La sagra del Clichè – Il Musical
di Paolo Vitale
Abbiamo sentito parlare di questo musical diversi mesi fa ed eravamo molto curiosi.
Dopo alterne vicende legate alla sua produzione abbiamo finalmente assistito al debutto al Teatro della Luna di Milano.
La trama dello spettacolo potrebbe anche essere interessante: Annabel, una donna forte e coraggiosa, è la proprietaria del DIVA, un locale da ballo frequentato da un pubblico “di larghe vedute” (leggasi come gay, lesbiche, trans, drag queen e chi più ne ha più ne metta). Il personale dello storico locale è pian piano diventato la vera famiglia di Annabel e di sua figlia, a cominciare dal fedele René, unico vero amico di Annabel. L’azione teatrale prende il via nel momento in cui il proprietario dell’immobile minaccia a tutti i costi lo sfratto [idea non molto originale! ndr]. Non riuscendo, con le buone, a convincere Annabel a lasciare i locali del DIVA ricorre all’unica arma rimasta lui a disposizione: chiamare gli assistenti sociali per farle portare via la figlia. Tra gesti di solidarietà della “famiglia” del DIVA e colpi di scena che non “spoileriamo” il dramma si risolve con lo l’autosvelamento dell’identità di Alex, il giovane barista assunto da poco da Annabel e di lei segretamente innamorato. Finale tutti felici e contenti.
Purtroppo questo canovaccio non ci è sembrato sufficientemente sviluppato. La sceneggiatura alterna momenti molto interessanti a scene e dialoghi francamente banali del calibro de “l’amore vince su ogni cosa”. I temi trattati sono attuali e scottanti, ma il testo ed alcune scelte registiche, a nostro avviso, ne sviliscono la portata.
Di cosa stiamo parlando? Dell’utilizzo eccessivo del cliché! Per capirci, in DIVA ogni personaggio è esattamente quello che si aspetterebbe da lui l’avventore medio del Bar dello Sport. Il personaggio principale, Annabel, è l’eroina di turno: cede solo davanti alla figlia in pericolo dimostrando di saper mettere da parte i suoi sogni per il bene della piccola. René è gay, quindi ovviamente è effeminato, tutto piume e paillettes, dedito alle battute osè e sempre con la voglia di scherzare. Il cattivo di turno è l’avido meridionale senza scrupoli (calabrese per la precisione) che, parlando con la tipica H aspirata, vessa in stile pseudomafioso la povera Annabel. La cameriera è bionda quindi necessariamente cretina. Le due assistenti sociali sono ciniche ed ipocrite, quindi non possono che essere due zitelle religiose e bigotte. Il garzone pugliese è il “tipico” terrone ignorante… Cattivi da un lato, buoni dall’altro. Una distinzione netta a lama di bisturi. Nessuna sfumatura.
Ci rendiamo conto che DIVA non voglia essere uno spettacolo drammatico, ma date le sue pretese “sociali”, riteniamo che lo sceneggiatore non avrebbe dovuto ignorare la lezione della tragedia greca: il dramma dell’esistenza umana consiste, spesso, nell’inevitabilità degli accadimenti. Quanto sarebbe stato più toccante se le assistenti sociali non avessero potuto fare altro senza venire meno alla propria deontologia professionale! Quanto più drammatico se la loro azione fosse stata dettata della mera esecuzione delle leggi e non da un cinismo assolutamente personale e, a momenti, ridicolo. Quanto sarebbe stato più “vero” se si fosse scelto di rappresentare “persone” e non “macchiette”. Per intenderci facciamo l’esempio di Les Mis: il dramma di Javert consiste nel suo essere assolutamente “giusto” nei confronti di Val Jean. E’ nel compimento della giustizia “perfetta” che scopre tuttavia che non può esserci giustizia perfetta senza “Misercordia”, giustizia vera senza “Grazia”. Javert è sempre Javert, fino in fondo, ma non diventa mai la caricatura di se stesso.
Tornando a Diva, avremmo gradito un maggiore sviluppo dei caratteri in modo che l’azione scenica fosse il risultato di un reale dramma esistenziale e sociale: dramma che, risolvendosi, porta attori e pubblico alla catarsi.
