Interpreti d’eccellenza al Salone Margherita di Roma
di Ilaria faraoni – foto di Alex Bresciani
Dopo un’anteprima di qualche anno fa al Teatro Argentina è tornato, in veste completamente rinnovata, presentato da Musica in scena, lo spettacolo sul più celebre pittore di Urbino e sulla sua amata modella: Raffaello e la Leggenda della Fornarina.
Il debutto è avvenuto il primo maggio scorso al Salone Margherita di Roma: la location, in pieno centro storico, ad un passo da Piazza di Spagna, non è casuale, visto che ci si vuole rivolgere non solo al pubblico della Capitale ma anche, dati i protagonisti e l’ambientazione della storia (Roma, in particolare la Trastevere del Cinquecento e dell’Ottocento) ad un pubblico di turisti che magari, proprio dopo le visite a musei, Chiese e palazzi, vogliano svagarsi o proseguire un immaginario percorso di conoscenza dell’artista che nella Città Eterna ha lasciato segni importantissimi della sua Arte. Proprio la tela “La Fornarina” (di attribuzione peraltro complessa) si trova a Roma, presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica a Palazzo Barberini. In previsione di turisti stranieri, perciò, lo spettacolo si avvale dell’uso di sopratitoli che spiegano le situazioni, senza l’invasività di una traduzione letterale per ogni momento.
Il regista e coreografo Marcello Sindici si affida, senza cedere a nomi di facile richiamo popolare, ad un cast di numeri uno del teatro musicale italiano (con alcune incursioni di diversa provenienza); come già scritto in altre occasioni, evviva le scelte che puntano esclusivamente sulla forza del talento: Brunella Platania (La Fornarina), Enrico D’Amore (Raffaello), Mino Caprio (Shoping), Simone Sibillano (Agostino e Tommaso Chigi), Valentina Gullace (Lucrezia), Lorenzo Tognocchi (Mario) sono i protagonisti dell’intreccio principale, quelli intorno ai quali gira tutta la storia; e ancora ci sono Andrea Rizzoli (Giacinto Luzi) e Daniele Derogatis (il Chiodo). Nel ruolo di Imperia, in partecipazione straordinaria troviamo Luciana Turina.
La storia è a metà tra la realtà e l’immaginazione. Spesso ci si rifà alle famose Vite di Giorgio Vasari (prima edizione 1550, seconda edizione integrata 1568), ma la parte più emozionale risiede proprio in quello che è avvolto nel mistero o che lascia il posto all’invenzione.
Un giornalista moderno, Shoping, scrittore fallito, amante dell’alcol, ha deciso di scrivere una storia sensazionale, scandalosa, ma al tempo stesso vuole raccontare la verità: “Storia e leggenda, realtà e fantasia popolare si intrecciano in un groviglio inestricabile”, spiega.
Quella di cui si sta occupando è la misteriosa morte di Raffaello, avvenuta a 37 anni, in casa della sua modella e amante, la Fornarina, la notte di Venerdì Santo del 1520. La donna sarà sospettata di omicidio e si rifugerà presso il convento di Santa Apollonia. A questa linea temporale se ne intreccia una seconda, quella del 1870. Stessi luoghi, stessa casa, ma i protagonisti sono Lucrezia Luzi (una discendente della Fornarina) e Mario (un pittore spiantato). Tra i due, come nel passato, un Chigi: se prima si trattava del ricco banchiere e mecenate Agostino, ora c’è il dongiovanni Tommaso. Mario e Lucrezia sono una sorta di reincarnazione dei primi amanti, una seconda chance data a Margherita Luzi (o Luti) – questo il vero nome della Fornarina – per riscattarsi.
In un suggestivo processo subito nell’aldilà e presieduto dal suo ex amante Agostino Chigi, infatti, la Fornarina è condannata a vagare “randagia finché non giunga il giorno del riscatto”; solo un atto di sincero amore compiuto da una donna della sua casata la libererà e le farà capire il significato del vero amore, senza che ciò possa comunque alleviare il suo dolore. Lucrezia, gli spettatori lo scopriranno presto, è la predestinata, colei che scioglierà la prigionia dell’anima di Margherita.
