Uno spettacolo onesto
Una delle regole principe del teatro è che il pubblico non dovrebbe mai essere imbrogliato e Footloose, in scena al Teatro Nazionale di Milano, è uno spettacolo che mantiene la promessa di offrire al suo pubblico un gradevole intrattenimento
Nell’abusato filone, tanto sfruttato da essere ormai praticamente esaurito, dei musical teatrali ricavati da film di cassetta – filone evidentemente molto caro alle Produzioni che cercano di attrarre pubblico motivandolo con l’effetto nostalgia – è evidentemente ora di passare al “secondo giro” con i revival come Footloose, che dopo una prima edizione nel 2004 firmata “Amici di Maria De Filippi” è tornato in scena, in un nuovo allestimento della Stage Entertainment Italia, al Teatro Nazionale CheBanca! di Milano dove resterà fino al prossimo 31 dicembre.
Non è un titolo particolarmente ispirato, va detto subito, e con un materiale drammaturgico poco ispirato è onestamente difficile fare un capolavoro. Nello specifico si poteva solo puntare sull’energia, sulla musica, sulla danza e sul carisma di personaggi che a suo tempo sono stati iconici (parlo dell’omonimo film con Kevin Bacon, Lori Singer e Sarah Jessica Parker diretto nel 1984 da Herbert Ross) e questo è stato fatto, almeno in parte. Il risultato è quindi uno spettacolo piacevole, con qualche momento e spunto onestamente interessante e qualche peccato originale, che in definitiva non penalizza poi troppo l’insieme.
Nel ruolo di Ren McCormick Riccardo Sinisi dimostra un evidente talento da fuoriclasse tanto nel ballo che nel canto. Benché la sua fisicità lo porti ad essere più convincente in altri ruoli interpretati in passato (la squinternata Felicia in Priscilla o il giovanissimo Rolf di Tutti insieme appassionatamente) ha dimostrato di avere la disciplina e il metodo necessari ad un attore per affrontare una sfida per lui difficile ed uscirne a testa alta. La sua controparte Beatrice Baldaccini invece, aiutata da una indiscutibile bellezza e una certa somiglianza con la Ariel cinematografica, aveva vita più facile (almeno sulla carta), ma sapendo bene che la sola avvenenza non basta ha saputo dosare fragilità, anima rock e spirito ribelle dando credibilità al personaggio. Purtroppo però l’alchimia tra i due, per l’appunto lodevoli, attori non è perfetta: sembra più divertito cameratismo che reale magnetismo, ma restando in cartellone così a lungo è possibile che il rodaggio contribuirà a migliorare anche questo aspetto della dinamica di coppia.
In generale però è la recitazione di tutto il cast ad essere purtroppo gravata da un senso di antico. Le gag funzionano perché sembrano riprese da un numero di avanspettacolo con annessi tempi comici e le parti leggere del testo sono battute recitate in iperventilazione e perpetuo sorriso con effetto semiparesi, mentre le parti più serie sono affidate al metodo o all’istinto del singolo attore senza un denominatore o una direzione comune, con un effetto altalenante. In una delle scene clou dello spettacolo l’emotività e le sfumature di Sinisi ad esempio si scontrano con una recitazione monocorde e lineare di Antonello Angiolillo, come se i due fossero su due palcoscenici diversi (che però è un effetto incidentale e non voluto). In tutto questo, brave senza se e senza ma Brunella Platania che, indossato il personaggio di Vi, non lo molla assolutamente fino ai saluti finali, e Floriana Monici che è chiamata a caratterizzare diversi ruoli e lo fa con piena consapevolezza. Giulio Benvenuti e Giulia Fabbri dal proprio canto si ritagliano con intelligenza e mestiere due spazi interessanti come possono. Lui usa bene la propria fisicità e alcuni tempi comici naturali, ma è penalizzato da una richiesta della regia di comicità “muscolare” che strapperà anche facili risate, ma che alla lunga è sempre uguale a se stessa, e lei ha modo di dimostrare il proprio talento solamente a sprazzi, quando per esempio non viene inglobata nel gruppo delle “amiche” e quando canta in un range che le è più naturale. Peccato solo che i diversi registri che si sarebbero potuti ricercare con una regia più attenta alle dinamiche dei personaggi che all’alternanza dei numeri musicali, in una storia che affronta temi come la rabbia, l’elaborazione del lutto e il conflitto generazionale, siano stati occasione persa, soprattutto per gli interpreti impiegati non al meglio del proprio potenziale.
L’ottima direzione musicale di Andrea Calandrini con la sua energica orchestra di otto elementi e il progetto fonico di Armando Vertullo; e la magnificente scenografia di Eric Van der Palen (ulteriormente aiutata dalle luci di Francesco Vignati) sono sicuramente elementi di grande forza dello spettacolo che raggiunge il culmine dell’energia nei numeri musicali, coreografati dal regista Martin Michael (affiancato da Chiara Noschese come Direttore Casting e Supervisione Creativa, e da Andrea Spina come Resident Director).
In controtendenza a qualche opinione che ho avuto modo di sentire, credo infine che l’adattamento italiano dello score sia funzionale e riuscito. Le canzoni tradotte da Franco Travaglio (autore anche dell’adattamento del libretto), stante le limitazioni linguistiche, rispecchiano come possono lo stile anni ’80 degli originali, e la metrica delle parole in italiano usate nelle liriche trovo che alla fine si adatti bene al sound pop della colonna sonora. Il fatto di lasciare però alcuni brani in inglese, forse tra i più famosi e apprezzati dal pubblico che ha tributato loro fragorosi applausi, paradossalmente invece mi ha provocato un effetto “karaoke” che onestamente non mi ha convinto.
In definitiva Footloose è uno spettacolo comunque gradevole, magari non memorabile e dotato di un vero “grande cuore” ma che tutto sommato vale la pena vedere perché è uno spettacolo onesto, che mantiene esattamente quello che promette e che non scontenterà il tipo di pubblico che a teatro, in un musical, cerca essenzialmente intrattenimento.