A Summer Musical Festival chiude l’edizione 2015 con un altro clamoroso successo: l’Evita firmato Marras
di Lucio Leone – foto di Rocco Casaluci
Ho già avuto modo di parlare dell’intelligente operazione a medio e lungo termine iniziata dalla Bernstein School of Musical Theater e dalla sua direttrice Shawna Farrell. Si poteva pensare che questo portare titoli classici, ma poco noti in Italia, del teatro musicale fosse una operazione didattica fine a se stessa, in cui gli studenti dell’Accademia mettevano alla prova quanto imparato e presentavano ad ex allievi della stessa il frutto di un anno accademico di lavoro. Sbagliando. L’operazione si è rivelata assai più complessa e lungimirante, soprattutto se la si analizza usando diversi livelli di lettura. Approfitto della recensione di Evita, l’opera dedicata alla moglie di Juan Perón da Andrew Lloyd Webber e Tim Rice (l’ultimo in ordine temporale dei musical messi in scena grazie alla BSMT), perché chiarendo l’importanza dell’iniziativa a monte si potrà, credo, anche meglio apprezzare il valore di questo spettacolo in maniera più specifica.
Dunque, è innanzi tutto evidente che noi appassionati del genere apprezziamo che ci siano proposti titoli che viceversa non troverebbero facilmente la strada verso i nostri palcoscenici (qualche esempio negli anni? Les Miz, Sweeney Todd, Ragtime, Lucky Stiff…), e chi ama il teatro in generale potrà ammirare allestimenti molto curati con un ensemble importante e ben diretto che viceversa non potrebbe facilmente vedere in scena per ovvi problemi di budget. In generale poi è bello poter seguire la crescita di una nuova generazione di performer alle prese con alcuni tra i ruoli più difficili del settore, con una asticella posta deliberatamente molto in alto dai professionisti che collaborano in veste di cast creativo degli spettacoli (la lista dei nomi in questo elenco sarebbe molto lunga e per scelta eviterò di citarne solo qualcuno per non offendere chi non dovesse comparire per questioni di spazio).
Possiamo anche sottolineare come il rapporto con chi amministra il territorio e si occupa di cultura sia diventato man mano più stretto, a riprova della lungimiranza a cui accennavo prima della signora Farrell. Ma soprattutto va detto che con queste proposte non ci si limita a formare una nuova generazione di performer, ma anche di pubblico. Allargandosi verso chi altrimenti seguirebbe solo la prosa, piuttosto che la musica lirica (in quest’ottica la collaborazione con il prestigioso Teatro Comunale di Bologna è un successo nel successo). Dimostrando come sia possibile abbattere le sciocche e miopi barriere che confinano il musical in una sottocategoria teatrale, e aiutando quindi questa nuova generazione di pubblico non soltanto ad apprezzare il genere, ma a viverlo con consapevolezza.
Se Larson ha riportato a Broadway una generazione viceversa perduta con Rent, la BSMT sta facendo, in maniera diversa ma analoga, la stessa cosa e non mi stancherò mai di provare un brivido di piacere vedendo come i sold out dei suoi titoli siano possibili grazie ad una platea fatta di giovani, meno giovani, famiglie, studenti, anziani in un eterogeneo miscuglio come dovrebbe sempre essere il pubblico del teatro (e purtroppo spesso non è).
Quindi, il successo di questi pochi giorni di repliche di Evita va oltre le standing ovation ai ringraziamenti finali. E’ un successo che non finisce qui (malgrado la brevità dell’ingaggio), costruisce qualcosa nel tempo.
Premesso questo è finalmente arrivato il momento di parlare più nello specifico di questo titolo. La regia di Gianni Marras, così come la direzione musicale di Shawna Farrell sono esemplari. Usano di attori e ensemble in maniera intelligente, anzi no, meglio…: in maniera “sapiente”. Le scene intime hanno dinamiche sempre vere, quelle corali (e attenzione, per “corali” intendo quelle con circa novanta, dicasi 90 attori sul palco!) sono ricche di dettagli e curatissime anche nelle minime controscene. Le intenzioni dei personaggi sono evidenti ma non ostentate (cosa che avrebbe potuto succedere visto che la partitura è rimasta con la lingua originale, e il rischio di voler essere teatrali e didascalici per far arrivare i contenuti alla platea era più che legittimo). Questa cura per il dettaglio meriterebbe un approfondimento a sé, ma mi limiterò a definirla magistrale.
