Brignano torna a divertire il pubblico con uno spettacolo che fa riflettere, dove i protagonisti siamo tutti noi.
di Ilaria Faraoni – foto di Marina Alessi e Curzio Ridolfi
Con una “Selfata romana” da oltre 7.0000 “mi piace” su Facebook – e il numero di click salirà di certo – si è inaugurata la permanenza romana al Sistina del nuovo spettacolo di Enrico Brignano, Evolushow, scritto dall’attore insieme a Mario Scaletta, Manuela D’Angelo, Mauro Fratini e Pietro Sparacino (il servizio sulla presentazione in conferenza stampa QUI).
Lungi dall’essere un inno alla moda del momento – quella del selfie, appunto – l’autoscatto di Brignano con il pubblico è proprio il contrario: una critica a questa società sempre più dedita all’apparire; una bacchettata, seppure ammorbidita dall’ironia, ai “Fanatici del selfie, cacciatori di teste” cui non importa il motivo per il quale qualcuno sia famoso, basta che lo sia: “Io o Rosa e Olindo non fa differenza”, sostiene Brignano durante lo spettacolo, riferendosi ai protagonisti della strage di Erba. E qui non si può non pensare anche al musical diretto da Enzo Iacchetti, Come Erika e Omar – È tutto uno show che, seppure in modo diverso, lancia lo stesso condivisibile spunto di riflessione. Una stoccata, nel caso di Evolushow indiretta, anche al mondo della TV, che rende star i protagonisti di crimini efferati e che giunge da due personaggi, Brignano e Iacchetti, che la televisione la conoscono bene.
“La malattia del secolo è l’ostentazione delle immagini” sottolinea ancora l’attore. “Siamo vittime e carnefici degli obiettivi della vita”, constata Brignano, che accosta tutti noi a tanti pesciolini impigliati nelle stessa rete; una rete che, da metaforica, diventa più che concreta, trasferendo il riferimento alla rete web. Perché è anche in questo senso che la lingua batte sul dente dolente: “Oggi è tutta una questione di followers”, incalza Enrico.
Viste queste premesse, non si deve credere che lo spettacolo sia pesante: al contrario. Due ore e un quarto senza intervallo scivolano via quasi senza accorgersene e si ride tanto. Ma non si tratta di risate grasse, fini a se stesse, anche se a volte si cade nel solito cliché del sesso. Sono risate intelligenti, con un contenuto, perché nascono da una osservazione ironica fatta su di noi, perché è di NOI, nel senso più ampio, che Evolushow vuole parlare. Un “Noi” che va oltre tutti gli argomenti di politica, economia e sanità che tanto occupano e angosciano le nostre giornate e Brignano ci tiene quasi subito a precisarlo agli spettatori: “Non si parlerà di politica, non voglio rovinare la serata a voi e tantomeno a me; non si parlerà di economia perché non c’è niente di bello nel parlare di economia – l’economia è bella quando dura poco – e non si parlerà nemmeno di sanità, perché poi va a finire che se ne parla sempre male e parlare male della sanità è come sparare sulla Croce Rossa”.
In realtà un po’ se ne parla, con qualche frecciata rapida e arguta anche su ciò che ruota intorno a tali argomenti: ed ecco che, raccontando dei Tirannosauri, Brignano li definisce “Di una cattiveria che nemmeno Equitalia”; oppure allude al caso dei vigili urbani di Roma la notte di Capodanno o alle vicende delle case popolari quando, con nonchalance, racconta degli uomini che si trasferirono nelle caverne ed alcuni presero le “Caverne popolari”. Per non parlare delle ere del ferro, del bronzo e del ‘compro oro’, passando per l’era glaciale 1, 2 e 3 (e qui strizza l’occhio ai film di animazione della 20th Century Fox).
