di Nicole Mistroni
New York, Belasco Theatre, East-Broadway.
Inizia qui l’avventura del pubblico di Hedwig, cantante transgender proveniente dalla Berlino Est, che racconta la storia della propria vita nell’arco di un concerto di circa un’ora e mezza. Calandosi dal soffitto in un costume scintillante, fa il suo ingresso “la diva con qualcosa in più”, accompagnata dalla sua band “The Angry Inch” con cui condivide un palco che nella sostanza è però interamente suo.
Una storia complessa, quella di Hedwig, fatta di amore, delusioni, tradimenti, manipolazioni, ma soprattutto di musica. Una storia scritta negli anni novanta da John Cameron Mitchell che, come creatore del personaggio, fu anche il primo ad assumerne magistralmente le sembianze nel 1998, quando “Hedwig and the Angry Inch” debuttò Off-Broadway al Jane Street Theatre.
Sedici anni sono passati da allora, e se l’etichetta prevede che ogni ritorno a casa vada fatto in grande stile, il team di “Hedwig and the Angry Inch” non era certo in vena di deludere il proprio pubblico. A riportare a New York, e per la prima volta su un palco di Broadway, la Drag queen più rock della storia del Musical è stato infatti uno degli artisti più amati ed ammirati degli ultimi anni: Neil Patrick Harris.
Conosciuto ai più come il Barney di “How I met your mother”, il presentatore di ben quattro edizioni dei Tony Awards ha, dopo nove anni, smesso i panni dell’incorreggibile donnaiolo per vestire quelli di un personaggio completamente opposto. Una doppia sfida per Neil Patrick Harris che, in un banco di prova così importante come quello di Broadway, ha dovuto chiaramente confrontarsi con l’interpretazione originale (resa ancora più celebre dalla versione cinematografica del 2001) di John Cameron Mitchell, primo volto e soprattutto creatore del personaggio di Hedwig.
Lo spettacolo si sviluppa come se fosse un vero e proprio concerto: 100 minuti circa senza intervallo, scenografia fissa e un’eccezionale rock band sempre sul palco ad accompagnare Hedwig durante le sue performance. Ai pezzi cantati si alternano momenti di narrazione, in cui la protagonista parla direttamente al pubblico raccontando la sua vita un po’ fuori dal comune: di come da Hansel, il ragazzino appassionato di musica rock della Berlino Est, divenne Hedwig, “la cantante rock globalmente ignorata”.
Le musiche, scritte dal co-creatore Stephen Trask, passano da sonorità rock energiche e potenti a pezzi melodici nei momenti più delicati della storia di Hedwig. Tra questi ricordiamo “The origin of love”, forse la più emozionante tra le canzoni dello spettacolo, sia per testo che per resa scenica: riflettendo sulla natura soggettiva dell’amore Hedwig cita infatti il mito dell’androgino di Aristofane, il discorso più conosciuto del “Simposio” di Platone, in cui il filosofo spiegò la divisione che gli dei operarono su quegli esseri perfetti e completi che erano gli uomini all’origine del mondo, e che una volta divisi a metà vennero così privati di una parte di loro stessi, costretti da allora a ricercare disperatamente la propria metà perduta. A rendere ancora più toccante questo racconto in musica, a metà tra il mito e la fisolosofia, contribuiscono le proiezioni di figure animate su di un telo trasparente che cala sul palco: i disegni seguono il racconto della canzone, in un’esplosione di colori che segue la musica e dona al pubblico cinque minuti di pura magia ed emozione.
Su un registro completamente diverso troviamo invece canzoni quali “Tear Me Down”, che apre lo spettacolo, o “Angry Inch” che vi dà il titolo: pezzi rock di grande impatto con i quali Neil Patrick Harris porta sul palco tutta l’energia richiesta dal caso.