Invece nulla di tutto questo: abbiamo assistito soltanto ad un avvicendarsi di caricature senza sfumature: i buoni da un lato, i cattivi dall’altro. L’uno e l’altro scolpiti nel marmo, salvo poi l’inspiegabile, quanto irreale, conversione finale dei cattivi, risoltasi frettolosamente in poche misere battute.
Ci siamo permessi questa lunga critica al testo e alla regia di Renato Giordano (che ha volutamente enfatizzato il carattere macchiettistico dei personaggi) soltanto perché riteniamo valida la trama. Da riscrivere ed approfondire, ma valida.
Per quanto riguarda la messa in scena, il solito “vorrei ma non posso”, con punte molto interessanti e punte molto trash. Impossibile non fare i paragoni con Priscilla e La Cage, ma Diva ne esce impietosamente sconfitta: mancano la ricchezza dei costumi, la scenografia sorprendete, il fil rouge nello score… Piccolissimo suggerimento: non si lasci accesa per tutto il tempo la scritta DIVA; almeno quando il locale viene “definitivamente” chiuso, essa si dovrebbe spegnere, in modo da riaccenderla alla sua riapertura nel finale. E’ solo un piccolo dettaglio, ma simbolicamente e teatralmente significherebbe molto e a noi la dice lunga sull’attenzione nella messa in scena.
Buone le luci di Pietro Sperduti, che hanno cercato di salvare il salvabile delle scene scarne, ma un solo occhio di bue è troppo poco, considerando la costruzione di alcune scene.
Passiamo all’interpretazione.
Chiariamo subito che l’unica a cantare è Tia Architto, gli altri al massimo intonano parole! Un po’ poco per un “musical”, ma va bene così, nessuno sfigura eccessivamente ed in giro abbiamo ascoltato decisamente di peggio! La Archittto si è dimostrata ottima anche nella recitazione. E’ lei la vera “diva” dello spettacolo.
Annabel è Lorenza Mario. Azzeccata per il ruolo, lo porta a casa dignitosamente. Purtroppo la Mario, non essendo una cantante, non ha una grande estensione vocale e anche nel ballo è imprecisa e “scattosa”. Speriamo che rodando lo spettacolo possa acquisire una maggiore fluidità in entrambe le discipline. Tuttavia la sua Annabel ci piace e ci convince soprattutto per il carattere forte che le ha saputo dare.
Max Cavallari è il vero traino dello spettacolo che, se non fosse per lui, non farebbe ridere nemmeno un po’! Ovviamente il comico porta in scena il suo immenso bagaglio artistico e quindi spesso il suo René diventa uno dei suoi mille personaggi “televisivi”. Ed è proprio quando René non è Ren<è che il pubblico ride. Vorrà dire qualcosa? La sua presenza in scena è comunque rassicurante. Cavallari, nonostante il testo, riesce a riportarci il personaggio più realistico, ricco di chiaroscuri e sfumature, capace di far commuovere e di far ridere con la medesima facilità. Cavallari si è dimostrato un animale da palcoscenico incredibilmente versatile. La sua naturalezza nel recitare è disarmante: non si riesce a capire quando stia andando a memoria e quando stia invece improvvisando. Un vero artista con la A maiuscola. Felici di vedere Bruno Arena, la sua altra “metà” artistica, seduto in prima fila ad applaudire.
Francesco Capodacqua è il terzo nome in locandina. Bello, sorridente e con una grande energia ci ha restituito il personaggio di “Alessio”, il “belloccio” della situazione. Il suo Alex ci è piaciuto. Purtroppo anche in questo caso la scrittura frettolosa del personaggio non l’ha aiutato, ma il risultato è comunque buono. Vocalmente è dotato, ma nei suoi “a soli” è venuto fuori un certo accento neomelodico! Vaderetro!
Bravissima la piccola Margherita Rebeggiani, che ha saputo reggere il palco alla stessa stregua dei suoi colleghi navigati. Le si prospetta una fortunata carriera sul palco!
