JESUS CHRIST SUPERSTAR AL SISTINA.
PUBBLICO IN DELIRIO PER TED NEELEY.
di Ilaria Faraoni – foto di scena di Gianmarco Chieregato
Ha debuttato al Sistina di Roma, proprio il giorno di Venerdì Santo, la nuova edizione di Jesus Christ Superstar ed è stato subito trionfo.
Cosa c’è di tanto particolare? Che Massimo Romeo Piparo, per l’allestimento dell’opera rock che cade nel ventennale della prima messa in scena in Italia a sua firma, ha portato sulle tavole del tempio del musical romano Ted Neeley, conosciuto in tutto il mondo proprio per essere l’interprete di Jesus nel film del 1973 diretto da Norman Jewison.
L’attore, che negli anni ha interpretato diverse volte il ruolo in teatro (sia prima, sia dopo il film), ogni volta arricchendolo con l’esperienza di nuove letture e testi, come i vangeli gnostici (parte degli apocrifi) – come rivelato da Neeley stesso in conferenza stampa – indossa per la prima volta la tunica in un teatro europeo, a quarant’anni dal film.
L’interpretazione di Neeley è divenuta col tempo molto più statica, interiorizzando e scolpendo i sentimenti e le parole espresse con l’intensità e le sfumature della voce: di lui basti dire che il pubblico, in delirio, gli ha tributato ripetute standing ovation e boati, non solo a fine canzone ma anche su alcune note; boati tanto forti da far quasi temere che crollasse il teatro. Del resto, il solo fatto di avere davanti un mito vivente, per i tanti fans dell’opera (compresi i numerosi artisti presenti in platea) ha creato un clima quasi irreale, un’esaltazione senza precedenti, perlomeno recenti, nella storia del Sistina.
Altro punto di forza dell’allestimento è l’orchestra dal vivo, diretta dal Maestro Emanuele Friello che ha curato in modo impeccabile gli arrangiamenti delle musiche di Andrew Lloyd Webber: il sound rispetta fedelmente l’opera originale con degli orchestrali veramente forti; si aggiungono ad essi anche i Negrita, per un tocco rock aggiuntivo, capitanati dal frontman Pau che interpreta il ruolo di Pilato.
Le coreografie di Roberto Croce stravincono, esplodendo di energia grazie ad un ensemble preparatissimo e, cosa fondamentale, entusiasta e molto motivato; lo si percepisce al primo impatto. Eccone i nomi: Gloria Miele (che è anche cover di Maddalena), Rimi Cerloj, Giada Cervone (anche trampoliera), Germana Cifani, Medkes Cortili, Lorenzo De Baggis (anche trampoliere), Khimey Heliana Farias, Federica Gargano, Simone Giovannini, Francesca Iannì, Giuseppe Inga, Rosa Lubrino, Emiliano Palmieri, Danilo Picciallo, Carlotta Stassi, Alessio Stia, Giorgia Stizzoli, Sara Telch, Manoel Matteo Vergara. Lo spazio per ballare è veramente poco, ma la forza scenica del cast vince e Croce del resto sfrutta tutto: palco, gradinate e impalcature ottenendo una profondità di campo che compensa ampiamente tutto il resto.
L’allestimento di Piparo ha numerose trovate registiche interessanti e felici, molte delle quali sviluppate grazie alle scenografie di Giancarlo Muselli -elaborate da Teresa Caruso– e al disegno luci di un punto fermo come Umile Vainieri che crea anche giochi particolari sulle tavole del palco, apprezzabili in modo particolare dalla galleria.
