Una piccola rivoluzione!
di Lucio Leone – foto di Gaetano Cessati
E’ successo qualcosa al Teatro Coccia di Novara: una piccola rivoluzione ha preso il via. Davanti ai nostri occhi di spettatori attenti -o forse sarebbe meglio dire “rapiti”- questa piccola rivoluzione si è fatta forte dell’eleganza di un regista giovane, del coraggio di due produttori, dell’energia di un musical vincitore di un Pulitzer, del talento di un cast semplicemente perfetto e già da oggi le cose non saranno, non potranno più essere le stesse.
Un regista giovane dicevo (a riprova che l’Italia è un paese di vecchi solo se si decide di ignorare il talento delle nuove leve), Marco Iacomelli, che al suo già ben nutrito carnet professionale può aggiungere una pietra preziosa con la messa in scena di questo Next To Normal. La prima sfida era il confronto con non uno ma ben due diversi allestimenti, roba da far tremare i polsi: la versione americana vincitrice di tre Tony con Alice Ripley e Aaron Tveit e quella, ricca di attenzione e cura per i dettagli, che il suo mentore Saverio Marconi aveva firmato (con la regia associata di Iacomelli stesso) la scorsa estate a Bologna. Ed è riuscito a mantenere una propria ispirazione originale, a dire e dare del suo malgrado appunto ci fossero quelle due corazzate splendide (ma potenzialmente ingombranti) come riferimento. Le idee registiche si sono sposate con la cura per parole e movimenti che ha saputo suggerire ai suoi attori. Precisione, attenzione, pulizia… il tutto reso con una eleganza assoluta. E con una assoluta verità: i ragazzi non recitavano “da ragazzi”, lo erano. Il linguaggio (del recitato e delle liriche) non imitava quello parlato, lo era. I movimenti non erano teatrali, ma “veri”, erano gesti e movimenti di uomini e donne, giovani e adulti che si confrontavano con la vita, non con una storia.
Già, la storia. Che è quella di una famiglia normale che normale non è. Che al limite vorrebbe esserlo, o almeno “quasi un po’ normale” cercando di convivere con la malattia mentale della madre (bipolarismo e schizofrenia con una spruzzo di depressione, tanto per gradire). Una famiglia con dei segreti, delle comunicazioni difficili, con delle cose non dette o affrontate come tante, o forse come “tutte” perché se è vero come scriveva Tolstoj che ogni famiglia è infelice a suo modo, la stessa frase rende di fatto tutte le famiglie infelici uguali nella diversità. E qui torna in gioco la rivoluzione grazie all’audacia di Andrea Manara e Davide Ienco (produttori coraggiosi e “pionieri”) che portando in scena in Italia questo testo rimettono a posto una volta per tutte la questione Musical, che non è -o almeno non dovrebbe essere- una sottomarca del Teatro. Ci sono musical fatti bene e altri fatti male e di conseguenza si dovrebbe parlare solo di buon Teatro e cattivo Teatro. Musical di intrattenimento, altri di nicchia, da camera, mastodontici o con soli due attori in scena, e ognuna di queste categorie vede al proprio interno titoli che hanno maggiori affinità con corrispondenti spettacoli di prosa appartenenti alla stessa categoria che con altri “musical”. Quindi se ci abituiamo a paragonare My Fair Lady a una commedia di Noel Coward e Next To Normal a una di Sam Shepard un poco alla volta il pubblico che si fa andare bene spettacoli faraonici e inutili e snobba gioielli “off” smetterà di essere prigioniero di una categoria. E chi ama il buon Teatro potrà godersi del buon Teatro a prescindere che il personaggio si racconti con una canzone o un monologo, come succede ovunque nel mondo tranne qui. Come forse succederà grazie a questa piccola rivoluzione del mettere in scena in Italia un musical che parla di problematiche vere, con dinamiche vere, dove una famiglia alterna momenti difficili ad altri leggeri, come facciamo tutti quando ci aggrappiamo a uno scampolo di risata o a un momento di umorismo per sopravvivere a un dolore. Nella realtà.
E poi c’era il cast. A cominciare da Francesca Taverni. Che ha reso memorabile il personaggio di Diana, al punto che mi è impossibile in questo momento pensare ad un altro volto al posto del suo per quel personaggio. Che si trattasse di affrontare la malattia, o di discutere-parlare-litigare con uno dei membri della sua famiglia, di cantare la propria visione del mondo (ma questa donna quante sfumature riesce a dare con la voce? quante note riesce ad accarezzare mentre canta una melodia?) o anche semplicemente di camminare a piedi nudi sul palcoscenico, la sua presenza è magnetica, e sembra aver inventato un modo diverso per sfondare la quarta parete con le emozioni per costringere lo spettatore a immedesimarsi con lei. Antonello Angiolillo dal canto suo è del tutto presente al ruolo di marito innamorato, esaurito dal compito di assistere la moglie malata e di conseguenza manipolatore suo malgrado. La sua parte era estremamente complicata perché se il testo di Brian Yorkey richiedeva una recitazione naturale, la partitura di Tom Kitt era nella migliore delle ipotesi decisamente impegnativa, ma il risultato è stato eccellente. Lo stesso dicasi di Luca Giacomelli Ferrarini, dotato di una incredibile duttilità vocale che gli permette di spaziare tra generi di musical completamente diversi adattandosi di volta in volta al ruolo con estrema facilità. Di fianco a questi tre performer restare all’altezza era cosa difficile, ma Renato Crudo, Laura Adriani e Brian Boccuni sono stati capaci di mantenere altissimo il livello, e benché siano tutti e tre giovani non si può non apprezzare e sottolineare la maturità con cui hanno risposto alle esigenze delle rispettive parti e alle indicazioni del regista. Gli applausi, strameritati e scroscianti, ne sono stata la riprova.
Ho già ricordato la bellezza delle scene e delle luci (rispettivamente a firma di Gabriele Moreschi e Valerio Tiberi), manca solo una menzione ai costumi così “normali” di Maria Carla Ricotti, alle traduzioni (impeccabili, ispirate) di Andrea Ascari, alle coreografie di Gillian Bruce e alla supervisione artistica di Saverio Marconi. Anche il loro, preziosissimo, contributo è stato essenziale a quella piccola rivoluzione che ha preso il via ieri sera in un teatro di Novara per merito di un regista giovane, di due coraggiosi produttori, di un musical dirompente e di un cast dal grande talento per cui il Musical in Italia, già da oggi non sarà più lo stesso.
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