrigativo, un po’ alla ricerca della sensualità. Brava la Campolongo a rendere tutte queste sfumature; al suo arco una vocalità esperta e accattivante: non ci si aspetta niente di meno da lei vista la sua appartenenza al gruppo “Le voci sole” (di cui fa parte anche la Baldaccini) che si propone di giocare con la voce come se fosse uno strumento musicale.
Completano il cast Gianluca Sticotti (il simpatico cagnolino Gedeone trasformato in umano autista), Luca Spadaro (il paggio), Silvia Contenti e Rossella Contu.
Molto belli alcuni significati aggiunti alla fiaba (che aveva altri intenti prioritari, più datati) come quello di cui si fa portatore il Principe (che al di là della superficialità apparente è un personaggio che ha un suo preciso spessore): amare vuol dire rendere felice la persona che si ha accanto. Ancora si potrebbe citare l’ammonimento che Clementina dà a Cenerentola: non attribuire agli altri la colpa delle proprie sconfitte.
Le coreografie di Gillian Bruce puntano sull’energia: da ricordare un felice momento con tutto il cast in slow motion a contrasto con il Principe e Cenerentola a velocità normale, in secondo piano, sulla barca. I costumi (particolarmente belli gli abiti impreziositi da pietre e perline di Cenerentola, il tailleur brillante della fata, la divisa di Rodrigo, l’abito dorato della matrigna) sono firmati da Carla Accoramboni. Le scene sono di Gabriele Moreschi; colpiscono per l’atmosfera incantata e sognante – complice il disegno luci di Valerio Tiberi – due quadri su tutti: quello del ballo con il cielo stellato e i rampicanti e quello, al chiar di luna, che segna il primo incontro tra la fata e Cenerentola, con tanto di pioggia scintillante perché, se pur di rivisitazione ironica e in chiave moderna si tratta, un pizzico di magia luminosa vecchio stile arriva sempre dritta al cuore.
Faccio i miei complimenti alla brillante giornalista Ilaria Faraoni per aver offerto ai lettori di Musical! una recensione di “Cercasi Cenerentola” analitica e approfondita in ogni sfaccettatura. Condivido moltissimo il punto di vista della Dott.ssa Faraoni, e anche a me personalmente, piacerebbe vedere un futuro approfondimento del personaggio di Rodrigo, in modo da bilanciarne il peso artistico, visto che è interpretato da un grande performer internazionale come Manuel Frattini. Di questo bellissimo musical ho adorato tutto, l’ambientazione anni ’50, gli splendidi costumi, le scenografie, le coreografie, le canzoni, e naturalmente gli interpreti, tutti dei grandissimi professionisti.
Grazie a te, Flora! Ci uniamo anche noi ai complimenti che fai alla nostra Ilaria Faraoni!
Prfettamente daccordo con te. Unica pecca dello spettacolo i saluti finali….mi sarei aspettata di veder uscire insime i due protagonisti prima di chiamare l’ensenble visto che il nome diFrattini e accanto a quello di Ruffini e non sotto….
Molte cose, scritte in questo articolo, danno forma a pensieri e sensazioni che ho provato anche io a teatro, pur non sapendo esprimerle allo stesso modo. Altre invece mi hanno fatto riflettere su aspetti che non avevo colto…. Spesso si leggono recensioni che assomigliano troppo ai comunicati stampa, che non dicono nulla a noi lettori e che credo non servano nemmeno agli addetti ai lavori. Dopo un articolo come questo, se non avessi già visto lo spettacolo, vorrei andarlo a vedere