Gli elementi scenici sono fondamentalmente tre: 1. le impalcature che ospitano il cast e parte dell’orchestra (su due livelli); 2. il girevole che ospita il resto dei musicisti, il maestro Friello, i Negrita ed il cast, diventando luogo al tempo stesso fuori dalla narrazione e dentro la narrazione, agito dai personaggi e caratterizzato in modo diverso di volta in volta da un sistema di proiezioni sulle tre strutture verticali alle spalle dei musicisti; 3. le gradinate munite di un sistema di botole con elevatori che fanno comparire e scomparire gli interpreti. Particolarmente apprezzata anche una struttura che dal proscenio si estende verticalmente in platea, creando una sorta di croce marmorea frontale: la stessa struttura, grazie anche all’illuminazione e ad un elemento che si allunga in platea creando una sorta di passerella, diventa, durante la canzone “Gethsemane”, una croce visibile anche dall’alto, a favore del pubblico in galleria; tutto ciò, oltre al valore fortemente simbolico, permette a Neeley di cantare il suo pezzo clou in mezzo agli spettatori, sovrastandoli.
Tutto lo spettacolo si basa su una trovata fondamentale di Piparo: quella di non tradurre i brani con sopratitoli o sottotitoli (l’opera è infatti interamente cantata in inglese), bensì di darne il senso con alcune scritte luminose, molto adatte al carattere di “Superstar” con cui è visto Gesù nella concezione dell’autore del libretto e delle liriche Tim Rice. In alcuni casi le scritte riassumono la situazione; nella maggior parte dei casi, invece, si tratta di passi estrapolati dal Vangelo di Luca, che fanno riferimento esplicito alla situazione cui si riferisce il brano del momento. Artisticamente la scelta è d’impatto e molto adatta, perché una traduzione completa avrebbe tolto forza e attenzione alla scena, mentre in questo modo poche parole incisive focalizzano l’attenzione su quanto sta accadendo. Dal punto di vista dell’interpretazione del senso originale dello spettacolo, invece, l’uso di tali passi sacri sembrerebbe far prendere una posizione di fede al regista che probabilmente non era nelle sue intenzioni (a questo proposito è molto interessante leggere le opinioni di Piparo su Jesus Christ in una intervista pubblicata in un libretto con i testi e le traduzioni in vendita in teatro, stampato proprio in occasione del ventennale del Jesus Christ firmato Piparo); sicuramente tale lettura, maggiormente in linea con la fede, non era nemmeno nelle intenzioni del musical così come concepito e scritto. È noto infatti che JCS abbia dei contenuti molto forti, non contenga la resurrezione di Cristo, veda Gesù nella sua parte umana e non divina e interpreti Giuda come un personaggio che tradisce perché tradito, l’apostolo che ritiene che a Gesù sia sfuggita la situazione di mano (“Why you let the things you did get so out of hand”), un uomo che si ritiene vittima del piano criminale messo a punto da Dio per i suoi scopi: “God I’m sick. I’ve been used, and you knew all the time. God, God, I’ll never ever know why you chose me for your crime”. Dall’altro lato, Gesù, nel brano “Gethsemane” è triste, stanco e demotivato: “Then I was inspired. Now, I’m sad and tired”. Ha paura di portare a termine quel che Dio e non lui -precisa- ha iniziato: “Why then am I scared to finish what I started, what You started, I didn’t start it”. Inserire brani del Vangelo a commento di quanto accade in questi punti nevralgici, come pure nel momento in cui Giuda si reca dai Sommi Sacerdoti per tradire Gesù, sembra contraddire quel che Tim Rice ha invece inteso comunicare. Se infatti per esempio ci si attiene, durante la canzone “Damned for all time”, al passo di Luca in sovraimpressione “Allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici… Ed egli andò a discutere con i sommi sacerdoti e i capi guardie sul modo di consegnarlo nelle loro mani”, viene a cadere tutta la costruzione del personaggio pensata dagli autori. Insomma: si rischia di dare una lettura della storia in chiave cristiano-cattolica più di quanto non volesse essere in realtà l’opera stessa.
