Al Sistina per le feste, Montesano reinventa uno splendido Onofrio che non fa rimpiangere quello di Sordi
di Ilaria Faraoni – foto di Iwan Palombi – foto di scena di Antonio Agostini
Il Marchese del Grillo è tornato! Dopo quasi trentacinque anni, per nulla invecchiato e sempre attuale, come lo sono tutte le Maschere che entrano nel patrimonio di un popolo – e per Montesano, che gli ridà vita, il marchese Onofrio è una Maschera romana – il nobiluomo ha preso nuovamente possesso della Capitale, una città che nonostante gli anni, i progressi ed il nuovo millennio, non sembra tanto differente da quella ottocentesca, dove regnavano la corruzione a tutti i livelli, le disparità sociali, il razzismo, la povertà che si scontrava con una classe benestante indifferente. Ma il marchese, realmente esistito – anche se in realtà vissuto nel secolo precedente a quello della finzione (morì nel 1787) – non è rientrato nel suo palazzo, tra via Nazionale e via Cavour: si è scelto momentaneamente una nuova dimora, quella del prestigioso Teatro Sistina, dove rimarrà per tutte le feste natalizie.
E tanto per restare fedele a se stesso, Onofrio, re degli scherzi, ne ha subito giocato uno ai romani che erano nei paraggi, bloccando per diverso tempo il traffico delle automobili che scendevano da via Crispi, imbottigliate in un piccolo ingorgo capitanato da tre carrozze con tanto di cocchieri e cast, in abiti d’epoca, che attendevano di svoltare per via Sistina, tra inutili clacson e qualche parolaccia da parte di chi forse non si era reso conto dell’evento in corso. L’epilogo dello showcase, accompagnato dalla musica diffusa in strada, ha avuto luogo poi proprio davanti al Sistina, come di consueto per le prime firmate dal regista Massimo Romeo Piparo, direttore del teatro, tra una folla di vip, giornalisti, fotografi, spettatori in attesa di entrare e semplici passanti.
Il film di Mario Monicelli (scritto con Piero De Bernardi, Tullio Pinelli, Leonardo Benvenuti e Bernardino Zapponi) è un cult del 1981, nel quale troneggia l’interpretazione di Alberto Sordi. La versione teatrale musicale è firmata da Gianni Clementi, Enrico Montesano e Massimo Romeo Piparo. I puristi, quelli ancorati con tutte le forze all’immagine immutata che continua a dare la pellicola, forse potrebbero non accettare di buon grado un Marchese del Grillo diverso da quello fissato da Sordi e Monicelli.
Invece il bello è proprio questo: Montesano, con l’aiuto degli altri autori e della regia, si è cucito addosso un personaggio altrettanto forte, proprio perché con caratteristiche tutte sue; un marchese che, ad una parte di pubblico, potrà piacere addirittura di più. L’Onofrio di Enrico è più simpatico e bonario, con uno spirito romano più vicino a Rugantino, con le dovute differenze di classi sociali tra i due personaggi, uno nobile, l’altro popolano, entrambi però legati da quel “’n c’ho niente da fa’”, da quella noia che dà loro il gusto della risata, dello scherzo. In alcuni momenti, grazie all’adattamento, il testo è anche più evidentemente profondo, come se alcune aggiunte portassero alla luce quello che nel film rimaneva ad un livello di lettura più nascosto, da intuire.
Del resto si apprezza molto, di questa trasposizione, l’aver sfrondato la narrazione da alcuni elementi legati alla sfera sessuale più volgare, concentrando l’attenzione sui significati importanti e sugli spunti di riflessione che il testo proponeva e, fedelmente, propone. Uno su tutti? La grande importanza data al valore della giustizia, che viene fuori prepotentemente dallo scherzo delle campane a morte (come nel film) e dalla presa di coscienza finale del marchese (molto più articolata nella versione teatrale), pronto a farsi giustiziare per salvare Gasperino, il suo sosia carbonaio, nonché vittima di una delle sue burle colossali: “Ho scherzato tutta la vita, ma non so’ un pupazzo, non posso fa’ condanna’ un innocente al posto mio!”. Questa voglia di riscatto, questo guizzo di orgoglio, sono elementi che avvicinano ancora una volta Onofrio a Rugantino.
Di Montesano che scrivere ancora? Diverte nel doppio ruolo del marchese e del carbonaio, regalando, con la caratterizzazione di Gasperino, un’interpretazione ricca di tutta la sua gamma espressiva comica; il palcoscenico gli permette tutta una serie di giochi di mimica facciale e fisica molto teatrali che il cinema ovviamente non consente. Straordinario lo studio del linguaggio del corpo per differenziare i due uomini dallo stesso volto. Quando Enrico è il marchese trasuda nobiltà, quella nobiltà impastata con un sentire romano che lo avvicina in un certo modo al popolo, malgrado l’impronta di bonaria superiorità; quando è Gasperino, è il popolo, quello rozzo, con la schiena curva dalla fatica e dal troppo alcol nelle vene a venir fuori.
Una strizzata d’occhio, poi, ad uno dei notissimi personaggi di Montesano sbuca nella scena in camera di Genuflessa, con la celebre fischiata del pensionato Torquato…. ed il pubblico apprezza.