Ma il personaggio di Hedwig, e di conseguenza il suo spettacolo, sono soprattutto una cosa: ironia. Il tono e le parole di Hedwig portano spesso alla risata, sia essa fragorosa o dolceamara, pur raccontando una storia non sempre felice: per gran parte dello spettacolo anche i temi più delicati vengono alleggeriti da battute ironiche e allusioni divertenti, e molti dei pezzi cantati vanno in questa direzione. E’ il caso ad esempio di “Wig in a box”, cantata da Hedwig in un momento piuttosto delicato della propria storia, che si trasforma da canzone riflessiva e drammatica in ironico gioco di cambio-parrucche per la protagonista: le risate del pubblico riempiono il teatro quando dal soffitto si cala una griglia di parrucche che si muovono a ritmo con la canzone, per non parlare del sing-along a cui vengono invitati gli spettatori.
Il rapporto che il protagonista instaura con il pubblico è volutamente diretto e, pur entro certi limiti, più libero rispetto a quello a cui siamo abituati nell’assistere ad un classico musical. Forse sono proprio le piccole interazioni spontanee e non programmate con gli spettatori a creare i momenti più divertenti dello spettacolo, e a dare la sensazione al pubblico di partecipare veramente al “one night show” che Hedwig annuncia proprio al suo ingresso sul palco. Se da un lato quindi la struttura del musical a mo’ di concerto può risultare un po’ castrante, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto scenografico, dall’altro essa lascia più spazio all’attore principale, che può in questo modo giocare con il proprio pubblico e dare un’impronta unica allo spettacolo.
Nel soundtrack di Hedwig infatti non è tanto l’estensione vocale ad essere richiesta, quanto una grande versatilità e capacità di interpretazione da parte del protagonista, e neanche a dirlo, Neil Patrick Harris supera la prova a pieni voti. La spontaneità con cui veste i panni di una drag queen lascia senza fiato, tanto da far dimenticare la sua reale identità anche al fan più sfegatato. Harris entra con tutte le scarpe (e relativi tacchi) in un personaggio incredibilmente poliedrico e non convenzionale: in Hedwig infatti troviamo poco o nulla dello stereotipo della drag-queen, e veniamo invece a contatto con una personalità unica nel suo genere, con un carattere e un modo di fare a volte anche sgradevole.
Il suo lato peggiore si manifesta in particolare nelle sue interazioni con il marito Yitzhak, interpretato dalla bravissima Lena Hall; a questo proposito, una critica da poter muovere riguarda il modo in cui il rapporto della coppia è stato indagato meno rispetto alle precedenti versioni del musical: avendo nel ruolo di Yitzhak una performer come Lena Hall (“Kinky Boots”, “Tarzan”, “Dracula”, “42nd Street”) è stato un peccato vederla rivestire un ruolo che tutto sommato resta sullo sfondo. E’ innegabile infatti che la scena sia al 99% di Neil Patrick Harris, che tiene il palco per 100 minuti senza mai far calare l’attenzione. Il lavoro che ha compiuto l’attore sul personaggio è strabiliante, sia a livello fisico che recitativo, a cui darei un ulteriore riconoscimento per il modo in cui Harris ha lavorato sull’accento tedesco che richiedeva l’interpretazione di Hedwig.
A coronare il tutto troviamo gli appariscenti costumi di Arianne Phillips (costumista del film “Walk the Line”) e il Lighting Design di Kevin Adams, vincitore di due Tony Award per “Spring Awakening” e “American Idiot” e già premiato con l’Outer Critics Circle Award per il suo lavoro in “Hedwig”.
Dopo sedici anni lontano da New York, il revival di “Hedwig and the Angry Inch” è quindi riuscito senza dubbio a conquistarsi un posto di rilievo tra le nuove uscite di questo 2014 a Broadway, e a non deludere le alte aspettative di pubblico e critica. Otto nomination ai Tony Award 2014, tra cui quelle per “Miglior Musical Revival” e “Miglior Attore Protagonista in un Musical”, non hanno fatto che confermare l’ottimo lavoro svolto da cast e team creativo nella messa in scena di uno spettacolo particolare sia per forma che per tema.
Non resta quindi che attendere l’8 giugno, quando a Radio City Music Hall avrà luogo la sessantottesima edizione dei Tony Award, presentata dallo straordinario Hugh Jackman. Chissà se questa volta sarà il nome di Neil Patrick Harris ad essere chiamato dal palco, e se, diversamente dal solito, lo vedremo nelle vesti di chi riceve l’importante premio, anzichè di chi lo consegna.