L’altro elemento di eccellenza di questo allestimento è la parte coreografica. Qualcuno si sbrighi a fondare un fan club di Gillian Bruce. Voglio una tessera onoraria. Questa iper-perfezionista signora del ballo ha la non comune capacità di inventare dei numeri semplici ma complessi al tempo stesso. La sala da ballo col tango figurato in una delle scene iniziali è incantevole, nel vero senso della parola. Ammetto di aver sperato che per un qualche inghippo tecnico fossero costretti a ripeterla pari-pari-uguale-uguale per rivedere la precisione degli scambi e l’eleganza con cui le 4 coppie di ballerini riempivano da soli il palco, si intrecciavano e davano al tempo stesso il senso del tango, del periodo, del luogo. Il tutto senza mai perdere la componente di spettacolo e teatrale. Chapeau.
Concludo la sezione dedicata al cast creativo con un sincero e ammiratissimo complimento al progetto luci di Daniele Naldi (le sue luci accarezzavano, sottolineavano, nascondevano e soprattutto sapevano dare il senso degli stati d’animo dei personaggi senza mai strafare, ponendosi generosamente al servizio del testo), ai costumi di Massimo Carlotto che pur essendo molti, anzi moltissimi, mantenevano sempre una coerenza ed una poetica in maniera evidente; ed infine al service audio, che è riuscito a gestire in maniera incredibile la complessità di un numero tanto elevato di microfoni in scena alleggerendo non poco il lavoro del direttore Stefano Squarzina (che dirigeva l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna) nell’eseguire una partitura assolutamente non facile.
Per quanto riguarda il cast invece va sottolineato il lavoro di squadra. Clara Maselli interpretava Evita. La Maselli è un’ottima professionista, che sa recitare e cantare molto bene e che ho avuto modo di apprezzare -molto- in altri ruoli in cui le sue qualità vocali trovavano il giusto risalto. La sua Evita in qualche modo si incastra correttamente nel complesso meccanismo di un allestimento tanto ricco. Il problema però è che una interpretazione sostanzialmente corretta di uno dei ruoli più complicati e ricchi di sfumature e contraddizioni del teatro musicale, è risultato in qualche modo penalizzato da tanto “mestiere” malgrado la giovane età. Evita nel libretto è definita sia come “diamante” che come “stronza pericolosa” (cit.) ed è fondamentale che a queste due componenti si unisca una certa inconsapevole innocenza che si fonde con la volgare e spietata determinazione. La Maselli interpreta sempre correttamente il ruolo ma forse per via di una innegabile eleganza (in scena mi ricordava molto la Karen Walker di Megan Mullally in versione bionda) e garbo in qualche modo non tenta mai di rubarsi lo spettacolo o la scena. Cosa che avrebbe fatto o almeno tentato di fare in ogni modo -lecito o meno- la vera Evita (e che hanno fatto Elaine, Patti, Veronica Louise…). Il diamante brilla comunque ma è uno scintillio da zircone di scena, mentre temo che il ruolo necessiti più di una diva che di una brava attrice in modo da canalizzarne l’energia e far rivivere non solo la storia ma l’essenza stessa della señorita Duarte in Perón.
Filippo Strocchi invece è stato un Che assolutamente calato nel ruolo. Ha scelto una linea morbida, da narratore e non contrappunto morale alla protagonista, ma ha saputo comunque dare molte sfumature al proprio ruolo che viceversa poteva rischiare di risultare emotivamente distaccato dall’azione drammaturgica, e lo ha fatto in maniera coerente e incisiva.
La stessa coerenza e aderenza al proprio ruolo l’ho ritrovata in Andrea Spina come Perón e di Costanza Scalia, che regala alla ragazza innamorata del generale tutta la tragica vulnerabilità necessaria al personaggio. Completa il cast dei ruoli Marco Trespioli che ha fatto sua la parte vocale con una eleganza e padronanza rimarchevoli, ma che forse risultava troppo giovane e fisicamente poco credibile nei panni di Magaldi.
Anche per Evita il ritorno in macchina verso Milano al termine dello spettacolo mi è servito per gustare nuovamente con la memoria lo spettacolo, per riascoltare con la voce della mente passaggi che mi hanno colpito o momenti che mi hanno commosso. Il primo duetto di Perón ed Eva ad esempio in cui Maselli e Spina, a prescindere da tutto sono stati bravissimi. L’intonazione perfetta di Magaldi e quella nota, lunga e tenuta che ha abbracciato tutti noi. Il ballo degli ufficiali (così dolorosamente simile alle linee delle Rockettes). La disperazione di un’altra valigia in un corridoio alla fine di un amore. L’urlo primordiale di un uomo mediocre che vede morire non solo la sua compagna ma la fonte della sua forza. E soprattutto la standing ovation per i saluti finali. In cui guardandomi attorno ho sentito, orgogliosamente, di aver fatto parte di un emozionante rito collettivo. Come il teatro dovrebbe sempre essere.