Ma non si ride soltanto, ed ecco che la tirata finale su Roma, prima che il Marchese salga sul patibolo (chi non conoscesse la storia non si preoccupi, il lieto fine impera) esalta la chiave di lettura di tutto il lavoro e commuove grazie alle doti introspettive di Montesano ed alla sua voce calda, complice l’atmosfera creata dalle luci di Umile Vainieri e dalle scene di Teresa Caruso. Il silenzio assoluto del pubblico, quello che accompagna sempre i momenti più alti e toccanti di uno spettacolo, parla.
La scenografia risponde ad una esigenza di grande movimento, voluto da Piparo: il girevole tramite il quale avvengono i cambi di ambientazione, con l’entrata di alcuni elementi essenziali (una tavola apparecchiata, un divano, una scrivania,) ben si sposa con il resto della scena, che ruota, per quanto riguarda il praticabile, e che scende grazie ai teloni mobili (che costituiscono le pareti e gli arredi degli interni o gli esterni dei palazzi). Riuscito dunque l’elemento dinamico (anche se in alcuni punti necessita di un altro po’ di rodaggio) che movimenta tutto il musical e che conferisce velocità alla narrazione, esaltato dalle coreografie potenti di Roberto Croce, che anima il popolo romano (spesso anche nei cambi scena) dando quel sapore particolare che con le incisioni di Pinelli (come non pensare al Meo Patacca?) o con il già citato Rugantino, siamo abituati a respirare.
I costumi di Cecilia Betona sono ricchi e impeccabili; gli abiti di Montesano richiamano molto da vicino quelli del film, anche nei colori e nei tessuti.
Le musiche originali sono firmate da Emanuele Friello, che a tanti lavori di Massimo Piparo ha egregiamente collaborato.
Necessitando di sonorità e atmosfere che caratterizzassero la romanità ottocentesca, non si poteva prescindere dalla tradizione e, anche non volendo, dal Maestro Trovajoli, che proprio con Rugantino aveva lavorato al filone popolare romano: Friello mette a proprio agio gli spettatori con ritmi e melodie rassicuranti e piacevoli.
Nel cast, accanto a Montesano, spicca Giorgio Gobbi, trait d’union tra il film e lo spettacolo teatrale: il Riciotto originale, aveva già assicurato in conferenza stampa il rispetto e la fedeltà allo spirito originale della trasposizione teatrale, e aveva ragione. Alla prima entrata in scena Gobbi prende un fragoroso applauso e sembra che il tempo per lui non sia passato.
Giulio Farnese nei panni dello zio prete, e Monica Guazzini, la marchesa madre, costruiscono caratterizzazioni efficaci, donando ai loro personaggi nuova vita e maggiore forza comica grazie al mezzo teatrale e alle capacità individuali.
Dora Romano affronta il doppio ruolo della madre di Faustina e della moglie di Gasperino, due donne estremamente diverse, che coinvolgono due registri interpretativi opposti. Alla prima Dora conferisce, anche nel brano musicale a lei affidato, una dolcezza ed una certa profondità che nel corrispettivo cinematografico mancavano e lo fa con una naturalezza sorprendente. Il lato materno di Faustina vede così la luce e completa e, in qualche modo, giustifica il lato spregiudicato e venale. Con la seconda donna, la Romano può giocare e divertirsi caratterizzando il personaggio tanto da divenire irriconoscibile.
È poi terreno quanto lo richiede il ruolo, il Papa Pio VII di Tonino Tosto; Benedetta Valanzano è incisiva nelle vesti dell’attrice francese Olimpia e dimostra di essere preparata anche nel canto; perfetto nella parte di Aronne Piperno Andrea Pirolli, che ha lavorato molto anche sulla fisicità dell’artigiano ebreo; Michele Enrico Montesano (che già abbiamo visto accanto al padre in “C’è qualche cosa in te… ”) è a suo agio con la caratterizzazione linguistica: qui gli toccano il capitano francese Blanchard e la guardia svizzera.
E ancora nel cast di ruoli troviamo Ilaria Fioravanti (Genuflessa), Roberto Attias (l’amministratore), Gerry Gherardi (commissario/gudice), Ambra Cianfoni (Camilla), Giacomo Genova (Rambaldo/il graduato), Gloria Rossi (Faustina), Fabrizio Caiazzo (il cardinale assistente del Papa), Sergio Spurio (l’oste), Francesca Rustichelli (la figlia di Gasperino/cameriera), Marco Rea (il cameriere in polpe), Claudio Ladisa (Marcuccio), Sandro Bilotta (castrato), Sebastiano Lo Casto (la streghetta).
L’ensemble: Debora Boccuni (capoballetto), Silvia Pedicino, Ilenia D’Agostino, Viola Oroccini, Annalisa D’Ambrosio, Saria Cipollitti, Cialì Sposato, Rocco Stifani, Giuseppe Ranieri.
Il suono è a cura di Fabrizio Santarelli.
1 thought on “REVIEW – IL MARCHESE DEL GRILLO”
Comments are closed.