Dunque lo spettacolo è costruito sul continuo intreccio tra il lavoro febbrile del giornalista, sempre più appassionato alla storia che prende corpo nella sua mente, fatta di fantasie e ricerche, ed il contatto, anche fisico, con i personaggi così come gli si presentano uscendo dalla sua penna… Ma sono solo sue fantasie o c’è dell’altro? Giancarlo Acquisti, l’autore delle musiche e del libretto (coautore delle liriche insieme ad Alessandro Acquisti), sembra voler lasciare la risposta agli spettatori.
La regia e le coreografie di Sindici valorizzano le potenzialità della storia creando suggestivi quadri in cui le epoche corrono parallele oppure si intrecciano, si toccano. La Fornarina entra più volte nello spazio scenico di Shoping, un angolo adibito a studio in proscenio, sul lato sinistro rispetto al pubblico. A sua volta il giornalista entra nello spazio dei personaggi che descrive.
Diverse sono le scene divise esclusivamente dall’immaginazione: epoche diverse che si succedono o si alternano come in un montaggio cinematografico sapientemente orchestrato dalla regia. L’assenza di una divisione fisica è necessaria e funzionale all’idea di continuità: bisogna crederci. Bravissimo Sindici, perché riesce a rendere tutto credibile. Anche piccoli particolari, come le margherite tenute in mano da Mario e dal balletto, nella canzone dedicata a Lucrezia, servono a richiamare la vicinanza tra le due donne (il riferimento è al nome della Fornarina, Margherita, appunto).
Lo spettacolo vive di atmosfere sospese, a tratti inquietanti – popolate dalle anime dell’aldilà – a tratti oniriche, a tratti traboccanti di vitalità popolare grazie anche alle sempre ben contestualizzate e coinvolgenti coreografie di Sindici.
Contributo fondamentale poi l’efficace disegno luci che evoca luoghi, giudizi sui personaggi, stati d’animo, situazioni. Da ricordare, a questo proposito, anche la scena della rissa: sprazzi di luce bianca che potenziano l’effetto rallenty impresso fisicamente dal cast. Come non citare poi il quadro in cui Margherita e Lucrezia (con Raffaello e Mario) si trovano ognuna nel proprio spazio fino a quando le due donne, separate dai 3 secoli che intercorrono tra loro, si attirano, si cercano, perché vivono l’una nell’altra; Lucrezia canta “amo quel qualcuno che c’è in me” riferendosi alla Fornarina, poi le due si scambiano, mentre Mario e Raffaello continuano a dipingerne i ritratti, inconsapevoli della sostituzione.Un momento vincente anche a livello musicale, con un brano a quattro voci particolarmente toccante.
Tutte le musiche del resto, forti anche di questi numerosi pezzi a più voci, catturano al primo ascolto la sensibilità degli spettatori, come il brano di punta, “Amore che”, cantato da Raffaello prima e da Margherita poi, con una fantastica reprise durante la quale scroscia l’applauso a scena aperta per lei, Brunella Platania. E da lei non si può non partire parlando degli artisti di questo spettacolo. Una presenza scenica che non si può guadagnare, ci si nasce e lei ce l’ha. Grande padrona del palco, una vera leonessa dalle mille sfumature espressive, con una forza vocale al servizio dei sentimenti che esprime, la Platania ammalia tutti, fa scintille, commuove nei panni di Fornarina così sola, tormentata, in balia di un giudizio probabilmente ingiusto che segna il suo destino ultraterreno, ma è prepotentemente convincente anche quando deve esternare il lato più popolare e romanesco di Margherita.
Enrico D’Amore è un intenso Raffaello, accompagnato da una voce precisa, tenorile, calda, ma anche da una impostazione fisica molto in linea col personaggio da interpretare. Un pittore considerato dai contemporanei quasi un principe, ma qui triste, bruciato dal rimorso di non aver vissuto a pieno, strappato troppo presto alla vita; un uomo che si chiede se veramente lo abbia vissuto, il tempo dell’amore. D’Amore riesce a rendere vivo, distante nel tempo ma allo stesso modo presente, quel rimpianto ultraterreno.
