Hairspray: tutto il peso del musical!
di Paolo D. M. Vitale, foto di Luca Vantusso
Un Hairspray a dieta quello prodotto dal Teatro Nuovo di Milano con la regia di Claudio Insegno e con Giampiero Ingrassia nel ruolo en travesti di Edna. In questa nuova edizione – il cui motto potrebbe essere “meno grasso è bello lo stesso” – dimenticatevi la burrosità della messa in scena originale di Broadway o della produzione londinese: scenografie al minimo sindacale, costumi che non osano e luci da rivedere.
Il “nuovo” (si fa per dire!) Hairspray strizza l’occhio, più o meno dichiaratamente, alla versione francese del 2011 sempre prodotta da Lorenzo Vitali [su youtube si possono trovare facilmente dei video ndr]. Ed è da quella edizione parigina che sono state riadattate le poche scenografie presenti e (forse) parte dei costumi. Purtroppo però la mancanza di investimenti da un lato e il design datato dall’altro hanno inficiato la riuscita finale dello spettacolo che risulta essere carente dal punto di vista estetico.
Come spesso accade, tuttavia, c’è il risvolto della medaglia: se la messa in scena scarna e poco curata ha lasciato decisamente insoddisfatti, il cast pieno di talento e quasi in toto indovinato ha divertito e strappato numerosi applausi a scena aperta! Questo è uno dei rari casi in cui gli artisti sul palco, volenti o nolenti, sono riusciti a sostenere da soli l’intero spettacolo nonostante l’impianto generale non fosse alla stessa altezza.
Primo fra tutti Giampiero Ingrassia. Animale da palcoscenico ineguagliabile, Ingrassia ha restituito una Edna Turnblad misurata, credibile e, a tratti, quasi elegante. L’Edna di Ingrassia è una Signora con la S maiuscola che, senza forzature o caricature, riesce a divertire e commuovere regalando un personaggio comico e tenero che è impossibile non amare. Ingrassia, seguendo le orme della Edna di Michael Ball, non cede alla tentazione di trasformare la mamma oversize di Tracy in una “baracconata”: Edna è una donna vera, con tutte le sue paure, i suoi sogni e la sua inconsapevole comicità.
Al suo battesimo di palcoscenico, Mary La Targia, è un’ottima Tracy: rispetto alla grinta della sognatrice rivoluzionaria ha preferito puntare sulla tenerezza della ragazza “diversa”. Bella voce nel canto e ottimi tempi comici nella recitazione, avevamo conosciuto e apprezzato questa artista emergente l’anno scorso in “The Life” (leggi qui la recensione). Adesso che l’emozione della prima è superata le consigliamo di rilassarsi e di cominciare a divertirsi.
La rosa degli artisti in scena e arricchita da nomi di talento come Gianluca Sticotti (un ironico Corny Collins dal sorriso plastico), Beatrice Baldaccini (un’ottima quanto acida Amber Von Tussle), Riccardo Sinisi (bello e bravo esattamente come Link Larkin deve essere), Claudia Campolongo (versatile nella sua tripla interpretazione), Giulia Sol (la timida Penny Pingleton) e Roberto Colombo (il visionario Wilbur Turnblad).
Completano il cast Elder Dias (Seaweed J. Stubbs), Luca Spadaro (Mr. Pinky/Harriman F.Spritzer), Cristina Benedetti (Little Inez/Dynamites), Francesca Piersante e Stephanie Dansou (The Dynamites), Fabio Gentile, Federica Nicolò, Monica Ruggeri, Martina Lunghi, Giuseppe Brancato, Max Francese e Robert Ediogu.
Abbiamo lasciato per ultime due menzioni speciali: Helen Tesfazghi alias Motormouth Maybelle e Floriana Monici alias Velma Von Tussle.
La Tesfazghi con la sua voce ha letteralmente stregato il pubblico ricevendo scroscianti applausi alla fine di ogni numero. Pacata nei recitati, quasi sottotono, la Tesfazghi diventa una tigre nel cantato. Sicuramente la sua è la voce più bella dello spettacolo e gli applausi sono più che meritati.
La Monici è invece la vera vincitrice indiscussa: eccezionale sotto ogni punto di vista si merita il voto più alto in pagella. Le tre discipline sono per lei un’unica cosa. Non ci sono la Monici cantante, la Monici attrice e la Monici ballerina: c’è semplicemente Velma Von Tussle, in tutta la sua arroganza e la sua cattiveria. Che canti, balli o reciti la Monici è un’artista completa e siamo grati di averla applaudita in questo ruolo. La sua interpretazione sarà difficile da superare.
A firmare la regia dello spettacolo, come già scritto, è Claudio Insegno, assistito da Simone De Rose, entrambi reduci del successo meneghino di Spamalot. Delle ultime regie di Insegno questa è probabilmente la più frettolosa, ma la scelta intelligente del cast, almeno per i ruoli principali, ha assicurato ugualmente un risultato soddisfacente.
Le coreografie, semplici e senza pretese, sono di Valeriano Longoni che è stato assistito da Luca Spadaro. La direzione musicale è invece di Angelo Racz (anche tastiera 1) che si è ispirato principalmente agli arrangiamenti teatrali di Broadway e di Parigi, distaccandosi così volutamente dalla più nota versione cinematografica con John Travolta e Michelle Pfeiffer. Probabilmente il ritmo di alcuni brani potrebbe sembrare rallentato, anche a causa delle traduzioni italiane non sempre scorrevoli, ma Racz assicura di essersi attenuto scrupolosamente al tempo originale.
L’orchestra diretta da Racz vede alla tastiera 2 Stefano Damiano, alle chitarre Luca Bettolini e Marco Tersigni, al basso Daniele Catalucci, alla batteria Marco Campagna, al reed 1 Ezio Allevi, al reed 2 Alessio Zanovello, alla tromba Marcello Ronchi, al trombone Pietro Spina e ai violini Carmelo Emanuele Patti e Chiara Tofani.
In conclusione questo Hairspray non è forse un capolavoro imperdibile, ma ha il pregio di mettere in scena tanto talento e di regalare due ore di allegria e positività. Prendere il taxi alla fine dello spettacolo non sarà necessario perché uscirete da teatro così di buon umore che vi verrà voglia di tornare a casa ballando e cantando. Del resto “you can’t stop the beat”!
Questa recensione si riferisce alla recita del 6/2/2018 al Teatro Nuovo di Milano
Concordo su quasi tutto: Baldaccini un po’ sacrificata nel ruolo, compensa con il mestiere e per il fatto di essere una brava cantante.
Mary La Taggia non fa la protagonista come dovrebbe, nè quando canta, nè quando recita. La perdoniamo per la scarsa esperienza.
Una parola in più per Colombo che dona al suo Wilbur una tenerezza che secondo me manca nell’originale.
Monici uber alles!