Quello che Piparo vuole poi rimarcare come il fallimento terreno di Cristo (riscontro nell’intervista ufficiale nel libretto di cui sopra) è risolto in modo emotivamente forte e d’impatto: nel momento della famosa flagellazione di Gesù, ad ogni frustata corrisponde un’immagine proiettata sul velatino di fondo: 39 flash in cui si vedono le più grandi atrocità della storia e le vittime di queste nefandezze che ancora oggi le subiscono e muoiono perché il male continua a vincere nel mondo, nonostante il sacrificio di Cristo in croce. Il disastro delle Torri Gemelle, Gandhi, Falcone e Borsellino, la fame nel mondo, il femminicidio, gli sbarchi a Lampedusa, il tutto inframmezzato da scritte come “No alla guerra”, sono solo alcuni dei personaggi e dei temi toccati. Uno stile preciso, una firma che Piparo ha usato già in altri suoi spettacoli, come Rinaldo in campo, Hairspray e The Full Monty.
Di grande presa anche l’idea di far iniziare parte del pezzo clou, “Superstar”, in esterna: il pubblico in sala vede proiettata in fondo al palco la locandina dello spettacolo fino a che l’inquadratura si allarga su via Sistina e sull’ingresso del teatro. Si comincia a intuire la situazione: c’è Giuda che canta in strada per poi entrare nel foyer e arrivare finalmente in platea seguito dalla telecamera.
Per il ruolo dell’antagonista di Jesus, Piparo ha scelto il giovanissimo Feysal Bonciani (diplomanto alla Gypsy Musical Academy di Torino nel 2012): la somiglianza con Carl Anderson, lo storico Judas della pellicola, non è casuale. Il regista ha voluto omaggiare il grande artista, scomparso nel 2004 e da lui diretto nell’edizione di JCS andata in scena nell’anno del Giubileo, il 2000. Bonciani ricorda Anderson anche nel modo di muoversi, convincendo dal primo momento i fedelissimi del film. Il temperamento per reggere una parte del genere, la parte intorno alla quale gira tutta l’opera, Bonciani ce l’ha e l’artista riesce a sostenere il “dialogo” con Neeley a testa alta.
Ottima la Maddalena interpretata da Simona Molinari, anima jazz reduce dal recente successo al Blue Note di New York che, con voce e interpretazione, porta quel tocco di calma e dolcezza che serve a bilanciare la forza e la rabbia impetuosa del rock presenti in tutto il resto dello spettacolo.
Shel Shapiro, Caifa, risolve le note più basse proprie del personaggio come è stato concepito nella partitura musicale, con una interpretazione più recitata restituendo al pubblico un capo del Sinedrio quasi diabolico.
Pau dei Negrita, oltre ad essere una scelta giusta per rendere la parte di Pilato a livello vocale, è anche una rivelazione positiva come attore: imponente, quasi solenne nella sua decisione di non prendere LA decisione. È con un gesto quasi ieratico, ma rabbioso, che si lava le mani facendo spruzzare l’acqua in alto, sottolineando così l’atto decisivo per le sorti di Cristo.
Paride Acacia, lo storico Jesus di Massimo Romeo Piparo e cover del protagonista, colpisce favorevolmente come Hannas: Acacia, ceduta la tunica a Neeley, si muove con disinvoltura nei giochi di voce del sacerdote mellifluo, una sinuosità che si insinua nella storia e nella mente di Giuda.
Trionfo personale poi per Emiliano Geppetti (anche cover di Giuda e di Pilato), uno dei performers italiani più apprezzati, che spopola nel ruolo di Simone Zelota, per doti artistiche e temperamento scenico. Geppetti aveva già interpretato il ruolo nella versione dello spettacolo firmata da Fabrizio Angelini per la Compagnia della Rancia.