Simone Sibillano è Agostino Chigi prima, ed il suo discendente ottocentesco Tommaso poi. Due interpretazioni diversissime per due personaggi all’opposto. Il primo duro, quasi diabolico nella sua intransigente condanna, il secondo uno sbruffone romano, pieno di donne che gli muoiono dietro. E proprio questi due personaggi così differenti, confermano e sottolineano ancora una volta la versatilità di questo artista: Sibillano comunica anche con una semplicissima entrata in scena, sa giocare con l’ironia ed una vasta gamma di espressioni in un brano molto divertente insieme al cast femminile, stupisce con il romanesco, fa commuovere nel pezzo dove rivela il suo vero animo ed il suo amore per Lucrezia, che non lo ricambia… Tra l’altro, la canzone sembra essere un omaggio, nella concezione del testo, a “Roma nun fa’ la stupida stasera”.
Valentina Gullace, dopo due anni come Inga in Frankenstein Junior, torna nuovamente in un ruolo più spirituale, quello di Lucrezia, e colpisce nuovamente il bersaglio, forte anche delle doti di ballerina. Voce angelica, la sua è una interpretazione che restituisce grazia ed una piacevole leggerezza. Da menzionare uno dei sui pezzi clou, quello della prigionia, preceduto da una parte a 4 voci di grande impatto, con le due coppie in scena; visivamente (sia a livello scenografico, sia per la dislocazione degli interpreti), il quadro musicale sembra quasi richiamare la raffaellesca “Liberazione di Pietro dal carcere”, nella stanza di Eliodoro (Musei Vaticani).
Lorenzo Tognocchi conferma le sue qualità vocali; il suo modo di interpretare Mario sembra partire tutto da una grande gioia interiore, esternata dallo sguardo.
Mino Caprio è un grande mattatore: su lui si regge tutta la struttura narrativa. L’attore, forte della sua consolidata carriera, tiene il pubblico con il fiato sospeso, guida nel mondo irreale, incalza, canta, sogna, non molla. Caprio usa vari registri, anche quello da giornalista TG, per raggiungere la comunicazione voluta.
Luciana Turina, in partecipazione straordinaria, molto apprezzata dal pubblico, regala il sapore più schiettamente popolare nelle scene di gruppo, alla locanda, che culminano con una esibizione dove è attorniata da piume di struzzo rese vorticose dal movimento del cast danzante.
In conclusione Raffaello e la leggenda della Fornarina, è uno spettacolo che punta alle emozioni con interpreti di prim’ordine, che così, tutti insieme in una volta sola, è un peccato lasciarsi scappare; ma a parte questi aspetti, un’altra cosa è importante: se anche un solo spettatore, sulla scia delle emozioni provate o per semplice curiosità, tornando a casa aprirà un libro d’arte, consulterà un sito, entrerà in un museo o in un luogo d’Arte, per approfondire il discorso su Raffaello e sulla Fornarina, in una società dove la Storia dell’Arte viene bistrattata e quasi eliminata perfino dalla scuole, in un momento storico durante il quale non si capisce che dalla cultura e dalla conoscenza e coscienza del bello partono anche l’educazione, il rispetto, la gentilezza e la formazione personale, allora questo musical avrà raggiunto anche un altro importantissimo obiettivo!
Forte, preciso ed energico il corpo di ballo: Serena Mastrosimone (assistente alle coreografie), Rosy Messina, Beatrice Zancanaro, Marco Angeletti (assistente alle coreografie), Francesco Consiglio, Danny Zazzini.
Ensemble: Arianna Milani, Giorgia Bellomo, Giada Lombardo, Lorenzo Pelle, Massimiliano Lombardi, Nico Di Crescenzo.
Dottori e Guardie: Pierluigi Sorteni, Danilo Turnaturi, Matteo Canesin. Eleganti i costumi di Simonetta Gregori. Per ora ridotta (rispetto all’anteprima), ma di classe la scenografia di Gianluca Amodio. Imponenti le orchestrazioni (registrate) di Giancarlo Acquisti, Roberto Tucciarelli, Giovanni Maria Lori. Assistente alla regia: Gino Matrunola.
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