Brillanti cliché
di Lucio Leone
Ha tutta l’aria di un Off senza essere un Off It Shoulda Been You (Avresti Dovuto Essere Tu) questo atto unico che per quel che mi riguarda è stata una delle migliori sorprese che Broadway potesse regalarmi. Si fa forte di numerosi elementi che concorrono tutti alla costruzione di un meccanismo perfetto a cominciare ovviamente dal testo, intelligente e frizzante, che è merito di Brian Hargrove, uno sceneggiatore di sitcom televisive che dimostra ancora una volta come queste serie per il piccolo schermo dai tempi stretti e rigidamente soggette alle regole dell’audience possano essere un’ottima palestra anche per chi fa o finisce in seguito per fare teatro.
Già: in questo caso i tempi veloci della light comedy sono essenziali al copione ma a loro deve necessariamente corrispondere lo stesso ritmo, come dire Neil Simon che incontra Feydeau, la commedia brillante viene qui arricchita da un gioco velocissimo di entrate, uscite, incontri e scontri tra i personaggi degno della meccanica di un orologio svizzero. E di questo il merito va senz’altro al regista David Hyde Pierce, iconico attore che per anni ha interpretato il fratello dello psichiatra Frasier nell’omonima serie tv (un ruolo che gli ha fruttato ben 4 Emmy e 11 nomination -una per stagione- a cui ha pensato bene di aggiungere anche due Tony, tanto per gradire).
Pierce dirige in It Shoulda Been You un cast di fuoriclasse in cui è sinceramente difficile individuare la stella dello spettacolo: a parte i due mostri sacri Tyne Daly e Harriet Harris (e chi non avesse immediatamente in mente le loro carriere sui palcoscenici di Broadway e relativi premi può magari ricordare la prima in tv per New York New York o Giudice Amy, e la seconda per Desperate Housewives) a cui si affianca miss Sirenetta in persona, Sierra Boggess (che smesse le pinne di Ariel ha saputo indossare con successo anche le vaporose crinoline di Christine nel Phantom o i miseri panni di Fantine nei Les Miz), tutto il cast in effetti finisce per aiutarlo a firmare una regia davvero impeccabile. Attori perfettamente calati nei ruoli con scambi fulminei che non ti stupirebbero se fossero frutto di un montaggio cinematografico ma che a teatro, per essere così precisi, sono davvero frutto di un gran lavoro di diversi talenti.
Va detto che la colonna sonora di Barbara Anselmi con liriche dello stesso Hargrove, ancorché non memorabile -a parte forse “Nice“, il duello verbale a colpi di fioretto tra le due madri-, è comunque piacevole e funzionale alla trama e sono molti i momenti in cui gli attori, sia i ruoli principali che i secondari, cantando le loro canzoni strappano applausi a scena -o canzone- aperta (qualcuno ha detto che uno showstopper deve necessariamente restare impresso anche qualche giorno dopo? o che non deve essercene più di uno nell’ambito dello stesso spettacolo? Nel caso vada a vedersi It Shoulda e poi riconsideri. Io l’ho fatto).
E va comunque aggiunto ad onor del vero che lo spettacolo è fatto integralmente di cliché. Ma sono cliché che, come del resto faceva la Commedia dell’Arte, servono per imbastire una situazione, tagliando corto con la storia dei singoli personaggi -tanto li conosciamo tutti- e creare delle dinamiche che poi finiscono per essere il vero fulcro dello spettacolo. Quindi avremo la mamma ebrea alla vigilia di nozze della figlia (bella); la figlia bella e la sorella paciocca (ognuna delle due ritiene -a proprio modo con ragione- che l’altra sia la più fortunata); il fidanzato belloccio, facoltoso e cattolico; la madre di lui, snob e piena di soldi che ovviamente non sopporta la consuocera in un sentimento del tutto corrisposto; la zia ninfomane e stronza; il wedding planner acida e disillusa (la discordanza tra il genere dell’articolo determinativo e quello degli aggettivi è assolutamente intenzionale, ndr); l’ex fidanzato -di famiglia ebrea anche lui e quindi molto amato dagli ex-quasi-suoceri, e da qui il titolo- che farà di tutto per impedire le nozze; eccetera eccetera eccetera.
E sicuramente, malgrado la mia premessa sui cliché, qualcuno a questo punto dirà “già visto!”. Sbagliando. Di grosso. Perché non è detto che conoscendo le variabili di una equazione il risultato sia quello previsto. Magari succede in matematica (e anche su questo non ci giurerei), ma certo questo non capita a teatro quando il teatro è fatto bene. Perché con questi elementi, noti, a un certo punto succede qualcosa di davvero inaspettato (e credetemi: ho le dita che mi prudono dalla voglia di condividere quel colpo di scena, ma non lo farò per non guastarvi la possibilità di apprezzare la cosa se doveste poterla vedere dal vivo). Ma una recensione deve limitarsi a indicare cosa funziona e cosa no in un allestimento, e lasciare spazio alla trama solo se è funzionale alla critica. Ahimè. Quindi mi limiterò a concludere dicendo che menzioni d’onore vanno all’ottima Lisa Howard (la sorella della sposa), a Josh Grisetti (l’ex) e a David Burtka (lo sposo) ma anche a tutto il resto dell’agguerrito cast; e un applauso particolare lo riservo alla scenografa Anna Louizes che ha progettato un unico ambiente (diviso su due piani: ah! l’altezza provvidenziale e affascinante bei boccascena americani!) con la possibilità di adattarsi con minime modifiche ai continui cambiamenti di scena necessari al testo.
Il consiglio se siete a New York o progettate un viaggio verso questa meta è quindi quello di approfittare di questa commedia (“musical” è -per una volta- un termine che qualora usato sarebbe riduttivo) un po’ fuori dai grandi circuiti. Magari farete lo stesso a botte per i biglietti con agguerrite minuscole signore giapponesi (mi è venuto il sospetto che Frasier sia stato un gran successo nel paese del Sol Levante) o con la migliore intellighenzia newyorchese (e del resto ricordatevi che è comunque un successo di Broadway). Magari dovrete vedervela con le orde di turisti calati a frotte nella Grande Mela che non vogliono accendere un mutuo per vedersi Lion King o il Book of Mormon. Magari, una volta dentro, capirete solo il 60-70% delle battute (alcune sono davvero fulminanti e legate allo stile di vita americano), ma credetemi: uscirete da quel teatro esilarati e felici.
Ci scommetto… un colpo di scena! (l’ho già detto davvero, davvero inaspettato?).
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It Shoulda Been You
http://www.itshouldabeenyou.com/
Brooks Atkinson Theatre
256 West 47th Street, New York (NY)
Biglietti in vendita tramite il circuito Ticketmaster.com