Salvador Axel Torrisi è bravo nei panni di Erode, anche se il pezzo che gli è affidato porta l’attenzione a focalizzarsi più sull’insieme che sulla singola interpretazione: si tratta infatti di una scena dove di prassi ogni regista si sbizzarrisce per realizzare qualcosa di molto particolare, data la natura ironica del brano. In questo caso si è voluto giocare su qualcosa di molto italiano, con tutte le principali Maschere della Commedia dell’Arte. La chiave è quella del gioco e del bambinesco con valenza negativa. L’uso delle Maschere per eccellenza, Pantalone, Arlecchino, la servetta (magari Colombina), il Dottor Graziano, Pulcinella e, outsider – in quanto avulso dal contesto dell’Arte – Pinocchio, è una scelta ben precisa che continua il discorso della maschera, quella solo facciale, usata in diversi punti dello spettacolo.
Particolarmente belli e colorati, in questa scena, i costumi ad opera di Cecilia Betona, che ha fatto un bel lavoro di reinterpretazione anche nel resto dell’opera.
Al cast dei ruoli si aggiungono Riccardo Sinisi (Pietro – che ben duetta con Simona Molinari in “Could we start again, please?“) e Marco Fumarola (cover di Caifa).
La conclusione richiama, pur nella diversità, quella del film, con tutti i personaggi che, da attori dopo una rappresentazione, tornano alla vita normale, si salutano, si abbracciano. Non c’è gioia però: sullo sfondo la crocifissione, coperta da una immagine gigantesca del volto della Sindone, che il cast continua, mesto e quasi stupito, a guardare.
concordo su tutto, Neeley malgrado l’età regge e alla grande, Pau un pilato tormentato e dalla voce gradevole, per Paride Acacia e Emiliano Geppetti rispettivamente Hannas e Simone è un gioco da ragazzi primeggiare da attori da musical consumati quali sono, sempre in parte, “sempre accesi” anche quando devono assorbire le battute degli altri e non tocca a loro cantare (questa ultima cosa la fanno egregiamente), ma si vede che “tengono” sempre il tutto. Bravo il giovane Giuda di colore, verrà anche il tempo per lui di trovarsi una versione alternativa ad Anderson, fisico, forza e soprattutto voce ci stanno e come. Uno spettacolo ad alto voltaggio che fa venire voglia davvero di tornare a vederlo
Ho visto varie versioni del Jesus in 20 anni, ed ho sempre apprezzato degli artisti siciliani la loro personale via al personaggio, tenendo sempre fermi i punti cardini (Neeley, Anderson, Ylliman) La Gioai, Acacia, Cinquemani hanno sempre tentato strade alternative al Film, senza scimmiottare gli originali che in quanto originali sono non imitabili. I loro successo in ventanni gli ha dato ragione. Adesso Neeley sempre impeccabile si torna all’origine, è stata bella anche questa versione. Tutti barvi con menzione speciale a Feisal un giuda credibile e dotato di talento e groove, ed Acacia un Hannas più psicadelico e acido rispetto alle vecchie versioni…poi mettete che cantare e recitare mentre si tiene un serpente in mano vero non è cosa semplice
Ho visto svariate versioni del musical a teatro, in Inghilterra ed in Italia. Purtroppo non quella con Carl Anderson, ma Neeley per la prima volta in Europa non si poteva proprio perdere. Il verdetto è: Entusiasmante!! 40 anni di gran classe che non stancano ed anzi continuano a sorprendere. Uno pensa: “l’hai visto e rivisto, cosa avrà di nuovo da dirti?” ed invece si esce dalla rappresentazione ancora una volta innamorati di tutto, delle musiche, degli attori (tutti outstanding), delle scelte scenografiche originali e coinvolgenti e vorresti tornare a rivederlo ancora. Grazie davvero a Piparo che è riuscito a coinvolgere Neeley che con grande dolcezza ed umiltà s’impone e sbaraglia ancora con la potenza della sua voce. Imperdibile il Meet&Greet post spettacolo. Un abbraccio di Teddy Jesus ti rimette al mondo!! <3