One man show con incursioni musicali per il ritorno in teatro di Max Giusti
di Ilaria Faraoni
Prodotto da AB Management e diretto da Marco Carniti, ha debuttato al Sistina di Roma Di Padre in figlio, un one man show che vede protagonista Max Giusti, autore del testo insieme ad Andrea Lolli, Claudio Pallottini e Giuliano Rinaldi.
La scena, ideata dallo stesso Carniti con Fabiana Di Marco è semplice: una grande struttura geometrica bianca, una specie di C squadrata con cinque lati che sembra simulare i sedili di pietra che si possono trovare in un classico giardino di un ospedale, dove infatti l’azione è ambientata; in fondo, strisce rettangolari vengono utilizzate per dare colore ai momenti musicali grazie alle luci (Idea Musica Service), o per integrare la scenografia e dare evidenza a particolari situazioni con alcune videoproiezioni ad opera di Francesco Scandale. Quella principale, un cielo dove si stagliano le chiome degli alberi, è anch’essa a predominanza bianca, molto adatta a creare un’atmosfera in qualche modo “ospedaliera”. Su tutto troneggia un grande 540 che si rivelerà essere il numero di una camera del suddetto ospedale. I costumi, che ben si sposano all’ambientazione, sono firmati da Maria Filippi.
La trama annunciata nei comunicati stampa dovrebbe ruotare intorno alle domande: “Quando si smette di essere figli e si diventa genitori? E quando si diventa genitori, si smette di essere figli?”. Il rapporto padre/figlio dovrebbe essere analizzato trasversalmente attraverso tre generazioni: quella del protagonista quarantenne, Giusti, che si relaziona da una parte con suo padre (ricoverato in ospedale per una operazione), dall’altra con suo figlio nato da appena una settimana, che non ha ancora potuto conoscere il nonno.
In realtà tutto ciò è solo uno spunto per un lungo monologo dell’attore che si rivolge in parte al bimbo, celato in una carrozzina, e in buona parte direttamente al pubblico, coinvolto ed incitato spesso ad intervenire rispondendo ad alcune domande.
Fuori trama Giusti ironizza su tutti i temi classici o sulla più recente attualità: riferendosi ai giovani, infatti, sottolinea come questi “Se ne vanno di casa a 35 anni e a 39 fanno il Presidente del Consiglio” passando “dalla cameretta alla Camera” (chiaro riferimento a Renzi).
Poi è la volta della televisione italiana dove per lavorare “devi impara’ a cucina’” e dove le fiction sono, a detta di Giusti, quasi tutte sui Carabinieri, sulla Polizia e sulla Finanza.
Si passa dalle riflessioni sulle donne, alle quali l’attore fa il verso in maniera molto divertente, all’imitazione dei figli che a 14 anni ti arrivano a casa e parlano “da coatti” (e qui Max si scatena in intonazioni e modi di parlare esilaranti). E ancora si parla di sesso, del servizio militare, perfino del Papa “pensionato” (“Che fa un Papa pensionato”?); si va dalle facezie e dai giochi di parole nell’evidenziare il proliferare di frutterie gestite da egiziani, ai compagni di scuola.
In maniera autoironica non manca nemmeno la battuta su “Affari tuoi” e sul vecchio conduttore che è sparito. Immancabile anche il tema della mamma, quella che proibisce e rimprovera: sullo sfondo campeggiano videoproiezioni con primi piani di bocche con rossetto rosso che si muovono sempre più freneticamente. Si parla poi perfino di Harry Potter, di Hogwarts, di Bud Spencer e Terence Hill e della fiction Don Matteo, non senza qualche arguzia sulla recitazione dell’attore veneto.
Certamente in ogni tema ci sono dei richiami ai tempi andati, di cui si fa emblema il fantomatico padre (che non si vedrà mai in scena) e i tempi presenti e quelli che verranno, di cui è simbolo il figlioletto.
Ma anche se non ci fosse stato quel minimo di trama a tenere unite tutte queste tematiche, lo show sarebbe potuto andare avanti ugualmente senza subire grandi menomazioni, quindi sarebbe auspicabile che il tema che si è voluto dare (e che a tratti offre spunti di riflessione importanti) trovasse in futuro maggior integrazione e peso all’interno dello spettacolo.
Soltanto nel finale del primo atto, infatti, il tono diventa drammatico e ci si cala di più nella vicenda specifica; qui Max Giusti rivela le sue doti di attore più intimo e introspettivo: le condizioni del padre sembrano ormai irrecuperabili e il protagonista canta una toccante canzone rivolta all’anziano genitore. Sempre sullo stesso tema è da citare anche il successivo colloquio con un Dio tutto napoletano e la successiva conclusione che strappa la commozione.
In tutto questo si inserisce anche il riferimento al mondo dello spettacolo: nella finzione Max è infatti un attore che ancora non ha trovato realizzazione, pieno di debiti, sull’orlo di vincere un provino per un film con Scorsese a Hollywood (e qui l’esaltazione, seppur nell’ironia, del cinema italiano e di Cinecittà); la telefonata finale dell’agente però, che gli comunica di essere stato scelto, lo pone davanti alla decisione più difficile della sua vita: lasciare un padre di cui non conosce ancora le sorti e correre a firmare il contratto o perdere per sempre l’occasione attesa da una vita!
Lo spettacolo vuole essere in qualche modo musicale anche se le poche canzoni cantate da Giusti – scritte da Gaetano Curreri degli Stadio e da Saverio Grandi – e gli sporadici interventi di alcune ballerine, sono forse troppo pochi.
Le coreografie di Kristian Cellini volgono più al varietà che alla danza vera e propria. Si sarebbe potuto insomma giocare di più con la commedia musicale, dato che Giusti è un attore che ha già affrontato perfino Garinei e Giovannini.
Sempre sul versante musicale sono state inserite anche alcune note imitazioni, cavalli di battaglia dell’attore, come quelle di Cristiano Malgioglio e di Renato Zero. Bisognerebbe comunque sapere come lo spettacolo era stato concepito all’inizio perché, dalle parole di Giusti durante i ringraziamenti finali, si è evinto che, per alcuni problemi personali dell’attore, lo show è stato rimaneggiato e cambiato rispetto all’impostazione originale di Carniti.
Ma, accantonando supposizioni e tornando alla spettacolo così come è, c’è un’ultima chicca da raccontare: quando sembra che tutto sia perso e Giusti si lancia nella canzone drammatica in cui ripete più volte la frase “This is the end”, il lieto fine trionfa su tutti i fronti e, ancora con un riferimento attualissimo, senza svelare qui il finale, si può dire che l’attore strizzi l’occhio e tiri una frecciatina anche al regista Sorrentino ringraziando, in una situazione tutta da scoprire, Falcão, Totti e “The mortazza”.