Pipino il Breve conquista ancora una volta la Sicilia
di Paolo Vitale
Al Teatro Brancati di Catania è andata in scena un’edizione “speciale” di “Pipino il Breve”, il più celebre musical -o meglio “commedia musicale”- di Tony Cucchiara.
Da bravo siciliano quale sono, educato sin da piccolissimo al teatro, ho sempre considerato “Pipino il breve” un classico assolutamente imprescindibile all’interno del bagaglio culturale dell’appassionato di teatro. Eschilo ed Euripide al Teatro Greco di Siracusa; Pirandello, Shakespeare e Brecht al Teatro Verga; Nabucco ed Aida al Teatro Bellini e… Pipino il Breve nelle calde piazze estive. Immaginate il mio assoluto stupore quando, approdato a Milano, scoprii che perfino grandi conoscitori di teatro e di musical non ne avevano mai sentito parlare. Una doppia pugnalata: la prima nel mio orgoglio siciliano, la seconda nel mio essere amante del teatro.
Ma perché questa lunga introduzione? E’ presto spiegato.
Sono assolutamente convinto che “Pipino il Breve” sia un’opera teatrale fondamentale non solo per i siciliani, ma per tutti gli italiani. Non ho vergogna ad ammettere che considero questo titolo esattamente alla stessa stregua di Aggiungi Un Posto a Tavola e di Rugantino. Chiunque ritiene di amare e conoscere il musical non può assolutamente ignorarlo! “Pipino il Breve”, per chi non lo sapesse, è stato rappresentato sin dagli anni ‘70, oltre che in tutta l’Italia anche all’estero: a Broadway, in Canada, in sud America, in Australia… Anni ed anni di tour internazionale segnando sempre sold out e lunghissimi applausi a scena aperta.
Cerchiamo di capire il perché di questo “sconosciuto” successo.
Questa la trama:
Pipino il Breve, vecchio e stordito re di Francia, decide di avere un erede. Manda così un’ambasceria di cavalieri ai sovrani d’Ungheria per chiedere la mano della loro bellissima figlia Berta. Questi accettano contenti la proposta di matrimonio e inviano in Francia Berta con una ricchissima dote (qui il celebre brano “U curredu”). Durante il viaggio di ritorno il corteo regale chiede ricovero presso il castello di Magonza, dove Berta incontra la subdola Falista, a lei somigliantissima. Diventate amiche, Berta chiede a Falista di trasferirsi con lei in Francia. Il corteo riparte così da Magonza con al seguito anche Falista e Marante, il fido cavaliere ed amante della magonzese. Lungo il viaggio Falista, usa alle arti magiche, invoca un demone che le consiglia un perfido stratagemma: basterà sostituirsi alla vera Berta, approfittando della somiglianza con lei, per diventare regina di Francia al suo posto. Falista chiede così a Marante di farle prova d’amore uccidendo la povera Berta. Questi, seppur controvoglia, accetta di compiere il delitto. Portata così Berta nella foresta, Marante si appresta a compiere l’assassinino, quando però viene mosso a pietà dalle parole e dalle lacrime della povera fanciulla e, gettate a terra le armi, le risparmia la vita: “Sono un combattente, non un assassino”. Lega così Berta ad un albero e stringe con lei un patto: lui l’avrebbe risparmiata, ma lei sarebbe dovuta sparire per sempre e senza più ripresentarsi a palazzo. Berta così, lasciata sola in mezzo alla foresta, viene salvata da un vecchio cacciatore di passaggio che la libera e la porta a vivere nella sua casa in mezzo al bosco.
Nel frattempo il corteo con la finta Berta giunge a Palazzo dove Pipino organizza una grande festa di accoglienza e celebra il matrimonio.
Il secondo atto si svolge ben sette anni dopo i fatti fin qui narrati, quando cioè i sovrani d’Ungheria, non avendo più ricevuto nessuna notizia dalla figlia e del genero, decidono di recarsi alla corte di Pipino a far loro visita. Arrivati a palazzo l’inganno è presto svelato: la falsa Berta viene smascherata e Marante racconta tutta la verità sul rapimento di Berta e sulla sua mancata uccisione. Dopo aver chiesto perdono e aver ripudiato Falista, il nobile Marante si uccide.
Inizia così una frenetica ricerca di Berta per tutto il regno, senza tuttavia buon esito.
Berta, infatti, mantenendo fede al giuramento fatto a Marante, vive segregata in casa senza alcun rapporto col mondo esterno. La sua unica speranza di liberazione la ripone nelle tele che tesse giorno e notte raccontando, su ciascuna di esse, la propria triste storia. Spera infatti che almeno una di esse giunga un giorno a palazzo e che Pipino la interpreti (qui la famosissima “E Berta filava”). E proprio così avviene: Pipino in persona si reca quindi bosco a liberare Berta che diventa finalmente regina di Francia e dona al regno un nuovo legittimo erede: Carlo Magno!
