Federico Marignetti è il perfetto Dorian Gray nello spettacolo voluto da Pierre Cardin. Ma quanto dell’opera e dell’anima di Wilde rivivono nel ritratto, teatrale, dipinto da Daniele Martini ed Emanuele Gamba?
di Ilaria Faraoni
È partita dal Teatro Sistina di Roma, dove ha debuttato ieri 1 febbraio 2018 (e vi rimarrà fino al 3), la ripresa di Dorian Gray, la bellezza non ha pietà, opera musicale ispirata al celebre romanzo Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e voluta e prodotta, per i 70 anni di attività, dal noto stilista Pierre Cardin, che naturalmente ne firma i costumi.
Lo spettacolo ha già debuttato nell’estate del 2016 al Teatro La Fenice di Venezia (con la regia di Wayne Fowkes ed un altro protagonista, Matteo Setti) ed è stato rappresentato poi di nuovo a Venezia nel novembre successivo con Marignetti e ancora a Parigi, Barcellona, Astana e Atene. Da Roma inizia ora il tour italiano che vedrà in scena l’opera musicale a Torino, Milano, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e nuovamente a Venezia (leggere QUI).
Proprio per il respiro internazionale del tour precedente, l’allestimento ha i sopratitoli in inglese.
La prima al Sistina è stata preceduta da una presentazione tra aneddoti, racconti e spiegazioni del pensiero di Cardin e del suo stretto legame con il mondo del teatro – lui che voleva fare il ballerino – cui è seguito un video in cui è stata riassunta tutta la sua attività artistica con riconoscimenti e celebrità incontrate.
Al termine, una lunga sfilata a cura di Maryse Gaspard, direttrice della maison francese, con tutti i meravigliosi abiti dello stilista, dal giorno alla gran sera, per terminare con il finale dedicato alle spose.
A seguire, ancora qualche aneddoto e due parole con Rodrigo Basilicati, che per lo spettacolo ha curato scenografie e direzione artistica ed è il nipote di Cardin, nonché suo stretto collaboratore: non dimentichiamo infatti che lo stilista, naturalizzato francese, è nato in Italia da genitori italiani.
Poi lo spettacolo, un atto unico della durata di un’ora e venti minuti: troppo breve per restituire l’essenza esatta del romanzo di Wilde? Forse, o forse no. Dipende da come si impiega il tempo a disposizione.
L’intuizione di ricreare la narrazione con un unico personaggio ed il suo alter ego danzante che rappresenta l’anima di Dorian è interessante. Probabilmente è molto più efficace di quanto non lo sarebbe stata una messa in scena realistica, con tutti i personaggi e le relative battute, perché il romanzo di Wilde lo si potrebbe definire quasi un libro filosofico. Ogni pagina racchiude concetti su cui meditare, contiene l’essenza del pensiero di Wilde: c’è in sostanza poca azione e molto ragionamento, perciò è molto difficile farne una trasposizione, che sia per il teatro o per il grande o piccolo schermo, dove il libro ha avuto i suoi adattamenti, più o meno fedeli.
Ma proprio grazie all’espediente adottato e alla forma scelta, quella del teatro musicale, molto si poteva restituire dell’opera di Wilde senza annoiare o risultare “finti”. Qui invece Daniele Martini, autore di testi e musiche (che abbiamo intervistato – cliccare QUI), ha voluto sì essere piuttosto fedele alla narrazione principale, usando in alcuni punti proprio degli stralci del testo originale, ma ha scelto di dare voce alla linea più esteriore del romanzo: ci sono le conseguenze, ma meno le cause.
C’è l’ossessione di Dorian Gray per la bellezza senza che si spieghi a fondo il percorso che lo ha portato alle estreme conseguenze di cui è vittima e di cui tanta colpa ha il personaggio di Lord Henry Wotton; senza che si spieghi la filosofia di Wotton riguardo alla bellezza, alla società, alla morale, all’arte; non è approfondito sufficientemente l’altro importantissimo rapporto, quello con Basil Hallward, il pittore che lo adora e che dipinge il fatidico ritratto destinato a sfigurarsi, a riflettere un’immagine orrenda, deforme e decrepita, man mano che la tela assorbe tutto il male e la depravazione crescenti di Dorian, lasciando così lui giovane e bello negli anni. Si parla della bellezza e non dell’elaborazione del nuovo stile di vita cui comincia a mirare Dorian Gray, incentrato sui sensi e sulla spiritualizzazione di questi ultimi.
Nei brani musicali si esplorano l’animo di Dorian e il suo tormento, ma si mettono da parte la sua indifferenza verso i risultati tragici delle sue azioni o il suo compiacimento nel vedere il ritratto mutare e assumersi, al posto suo, i fardelli del male.
Del primo “amore” del protagonista, la giovanissima attrice Sibyl Vane, non sono spiegate le motivazioni che portano la ragazza a recitare male proprio la sera in cui Dorian porta i suoi amici – dopo aver comunicato loro di voler sposare la giovane – a vederla in teatro. Motivazioni che rendono, nel romanzo, ancora più spietato il comportamento di Gray verso Sibyl, disgustato dalla sua improvvisa pessima riuscita sulla scena.
