Outing: nuovo allestimento italiano dei perFORMErs per “Bare – the musical”
di Lucio Leone
foto di scena di Luca Vantusso e Angela Bartolo per LKV Photo Agency – foto locandina Ricardo Berjano
Recensendo il nuovo allestimento di Outing – un amore, una luce, una sola voce, con la regia di Edoardo Scalzini, una premessa è d’obbligo. In genere, i problemi tecnici (soprattutto quelli legati alla fonica), diventano una sorta di “tara” che un critico scrivendo una review tenta, una volta ricordato che sono esistiti, di eliminare dall’equazione, sapendo che si tratta di inconvenienti o incidenti di percorso che è relativamente facile si risolvano. In genere, appunto. In questo caso però la prima dello spettacolo al Piccolo Teatro della Martesana di Cassina de’ Pecchi lo scorso 28 aprile, ne ha risentito in maniera talmente evidente che va sottolineato non soltanto il disagio per il pubblico, ma anche quello di chi, in scena, ha dovuto presumibilmente faticare molto per trovare la necessaria concentrazione per svolgere il proprio lavoro. Un vero peccato che ha penalizzato fortemente la replica nel suo complesso.
Detto questo, e tornando a più piacevoli e pertinenti considerazioni, Outing si dimostra ancora una volta uno spettacolo onesto che il pubblico italiano avrebbe “bisogno” di vedere (magari senza nemmeno sapere di avere questa necessità). Per le tematiche trattate innanzi tutto, che riguardano omosessualità, bullismo, la scuola vista come insegnamento e preparazione alla vita e non come mero passaggio di nozioni. Il testo di Jon Hartmere e Damon Intrabartolo (con le riuscite traduzioni delle liriche di Michel Anzalone), pur se un filo retorico e senza la complessità di uno Spring Awakening, è comunque drammaturgicamente solido con una bella colonna sonora, e ancora più di questo è una vera tragedia classica adattata in chiave moderna destinata non solo ad un pubblico preparato ma anche a chi, magari per la propria giovane età, ha riferimenti più limitati. Jason e Peter, protagonisti di una impossibile storia d’amore in un collegio cattolico (“in the closet“, non dichiarato il primo, ovviamente sportivo e testosteronico; delicato sognatore, adolescente bullizzato ma in realtà molto più forte del suo amante il secondo come si dimostra nel tragico, inevitabile epilogo) ma così anche i loro compagni e le due figure “adulte” che rappresentano lo yin e lo yang – cuore e ragione, individualità e conformismo, persona e società – che si pongono come riferimenti nel difficile percorso che dovrebbe portare i ragazzi all’età adulta, si muovono in un quadro per certi versi scontato ma non per questo meno noto a tutti noi, che lo ritroviamo quotidianamente in diverse declinazioni nelle nostre vite o esperienze tanto da accettarlo immediatamente come reale o quantomeno verosimile.
L’altro motivo che rende Outing spettacolo necessario, è poi il lavoro di buona messa in scena fatto da Scalzini -assistito da Sara Persali-, che ha scelto di rappresentare questa storia con un allestimento che privilegia la recitazione rispetto a idee che teatralizzando il testo potenzialmente lo avrebbero allontanato dalla realtà. In suo aiuto sono intervenuti Luca Peluso con coreografie e movimenti scenici di grande intelligenza e impatto, mai didascalici e sempre pertinenti al “momento” (e del resto in locandina il suo lavoro viene accreditato anche come “regia associata”) ed Eleonora Beddini, nella duplice veste di direttore musicale e della band, di cui si è però solo potuto intuire il grande e rigoroso lavoro fatto per via della fonica impietosa. Lo stesso dicasi per la scelta di proporre la scatola nera al posto di scenografie didascaliche, costumi “da tutti i giorni” (curati da Fabio Cicolani e Silvia Cerpolini) e l’uso di luci “emotive” che sono state usate con sapienza e mestiere così da concentrare l’attenzione su dinamiche e recitazione (disegnate da Peluso e Giuseppe Di Falco). Inutili invece e a volte addirittura quasi fastidiose perché distraggono dall’azione scenica risultano le proiezioni (continuo a proporre una moratoria che ne impedisca l’uso -o meglio: l’abuso- in teatro).
Il cast è infine stato un altro elemento essenziale per la riuscita dello spettacolo. Francesca Taverni è, come sempre, una grandissima risorsa del nostro teatro che riesce nell’impresa di dare consistenza a sorella Joan, personaggio a serio rischio di cliché; e insieme a lei vanno doverosamente citati anche Marco Massari (analogo discorso per il suo padre Mike, intelligentemente interpretato come un uomo che opera scelte in base alle proprie convinzioni e non come il semplice antagonista di sorella Joan); Natascia Fonzetti, al solito: magnetica; Yuri Pascale Langer, convincente Peter al suo primo ruolo da protagonista e Riccardo Sinisi, che ha saputo usare al meglio il proprio talento riuscendo a sostenere una buona prova pur se forse il ruolo affidatogli non è completamente nelle sue corde. Sinisi ha anche beneficiato della scelta di affidare a Jason la canzone più nota dello spettacolo, Role of a lifetime, originariamente scritta per Peter, secondo quanto già fatto nel revival Off-Broadway del 2012. Davvero buona la sua interpretazione, ma chi scrive resta comunque convinto che la canzone sia molto più funzionale se lasciata al personaggio per cui era originariamente pensata.
Ma un applauso va esteso anche al resto del cast, e quindi a Beatrice Berdini, Giacomo Marcheschi, Federica Laganà, Salvatore Maio e Chiara Di Loreto, che hanno saputo creare, ognuno secondo le proprie capacità, un insieme organico senza mai perdere la propria individualità.
Forse leggermente fuori contesto risultavano soltanto alcuni accenti, enfatizzazioni e caratterizzazioni che strizzavano l’occhio ad applausi facili, ma è comunque un peccato veniale, e di nuovo è difficile capire se non si sia trattato piuttosto di una reazione alle problematiche tecniche a cui accennavo precedentemente.
Outing tornerà per due date in scena al Piccolo Teatro del Baraccano di Bologna e mi auguro… anzi, no: mi “aspetto” che venga ripreso la prossima stagione. E che susciti curiosità, e dibattiti, e magari contestazioni e polemiche e che l’Adinolfi di turno si indigni, faccia post infuocati a cui qualcuno risponderà, così che il pubblico vada a vedere con i propri occhi di cosa si discute e di conseguenza si ritrovi a pensare. Perché è questo che uno spettacolo teatrale dovrebbe essere in grado di fare per essere considerato buono e, ancor di più, necessario. Appassionare con una solida, rigorosa messa in scena e poi e far pensare. Come, appunto, Outing.