Quante cose potremmo scrivere su “Pipino il breve”, che forse non basterebbe un’intera monografia: uno spettacolo talmente intriso di carattere popolare da diventare simbolo stesso di sicilianità nel mondo, quasi un archetipo ancestrale ormai fuso inconsciamente nel dna del popolo siciliano.
In scena i personaggi si muovono tutti come se fossero pupi siciliani. Ed è proprio all’antica tradizione epica cavalleresca che lo spettacolo attinge a piene mani, reinterprentandola però in chiave moderna senza tuttavia perderne il fascino e la magia.
Anche questa volta nei panni di Pipino ritroviamo un sempre grandissimo Tuccio Musumeci che, per chi oltre lo Stretto non lo conoscesse, si conferma ancora una volta uno dei più grandi attori italiani viventi. Tempi comici perfetti, assoluta aderenza al personaggio -dovuta anche alle innumerevoli repliche fatte nei decenni-, incredibile presenza scenica: Musumeci cattura il pubblico anche solo con un’espressione del volto o con un minimo movimento della mano.
Al suo fianco, nei panni Belisenda e Filippo d’Ungheria, troviamo per la prima volta – e qui sta l’eccezionalità della messa in scena- Olivia Spigarelli e Riccardo Maria Tarci, che raccolgono il testimone da Anna Malvica e Pippo Pattavina, gli storici Sovrani d’Ungheria. Impresa ardua prendere il posto di quelli che per oltre 30 anni hanno fatto ridere e commuovere platee di mezzo mondo, ma la Spigarelli e Tarci sono riusciti benissimo a portarla a termine. Come spiega Musumeci il cambio generazionale è stato reso necessario dall’anagrafica stessa dei due personaggi, cosa che invece non vale per il personaggio di Pipino: “più vecchio è, meglio è”. Identico discorso per il Marante di Massimiliano Costantino che ha preso il posto dello storico Marante di Leonardo Marino.
Berta è Elena Ronsisvalle, giovane promessa del teatro musicale italiano. La sua Berta è dolce e ingenua al punto giusto, senza forzature e senza stonature. Ottima la resa vocale nel brano “Matruzza mia, padruzzu miu”.
Eccezionale, dal nostro punto di vista, la performance di Evelyn Famà nel ruolo di Falista. Un uso del corpo incredibile, un’espressività facciale assolutamente fuori dal comune. Sembrava davvero di essere davanti ad un burattino e non ad un essere umano in carne e ossa. Con un’ottima interpretazione anche al livello vocale, la Famà si è dimostrata un’artista assolutamente completa.
Completano ottimamente i ruoli del cast Giuseppe Balsamo (Belisario di Magonza), Dario Castro, Carlo Ferreri e Emiliano Longo (i tre consiglieri di Pipino).
Menzione speciale a Margherita Mignemi che ha regalato un comicissimo e credibilissimo Cacciatore Lamberto, dimostrando grande versatilità attoriale.
Nell’ensable troviamo Maria Carla Aldisio (che è anche la Lamentatrice), Amelia Martelli, Iridiana Petrone, Marina Puglisi, Gabriele Rametta, Claudia Sangani, Giovanni Strano e Giorgia Torrisi.
La musica dal vivo è stata eseguita da Pippo Russo, Rosario Moschitta e Alessandro Pizzimento, mentre nel ruolo del cantastorie troviamo Roberto Fuzio: una scelta perfetta!
Le regia, quasi filologica, è a firma di Giuseppe Romani, le scene e i costumi sono di Francesco Geracà, mentre le coreografie sono di Silvana Lo Giudice.
Se dobbiamo per forza trovare un difetto a questo spettacolo, l’unica cosa che ci viene in mente, è che ci sarebbe piaciuto un lavoro più approfondito sui movimenti da burattini. Se tutti avessero raggiungo il livello della Famà lo spettacolo sarebbe stato a dir poco strepitoso. Probabilmente il nuovo cast non ha avuto abbastanza tempo per assimilare una linea registica che forse è stata data un po’ per scontata. Ma sono peccati veniali che perdoniamo di buon grado.
“Pipino il breve” rimane quello che è: un capolavoro imperdibile del teatro musicale italiano.
La lingua siciliana dei testi non può e non deve essere un ostacolo alla sua distribuzione nel nostro paese, come non lo sono il tedesco per l’opera lirica o l’inglese per il musical.
Per concludere non possiamo tacere che mentre scriviamo questa lunga recensione, sono state aggiunte altre due recite straordinarie alla già lunga programmazione di Pipino al Teatro Brancati di Catania sempre in sold out. Non ci resta quindi che gridare a gran voce: “Viva Carlu Magnu, Viva Re Pipinu”.
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Questa la nostra intervista realizzata per VIDEO TOP: