CON RAGTIME LA BSMT CONFERMA IL SUO INDISCUTIBILE BAGAGLIO DI TALENTO
di Davide Garattini
It’s… Ragtime!
Si è concluso con i fuochi d’artificio A Musical Summer Festival della BSMT. Come nelle migliori tradizioni, i festeggiamenti sono stati al Teatro Comunale di Bologna, dove è stato messo in scena Ragtime, il capolavoro di Stephen Flaherty. Inutile dire che è stata una produzione “importante” e che, come per il Les Miserables di due anni fa, ci è impossibile definirla “saggio”: come è giusto che sia tratteremo quindi lo spettacolo come uno show “professionistico”. A supporto della professionalità del lavoro ricordiamo, inoltre, che accanto agli attuali allievi della BSMT, sono saliti sul palco anche performer ormai avviati alla professione, ovviamente sempre ex allievi della prestigiosa accademia bolognese.
Ragtime: titolo praticamente sconosciuto in Italia, anche se di grande spessore. Si raccontano tematiche sociali importanti negli anni ’20, ma ancora oggi di forte attualità: i diritti sociali, il razzismo, gli emigranti ed il loro sfruttamento… Incredibile come a distanza di cento anni le cose non siano poi tanto cambiate.
Tre storie s’intrecciano tra loro: una famiglia americana bianca e benestante, ma con qualche “lato oscuro”; una famiglia afroamericana con grosse difficoltà iniziali e con una fame insaziabile di “accettazione”; una famiglia d’emigranti con un unico obbiettivo: il sogno americano! Un triangolo perfettamente raccontato in modo chiaro e lineare già nell’apertura dello spettacolo. Un numero, il primo, che fin da subito mostra molto di quanto poi si vedrà in scena: movimenti precisi e puntuali e cori emozionanti; il tutto perfettamente inserito in un grande ingranaggio accuratamente oliato.
Siamo in un’America ancora tutta da costruire, dove sono ancora tante le battaglie e le rivoluzioni che si devono combattere; un’America dove i ceti sociali sono compartimenti stagni difficili da forzare. E tutto questo viene raccontato al ritmo di ragtime, con le sue note magiche che evocano atmosfere calde ed affascinanti.
Certo, alcuni passaggi sono un po’ frettolosi e possono sembrare arbitrari, ma nell’insieme il lavoro di Terrence McNally scorre abbastanza bene. Se si analizzano i singoli personaggi e la loro evoluzione in scena alcuni risultano, probabilmente, troppo favolistici e romanzati. I personaggi storici, per esempio, sembrano un po’ “appiccicati” nella storia come decorazioni, così come i protagonisti non sono scritti con vera razionalità drammaturgica. Solo la famiglia “bianca” sembra essere reale e coerente.
Shawna Farrell e Giuseppe Lombardo sono il braccio e la mente di questi meravigliosi progetti: loro sognano e… realizzano! Impressionante come ogni volta sul palco dimostrino con i fatti la serietà e la voglia di “far bene”. Sembra che una volta deciso un titolo, qualunque esso sia, non esistano ostacoli che possano impedire loro di raggiungere l’obbiettivo. O meglio: gli ostacoli ci sono (e di fatiche anche di più) eppure sembra che nessuno possa fermare questa incredibile coppia. Giusto per fare un esempio banale, ma molto significativo: per questo titolo ci voleva una Ford Model T, un’automobile di cento anni fa! Ebbene, sul palco c’era! Avrebbero potuto usare delle proiezioni o altri espedienti teatrali, ma per questa invincibile coppia si vede che essi non bastavano: volevano una macchina vera in scena!
Loro fido compagno di avventura e di strada è sicuramente Gianni Marras, che ha firmato la regia di Ragtime: un lavoro molto pulito e attento, premuroso verso il pubblico. Marras è stato molto attento, infatti, a far arrivare in platea le informazioni necessarie per capire bene la storia e, soprattutto, per farne assaporare l’atmosfera. Bravo a mantenere sempre il ritmo delle scene anche se di fronte ad un lavoro molto lungo. Marras ha sfruttato al massimo i pochi mezzi tecnici a disposizione valorizzando il più possibile la sua reale ricchezza: il cast. Ai performer ha chiesto un grosso impegno e molta incisività: i protagonisti non ne hanno sbagliata una! Merito anche della sua ottima guida.
Il Maestro Stefano Squarzina ha diretto l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, poco abituata a questo tipo di musica, che è sembrata eppure divertirsi, grazie anche ad una conduzione rispettosa ed equilibrata, dove il lavoro delicato degli archi si è amalgamato molto bene con la grinta degli ottoni. Interessante anche il continuo cambio di generi: dal ragtime al balcanico senza problemi, dimostrando notevole duttilità.
Elemento imprescindibile in uno spettacolo come questo sono le coreografie di Gillian Bruce. Scelta perfetta e giusta; bravissima ed intelligente a creare con pochi gesti momenti di forte impatto per il pubblico. Qui si vede l’esperienza di una professionista che saprebbe far ballare anche un sacco di patate. Sapiente l’uso di alcuni oggetti, come sgabelli o fazzoletti bianchi, per aiutare gli interpreti. Alcuni momenti sono trascinanti con quella energia che da anni abbiamo imparato ad apprezzare di questa professionista ormai importantissima nel nostro paese.
Compito non facile per la scenografa Giada Abiendi, che ha dovuto ricreare diversi ambienti, dei più disparati, e soprattutto con riferimenti ad una precisa epoca storica. Tutto questo rispettando i cambi istantanei. Reputiamo ottima la scelta delle proiezioni, sicuramente la più economica ed efficace, ma comunque fatta sempre con un certo gusto. Per esempio è risultata molto corretta la scelta delle immagini, che ben si sono adattate ai pochissimi elementi scenici: una semplice struttura “metallica” riutilizzata più volte… eppure mai fuori luogo.
Ai costumi l’arduo compito di colmare le lacune che gli altri mezzi non hanno potuto soddisfare per problemi di budget. Certo il Teatro Comunale di Bologna ha un notevole repertorio, ma anche saper scegliere può essere difficile e Massimo Carlotto lo ha fatto con raffinatezza ed un’ottima consapevolezza storica. Ha scelto chiaramente basandosi, oltre che sul periodo storico, anche su una tavolozza cromatica garbata che va dal bianco fino ai grigi ed ai marroni, per un numero davvero considerevole di costumi. Abbiamo sicuramente un lavoro portato a termine con qualità e senza lesinare sulla quantità.
Passando a chi poi è andato effettivamente sul palco, Timothy Martin è Coalhouse Walker Jr. ed è anche una bellissima sorpresa. Sicuramente è un ruolo che sente molto, ma è con grande professionalità che lo ha portato in scena: un mezzo vocale decisamente importante, dotato di un timbro ambrato di forte fascino, ma con una facilità estrema nella zona acuta; sicurissimo in scena in ogni momento, è un piacere ascoltarlo e convince la platea in ogni momento.
Simona Distefano è Madre e con il suo magnetismo ogni volta che entra in scena (lo si sente nell’aria), elettrizza il pubblico, ma con un personaggio molto preciso e contenuto. E’ facile prendere gli applausi dal pubblico quando si è bella o quando si spara un acuto finale, ma lei, nonostante abbia entrambe le possibilità, riesce a catturare il pubblico con il suo enorme carisma. Sembra che abbia una presenza scenica talmente forte e determinata che ogni spettatore resta ipnotizzato. Ottima recitazione e canto da brividi. Non male per una che nasce come ballerina!
Marco Romano è Tateh, ruolo estremamente poliedrico e per nulla facile (quasi schizofrenico tra primo e secondo atto), divertente ed umano, come un piccolo Chaplin. Da una parte drammatico e malinconico, dall’altra sognatore ed esuberante. Dimostra un’ottima completezza. Come sempre ottima anche la parte vocale, ma è nella recitazione che stupisce di più, assieme ad un certo dinamismo nei movimenti.
Ritorna in Italia Daniela Pobega, che lascia per una piccola parentesi il mondo del Re Leone, per rimettersi in gioco su un titolo molto differente. Ma quando una è brava e sa fare il proprio mestiere può portare in scena qualsiasi titolo! Il ruolo di Sarah, infatti, entra nei cuori del pubblico con piccoli passi e scene toccati; un personaggio da sentire con il cuore per farlo arrivare nei cuori del pubblico… e arriva tutto!
Ottimo il lavoro dell’intero cast, dalle masse fino ai comprimari, tutti molto volenterosi e concentrati nel non disperdere neanche una parola del lavoro. Citiamo in particolare: un intemperante Fratello Minore – Renato Crudo, un affascinante Booker T. Washington – Russell Russell, un giudizioso Padre – Alessandro Arcodia, un’esuberante Evelyn Nesbitt – Giulia Fabbri, una caparbia Emma Goldman – Elena Nieri, uno spontaneo Bambino – Tommaso Parazzoli, un convinto Harry Houdini – Simone Pavesio, un’attenta Bambina – Zoe Nochi, un iracondo Willie Conklin – Brian Boccuni ed un flemmatico Henry Ford – Nicola Fesani.
Ennesimo successo della BSMT al Teatro Comunale di Bologna e ci domandiamo… quanti ne dovranno arrivare prima che le istituzioni capiscano la ricchezza che hanno in casa e la valorizzino com’è giusto che sia!?