Bravo e divertente anche Roberto D’Alessandro nel ruolo del Sig. Cattivo [non troviamo da nessuna parte i nomi dei personaggi ndr]. D’Alessandro, famoso per il suo “Terroni”, ha creato un personaggio fortemente caratterizzato e volutamente ridicolo. Anche lui a regalato tante risate al pubblico.
Completano il cast Fausto Verginelli, Caterina Gramaglia, Gea Andreotti, Antonio Caggianelli, Laura Contardi, Laura Fiorini, Alessio Genova, Giampiero Giarri e Danilo Picciallo.
Nella media le coreografie di Stefano Bontempi con una nota di interesse per l’originale Can Can sadomaso!
Le musiche originali sono di Vincenzo Incenzo che ha affermato: “I riferimenti artistici sono precisi e viene fuori un secolo di storia della musica, con colori e armonie tipiche del periodo storico, per un vero e proprio viaggio musicale”. Sarà… ma noi non ce ne siamo accorti.
Nel complesso lo spettacolo è godibile e non annoia. Il secondo tempo è decisamente migliore del primo. Consigliamo la sua visione ad un pubblico con poche pretese, che abbia solo voglia di un paio d’ore di tregua dalla vita quotidiana.
Gentilissimo Sig. Vitale,
sono un’appassionato di Musical, non scrivo su nessuna testata, non mi occupo di critica.
Mi sono preso la briga di scrivere quanto segue perchè la sua recensione, questa volta, sembra che parli di uno spettacolo diverso da quello che ho visto io. A partire dai nomi dei personaggi…(Annabel e Renè e non Isabel e Remì…ma che spettacolo ha visto???)
Vago per i teatri Italiani, dove capita di assistere ad offese teatrali come l’ultima scempio portato a spasso per l’Italia da una nota produzione di un arcinoto teatro romano (non cito di proposito) ma anche un “Ti amo Sei perfetto ora cambia”, che torni a vedere 5 volte. Semestralmente, giusto per non perdere il “metro”, mi organizzo una sessione londinese con 5 Musicals in 7 giorni. Sessione in cui è d’obbligo un Phantom e/o un Le Mis, giusto a fine ciclo del cast, in piena maturità. Gli altri 3 spettacoli variano da un Wicked l’anno, ad una Matilda, piuttosto che un Jersey Boys o una novità come Charlie.
Insomma con oltre 150 Musical visti tra Londra ed Italia in 8 anni mi permetto di portare una velata critica al suo modo di recensire questa “Diva”.
A parer mio, che di nuovo non ha alcuna pretesa di essere quello di un critico da rotocalco, lei è stato drasticamente negativo, forse anche un po’ “superficiale”.
La sua recensione sembra quella di una persona che sia andata a teatro per vedere uno spettacolo che poi non ha visto, e, infuriato non si sa bene con chi o contro cosa, spara ad alzo zero su una “piantina” che cerca di germogliare in un deserto di “mafia” teatrale.
Se da un lato posso essere d’accordo che a livello di letteratura non si voglia competere con La Divina Commedia di Dante, devo dire che il fluire dei quadri mi ha continuamente interessato, ben oltre le mie aspettative. Che erano nulle, anzi l’unica cosa che speravo era di non rivedere Priscilla (non che non mi sia piaciuto, ma non era quello che volevo vedere). D’accordo, la scenografia è semplice. Ma aggiungo ben fatta. Abbinata alla dinamica della luce non mi ha mai , dico mai stufato. Mi ricorda in qualche modo (puramente funzionale) la semplicità del Background del Re Leone. (certo poi c’è la rupe, poi c’è il cimitero, e poi , e poi. certo con almeno 5 milioni di € di investimento). Sono andato a teatro sperando, anzi pregando che non fosse un’altra “priscillata”. E ho temuto… seriamente fino a che con l’entrata in scena della piccola, il Musical o la storia se preferisce parlare di storia, prende tutt’altra via.
Posso convenire che soprattutto all’inizio sia poco chiaro il fatto che siamo in un locale (forse i brani iniziali sono un po’ troppi, ti viene da pensare forse è uno show, e speri che non sia un revival alla Priscilla…la parte che mi è piaciuta meno.)