Ma il vero nucleo dello show è l’evoluzione e, più nel dettaglio, l’essere umano nei pregi e nei difetti che lo caratterizzano: anche quando Brignano sembra più autoreferenziale e racconta episodi che lo vedono protagonista – per esempio alle prese con una barista svogliata e maleducata o con una signora che gli chiede una foto, con poco tatto e raffinatezza, mentre lui sta per bere finalmente il suo caffè – tutto è solo un pretesto per analizzare la nostra società e per far riflettere col sorriso sulle labbra: e questo è il modo più efficace per far accettare un messaggio scomodo.
Solo lui, poi, può spiegare argomenti come il sistema solare, la creazione dell’acqua e della vita sulla terra, l’estinzione dei Brontosauri, l’evoluzione della scimmia, con la relativa perdita dei peli e farli diventare una nuova fonte di grande divertimento.
Una delle tirate più esilaranti – e qui viene giù il teatro – è quella sugli smartphone e sui termini e sugli abbonamenti sempre più incomprensibili che ci piombano addosso quando, ingenui, ci azzardiamo ad entrare in un negozio di telefonini. E ancora: il nostro terrore più grande? La caduta e la rottura del nostro cellulare!
D’importanza centrale, poi, tanto che si sarebbe potuto finire proprio con questa parte di spettacolo, la lettera, seria, che Brignano scrive e dedica al giovane d’oggi, un giovane troppo spesso preso da problemi frivoli, che non deve dimenticare il passato e le sue atrocità. “Se ti dicono che gli ideali non esistono più, non ci credere!”, lo esorta l’attore, mentre scorrono le immagini di Pertini, Falcone e Borsellino: bisogna partire dagli errori delle generazioni precedenti per creare un mondo migliore.
In tutto questo, si inseriscono alcuni momenti musicali, con tanto di ballerini acrobati (costumi di Paolo Marcati), durante i quali Brignano canta i brani scritti da Andrea Tosi e Andrea Perrozzi che, tra l’altro, ha appena concluso In 2 sotto a ‘na finestra, dopo il successo delle nuove repliche di Trasteverini. Le canzoni, con gli arrangiamenti dello stesso Tosi, regalano momenti teneri (come il brano sulla nascita) o d’atmosfera, come il pezzo con gli astronauti; non mancano poi brani più energetici e scattanti come quello che accompagna il numero acrobatico con gli uomini delle caverne. Ben si collegano al racconto le coreografie di Manolo Casalino. Peccato che i quadri musicali siano pochi, visto che si hanno a disposizione musiche originali e un corpo di ballo valente.
La scenografia è costituita da un maxischermo concavo, che prende tutto il palco, e da quattro grandi schermi, due a destra e due a sinistra, posizionati in alto, al di sopra delle barcacce del teatro, e, più su, sulle strutture che sostengono le luci, in favore del pubblico in galleria.
Lo schermo che è sul palco serve a proiettare filmati di animazione ed effetti grafici che catturano piacevolmente l’occhio e immergono il pubblico nell’atmosfera giusta; gli altri trasmettono per tutto il tempo l’azione in tempo reale con una doppia funzione vincente. Quando c’è il solo Brignano, infatti, il pubblico può scegliere se guardare l’attore in carne ed ossa o la sua immagine, più ravvicinata, come se la gustasse in televisione. Durante i numeri corali, invece, la regia sceglie su quali dettagli concentrarsi, offrendo agli spettatori un punto di vista selezionato ed obbligato, per mettere in risalto alcuni particolari che si potrebbero perdere perché sulla scena in quel momento si guarda altrove.
Alla fine “Si ricomincia dal principio, dalle emozioni, dal buio”, proprio come quello che era calato in sala in precedenza, suggestivo, chiamato da Brignano per rivivere il momento del Big Bang.
Ma prima la domanda fondamentale: la nostra è un’evoluzione, o piuttosto è una involuzione? Guerre, distruzioni, inquinamento… “Siamo proprio sicuri che tutto quello che abbiamo conquistato sia il meglio per noi? Darwin, ma tu questa la chiami davvero evoluzione?”.