di Sandro Avanzo
Può il modello di Mamma mia! fare da apripista ad un jukebox musical tutto made in Italy? Possono i Ricchi e Poveri essere i nostri Abba?
Questa è stata l’intuizione venuta in mente, già alcuni anni fa, ad Alfonso Lambo, e nel contempo la sfida produttiva da lui perseguita nel corso del tempo (dal concepimento del soggetto, alla scrittura del libretto fino alla regia). Il risultato di cotanta impresa lo si è potuto alfine toccare con mano, vedere con occhi e udire con orecchie al Teatro Barklays Nazionale di Milano in occasione di una serata “chiusa” – definizione tecnica “workshop di presentazione” – riservata a stampa e addetti ai lavori e, diciamolo subito…. la delusione è stata tanta! Anche a fronte del travolgente entusiasmo finale dimostrato da amici e parenti che gremivano la sala.
Siamo rimasti delusi in primo luogo dal soggetto, una vicenda collettiva di amori incrociati tra la metropoli e la vita rurale in cui interagiscono vari tipi di coppie. Intorno a Marco, il ragazzo campagnolo che ha abbandonato il natìo borgo toscano per la tentacolare e sfavillante Milano, si muovono la sua migliore amica Cristina che deve confrontarsi con un ex-boyfriend lasciato al paesello, la coppia trendy di fidanzati in perenne contesa formata da Miky e Roby, la stramba coppia femminile di Susy e Gioia e il bel tenebroso Alessandro incerto sul corso da dare alle proprie inclinazioni sessuali. Qualcuno ha dubbi sull’esito finale in chiave di happy end gay e pansessuale?
In tutto questo allegro carosello il difetto strutturale non sta solo nella prevedibilità di un abusato intreccio da commedia all’italiana, quanto nella povertà di una scrittura drammaturgica talmente elementare che i dialoghi de I ragazzi del Muretto al confronto sembrano Beckett.
I caratteri dei personaggi sono stereotipi tagliati con l’accetta e per accentuarne i connotati o le sfumature non basta calarli in un contrasto di ambientazione (tanto post-neorealismo anni ’50) tra il mondo dell’alta moda internazionale e l’autenticità semplice e schietta della vita campestre. Se Alfonso Lambo avesse guardato meglio alla lezione del nostro cinema rosa (quello di Susanna tutta panna, di Poveri ma belli, di Il conte Max), perché è in quel territorio aggiornato al terzo millennio che consciamente o inconsciamente intenderebbe muoversi, avrebbe capito come valorizzare le differenze linguistico-dialettali in chiave espressiva e non banalmente macchiettistica, e avrebbe capito anche come strutturare la sequenza delle scene in modo che i numeri musicali risultassero incisivi e non di semplice commento alle vicende sceniche.
Per essere più chiari e fare un esempio pratico, ci si può riferire a due personaggi minori: le due vicine curiosissime e pettegole che fanno commenti su tutto ciò che si muove ed accade sul ballatoio della loro casa di ringhiera. Costoro parlano dialetti estremamente caratterizzati e geograficamente lontani tra loro, si muovono e si agitano in modo più che prevedibile e dovrebbero avere una funzione di alleggerimento comico, di sguardo di commento esterno che arricchisce di dettagli le vicende che passano sotto il loro naso. Perché, dunque, dopo le prime apparizioni – e nonostante l’impegno delle attrici Altea Russo e Paola Ciccarelli – ogni volta che tornano in scena risultano eccessive e irritantemente obsolete? Forse perché siamo davanti al risultato di un artigianato italiano del musical che ancora ha tanto da imparare dal professionismo vero, dove sono ben definiti i ruoli e le competenze, dove il librettista sa fare davvero il librettista, il musicista fa il musicista, il coreografo fa il coreografo e il regista fa il regista senza complesse sovrapposizioni di ruoli e senza ossessive smanie di onnipotenza.
A margine di un entusiasmo che non va oltre il volonteroso va comunque riconosciuto alla drammaturgia il pregio di una ricerca della scrittura in funzione degli interpreti a cui è destinata. Certi particolari, certe battute sono stati chiaramente concepiti sulle carattristiche dell’attore o dell’attrice che avrebbe poi dovuto riviverli sul palco. E sotto questo aspetto l’intero cast (Altea Russo, Nicolas Tenerani, Paola Ciccarelli, Andrea Verzicco, Giada D’Auria, Tiziana Lambo, Lucia Blanco, Giorgio Camandona, Eleonora Lombardo, Andrea Rossi, Bruno De Bortoli) si dimostra di buona caratura e risponde bene ai compiti per cui è stato scritturato, anzi è particolarmente da apprezzare là dove gli interpreti cercano di sopperire coi propri talenti personali alle manchevolezze delle varie situazioni.
Non vogliamo e non possiamo essere del tutto negativi rispetto a questo atteso allestimento. Anche se è stata l’ennesima occasione mancata di affermare una Via Italiana al Musical, la serata non è andata sprecata. A qualcosa lo spettacolo è servito; qualcosa che funziona c’è e funziona davvero bene: la teatralità delle musiche e le canzoni dei Ricchi e Poveri. Trascinanti, popolari, spensierate e davvero “pronte per essere messe in scena in un jukebox musical”. Assolutamente da (ri)scoprire!!! A patto di avere un altro soggetto, un altro copione e un’altra regia. E magari con un pizzico di modestia e di autentico professionismo in più.