Le “macchiette” come dice lei, le ho trovate piacevolmente volute, scelta registica opinabile, ma sempre personale. Ed a me sono piaciute. Alla fine la linearità nelle aspettative è proprio quello che mi ha rassicurato, scena dopo scena, in un Musical di cui diffidavo della trama. Mi ha fatto sentire a mio agio trovare il gay gay, la bionda stupida, il “terrone” terrone. Mi ha stupito Lorenza. Mi ha ammaliato. Mi ha commosso. Con lacrima. Mi ha incantato Max Cavallari, mai filato prima, anzi snobbato come “fico”. La bimba, non ci volevo credere…dopo le boiate all’italiana in cui di solito recita una trentenne che “simula” un bambino…questa ha addirittura ballato e cantato “first in line”. 10 anni (ma allora non serve andare a vedere Matilda a Londra!)
La semplicità della sceneggiatura (se vogliamo concordo, qua e là scontata, ma volutamente secondo me), mi ha permesso di immergermi nel fluire della storia di essere trasportato dalla corrente e di sorprendermi dal piangere col nodo in gola, nella scena XYZ (che non cito ad hoc) nodo sciolto 10 secondi dopo dal vulcano Cavallari con le sue battute di improvvisazione teatrale.
Alla fine io non so che spettacolo lei abbia visto, quello che ho visto io, per l’ultima replica di Milano, ha trascinato in una Standing Ovation (che ha sorpreso, ma trascinato irresistibilmente anche me) oltre 800 comuni spettatori. Gente qualunque, magari senza pretese , come scrive lei.
Certo il finale in cui i cattivi diventano buoni, non è all’altezza di Victor Hugo, ma ne sono rimasto comunque deliziato. Lo andrei a rivedere domani. E in Italia mi è successo solo con “La Bella e la Bestia” della Stage Ent. e con “Ti amo sei Perfetto Ora Cambia”.
La Mario, che vagamente conoscevo mi ha travolto, Tia è soul come nessun altra, ma dire che la Mario non sia una cantante, forse è un pelino esagerato. Che si muova malamente, forse è offensivo. O superficiale, come Isabel e Remì invece Annabel e Renè….
Non sono gay, non ho una famiglia allargata, forse sono esattamente il tipo per cui Diva non era stato pensato e scritto. Ma mi è piaciuto da morire. Leggero frizzante diverso, non plateale, ma efficace.
Leggo la rivista Musical da sempre (o quasi). Quella cartacea. Mi piacerebbe continuare a leggerla, ma trovo sempre più frequentemente che le review sono usate come campo di lapidazione piuttosto che uno strumento di informazione. Mi verrebbe da dire che per un parere totalmente e liberamente personale, avrebbe senso vederlo in un Blog. Da una Review su una rivista autorevole come la vostra, forse mi aspetterei meno paragoni con il Teatro Greco o Les Miserables, ed una visione più oggettiva.
Quindi mi permetto di concludere (parere personale) che Diva, un prodotto tutto Italiano, una storia leggera, divertente e commovente a tratti, a me è piaciuta, e vada non dico premiata, ma incoraggiata. Il suo articolo è per lo meno scoraggiante e parla di uno spettacolo che io non ho visto. Magari mi sbaglio.
Gen.le Lettore,
grazie per averci scritto. Partendo dal presuppusto che non abbiamo la verità in tasca e che, nonostante tutto, molte delle cose scritte nella nostra recensione siano da Lei stesso condivise, facciamo fatica a capire cosa ci rimprovera. Le recensioni hanno sempre un certo grando di soggettività. L’oggettività oppartiene al campo della scienza, non a quello dell’arte. Detto questo ci permettiamo di chiederLe: se i paragoni col teatro greco e con Les Mis non li fa una rivista di teatro specializzata, chi dovrebbe farli? Per quanto riguarda i nomi dei personaggi… Non è colpa nostra se non sono scritti chiaramente da nessuna parte! Non pretendiamo di certo il Playbill, ma almeno un foglio di sala…!!!