Lo spirito dei fratelli Gershwin e della golden age del musical rivive grazie a Manuel Frattini nello splendido allestimento, firmato da Mauro Simone, di Crazy for You per la BSMT di Bologna
di Lucio Leone – Fotografie Gerebros
Piccola, doverosa premessa a questa recensione. Un critico, e alcuni si stupiranno, è comunque un essere umano. Con gusti e preferenze. Anche per quello che riguarda la sua area di competenza e lavoro. Nella fattispecie il sottoscritto si è innamorato del “musical” grazie a una serie di film in bianco e nero con la coppia Astaire-Rogers e le musiche di Irving Berlin, Cole Porter, Gershwin. Dico questo come cappello introduttivo per spiegare che le aspettative per questo Crazy for You messo in scena come spettacolo di fine anno dalla Bernstein di Bologna con Manuel Frattini protagonista, erano oggettivamente molto alte, malgrado la sua vocazione di “saggio”. E altrettanto alto, forse persino di più, era lo standard che doveva raggiungere per poter soddisfare il mio gusto personale, per farmi ritrovare il sapore e la memoria del mio primo innamoramento per questo genere di spettacolo.
Potete a questo punto immaginare il piacere che ho provato vedendo quello che Frattini, Simone, Bruce e Farrell sono riusciti a fare. Per di più devo anche premettere la mia preoccupazione che questo chiamare in scena Manuel Frattini finisse per essere una sorta di battesimo artistico per i ragazzi dell’Accademia BSMT, e che volendo un nome come lui nelle vesti di padrino ne avrebbe risentito l’equilibrio dello spettacolo. Sono tuttavia bastati pochi minuti perché mi dimenticassi completamente dello status di star di Manuel Frattini e della differenza anagrafica con i suoi compagni di scena. Frattini evidentemente ha davvero lo stesso amore e rispetto per questo materiale che ho io, e ha saputo dargli vita non plasmandolo su di sé, come sarebbe stato anche potenzialmente lecito aspettarsi vista la sua carriera e capacità, ma facendo con intelligenza e gusto l’operazione inversa. Mettendo quindi al servizio dello spettacolo tutto quanto aveva disponibile, il proprio talento e la propria esperienza con una operazione onesta e coscienziosa, tipica di un artista. Il risultato è che Bobby, il suo personaggio, è risultato umano e vero, e anche il tipo di recitazione che ha impiegato, molto fisica, è perfettamente adatta al periodo e allo stile del titolo perché malgrado Crazy for You sia un titolo relativamente recente (è del 1992) incorpora e rielabora sia le musiche, che le tematiche e gli stilemi tipici della golden age del musical rinascendo dalle ceneri di uno spettacolo, Girl Crazy, che ha avuto il non trascurabile merito di lanciare – insieme a una spettacolare colonna sonora – le carriere di Ginger Rogers ed Ethel Merman. Ecco, Crazy for You è scritto e pensato proprio per ritrovare compiutamente quello spirito (Danny diventa Bobby, Molly è Polly e l’Arizona il Nevada, che tanto per il pubblico newyorchese pari son…), e di conseguenza non è un titolo che presenta un semplice omaggio a quell’epoca, ma un vero e proprio prodotto à la, se non addirittura “di”, Gershwin. Ma del resto, come ho avuto modo di dire in passato, Manuel Frattini è uno dei nostri attori di teatro musicale più completi e sensibili, e sono felice di averlo visto finalmente del tutto a suo agio in un ruolo più adulto rispetto a quelli che lo hanno consacrato negli anni e che ne mette in luce tutte le capacità.
Anche Mauro Simone ha saputo dare il meglio di sé a questo Gershwin. Come spesso è capitato nella sua carriera, con mezzi limitati (i costumi a cura di Carla Accoramboni, adattissimi, sono ad esempio stati semplicemente “ripescati” dalla costumeria della Compagnia della Rancia così come parte delle scenografie) ha saputo operare piccoli miracoli, offrendo un prodotto che è veramente del gran bel Teatro. Inventando soluzioni, immaginando scene, dirigendo i propri attori senza mai momenti di disequilibrio, costantemente attento che non scadessero in una recitazione enfatica e mantenessero quel ritmo sostenuto e leggero che, soprattutto per libretti di questo genere, è fondamentale per la riuscita.
Pure Gillian Bruce dal canto suo, ha dimostrato di essere totalmente a proprio agio col suo metodo da coreografa-praticamente-regista con questo materiale musicale. Il numero con il contrabbasso è veramente uno showstopper come quelli che si vedono solo a Broadway (del resto, essendo termine coniato nel 1926, trovo particolarmente adatto spenderlo per definire questo gioiellino). Da manuale. E lo stesso dicasi per Shawna Farrell, dea ex machina della Bernstein. Non bastasse vedere come ha preparato i ragazzi della sua accademia a questo musical le si dovrebbe rendere onore anche solo per aver riportato lo spirito dei Gershwin in scena in una Italia che troppo spesso si accontenta di mediocrità in fatto di titoli (diciamolo: son quelli i cui diritti costano meno e/o son fatti sperando di portare un pubblico essenzialmente televisivo a vedere un musical) e allestimenti (…no comment).
Concludo le menzioni del team creativo citando l’ottimo progetto luci di Emanuele Agliati che hanno non solo illuminato le scenografie eleganti ed essenziali di Gabriele Moreschi e Federica Piergiacomi, ma si sono integrate alla regia di Simone e alle coreografie di Bruce esattamente come dovrebbero sempre fare le luci a teatro (polemico? Solo perché vedendo certi risultati -cito, ad esempio, nuovamente il numero dei contrabbasso- mi chiedo perché non sia legittimo pretendere la stessa cura in tutti gli allestimenti); il progetto fonico di Tommaso Macchi e la traduzione del libretto di Andrea Ascari, molto attento a ricreare lo spirito leggero dei dialoghi che l’autore ha dato nella versione originale.
Ed infine, last but not least, i ragazzi della BSMT, già pronti per una produzione professionale. Bravi, sotto tutti i punti di vista. E se non mi è ovviamente possibile citarli tutti, non posso non congratularmi con Matilde Pellegri che, evidentemente scelta anche per via di un timbro vocale adatto allo score, non ha vissuto sugli allori e ha saputo ricreare addirittura il modo di muoversi e camminare delle donne degli anni ’30; Andrea Di Bella, legittimo erede di una dinastia di caratteristi che sanno efficacemente lavorare tanto in enfasi che in sottrazione; e Margherita Toso, la cui caratterizzazione della svampita Patsy era assolutamente perfetta, dalla vocina alla Jean Stapleton ai tempi comici di precisione chirurgica. Sperando che per estensione anche i loro colleghi sentano e avvertano che con un gioco di squadra tanto forte un complimento fatto a un collega in ruolo arriva necessariamente ad abbracciare tutto il resto del cast.
Questi ragazzi, tutti insieme, hanno preso un saggio e lo hanno trasformato in uno spettacolo. Uno spettacolo del tutto pronto ad affrontare una tournée italiana, insieme al loro “collega” Frattini (non solo come attore professionista, ma anche come diplomato honoris causa) visto che l’intenzione, dichiarata, sarebbe quella di portarlo la prossima stagione in diverse piazze e teatri italiani. Non ho idea di quale possa essere il futuro di Crazy for You. Ma la non precisamente alta opinione che ho in media (con qualche doverosa eccezione) dei direttori artistici di Teatri e distributori italiani non aumenterebbe granché se non fosse data ad altri amanti del musical della vecchia scuola la possibilità di spellarsi le mani come ho fatto io.