E se nel Dorian di Wilde non c’è vero pentimento per i suoi crimini (perfino la morte di Basil Hallward – da lui ucciso – non è così grave per Gray) al punto da rifiutare la confessione e scegliere di pugnalare il quadro unicamente per cancellare ogni prova e ricominciare a vivere senza gli ammonimenti della sua stessa anima (come riportato del resto anche nel rispettivo brano musicale proposto da Martini), nel Dorian dello spettacolo resta un barlume di cuore non ancora contaminato, quegli “ultimi centimetri di cuore pulito”, così come recitano i versi della canzone finale. Ed anche se canta “piango ma non basterà per salvare me”, l’ultima presa di coscienza forse lo salverà.
Ma qui è il punto. Non c’è salvezza per il Dorian di Wilde, che rimane corrotto fino alla fine. Non c’è catarsi nel romanzo e proprio questo è uno degli elementi che divise l’opinione pubblica dell’epoca. Nessuno scoprirà che Gray ha ucciso Basil, perché l’unico a sapere la verità e ad aver aiutato Dorian a disfarsi del cadavere dissolvendolo con l’acido si è suicidato; nessuno vendicherà la morte di Sibyl, suicida per amore, perché il fratello, dopo aver finalmente identificato Dorian dopo tanti anni di ricerca, rimane ucciso per puro caso in una battuta di caccia a casa di Gray. Lord Henry non saprà mai di essere stato la concausa della nascita di un mostro.
È anche in questo che la tragicità de Il ritratto di Dorian Gray colpisce: non può creare lo stesso effetto una storia in cui tutto questo manca o è solo accennato. Di contro nello spettacolo musicale l’incantesimo del quadro, quella sorta di patto col diavolo mai spiegato esplicitamente, diventa una scelta molto più cosciente, cui è dedicata un’intera canzone, mentre nel testo originale il desiderio di rimanere per sempre giovane e bello al posto del dipinto è espresso con molta leggerezza.
Ma visto che cambiamenti o – in alcuni casi – stravolgimenti di testi classici sono all’ordine del giorno, sta al pubblico apprezzare o meno l’impronta personale di Martini, che comunque ha creato una narrazione piacevole e non noiosa.
Il dubbio resta comunque che, per la costruzione stessa dello spettacolo, con tante parti di storia omesse e con l’alternanza del racconto ora affidata ad un Dorian che parla di sé a posteriori, ora ad un Dorian che impersona Basil o Henry, ora ad un Dorian che conversa con loro, ora ad un narratore che sintetizza gli avvenimenti, si possa creare confusione negli spettatori, se non altro in quelli che non hanno letto il romanzo.
Forse, la regia di Emanuele Gamba potrebbe lavorare maggiormente con Federico Marignetti, il protagonista, sulla differenziazione più evidente delle varie parti.
Alcune trovate registiche sono invece molto apprezzabili e vincenti, come quella di rappresentare Sibyl con un velo bianco che si libra nell’aria, a simboleggiarne evidentemente la purezza; e ancora molto d’effetto è la pioggia di petali bianchi che rappresentano le lacrime.
Risolto alla perfezione e con grande intensità anche il momento in cui, dopo la prima azione spietata di Gray, il ragazzo si scontra con la sua anima, in un duello in cui il Dorian in carne ed ossa, con le mani tinte di nero, sporca il volto ed il corpo del suo doppio.
Nel complesso lo spettacolo scorre bene e l’allestimento scenico è senza dubbio elegante e d’atmosfera, ma non potrebbe essere altrimenti vista la firma che porta. A dominare è l’essenzialità: una struttura aperta sulla quale si arrampicano Dorian ed il suo alter ego ed un velatino per le proiezioni, compreso il volto gigantesco del protagonista.
Molto espressivo il danzatore Marco Vesprini che impersona il ritratto/anima di Gray.
Marignetti è un Dorian Gray indovinatissimo e ha dato una grande prova di bravura, sia a livello interpretativo, sia a livello vocale, considerando anche che deve reggere da solo tutto il peso dello spettacolo. Gli sguardi oscuri, lo stupore, l’indifferenza, si leggono bene di volta in volta sul volto di Federico.
Le musiche del già citato Martini sono in stile musical e opera popolare o opera moderna, che dir si voglia, e accompagnano il pubblico coinvolgendolo e trasportandolo in un mood familiare: restano impresse e viene voglia di riascoltarle.
CREDITS
Produzione: Pierre Cardin
Interpreti: Federico Marignetti e Marco Vesprini/Thibault Servière
Autore, testi e musiche: Daniele Martini
Direzione artistica e scenografie: Rodrigo Basilicati
Regia e allestimenti: Wayne Fowkes e Emanuele Gamba
Arrangiamenti e suono: Daniele Falangone
Video designer: Sara Caliumi
Light designer: Paolo Bonapace
Costumi: Pierre Cardin
Tante belle parole per non dire che si tratta di una assoluta banalità. Uno spettacolo che farebbe dubitare un qualsiasi pretuncolo nel promuoverlo presso il suo mediocre oratorio di provincia