Sanremo il musical: quando una buona idea non basta.
di Paolo D. M. Vitale
L’idea avuta da Isabella Biffi di un jukebox musical con tutti i più grandi successi della storia di Sanremo è, ammettiamolo, molto stuzzicante e ci stupiamo anzi di come una simile operazione non sia stata tentata prima.
Ha debuttato così, tra curiosità e attesa, “Sanremo il musical”.
La trama ideata e scritta dalla stessa Biffi – che firma anche la regia dello spettacolo sotto lo pseudonimo di Isabeau – con Salvatore De Pasquale, è presto detta: 8 giovani aspiranti cantanti chiamati a Sanremo dall’organizzazione del Festival, vengono “abbandonati” per qualche giorno dentro al Teatro Ariston in attesa di un misterioso provino per un musical. Non sapendo di essere costantemente osservati, come in una sorta di Grande Fratello, i giovani iniziano a studiare la storia del Festival ripercorrendone le tappe più importanti. Ovviamente cominciano presto a litigare, a sfidarsi nel canto, a innamorarsi, a fare amicizia… Ma dall’alto dei cieli due angeli/organizzatori seguono tutte le vicende e infine, manifestandosi loro sotto forma umana, dichiarano la “vittoria” di tutti quanti. Fine.
Capite bene che con una trama del genere non si poteva andare lontano. Ma procediamo con ordine.
Problema numero uno: “Sanremo il musical” non è un musical. Certo, le buone intenzioni c’erano tutte e il modello “Mamma Mia” sembrava di facile imitazione ma, ahinoi, il risultato è stato molto diverso. L’integrazione delle canzoni al livello drammaturgico è stata un disastro e la banalità senza pari della scrittura propone un alternarsi di dialoghi e canzoni del tipo “Lo sapete che la prima edizione del Festival fu vinta da Nilla Pizzi con la canzone “Grazie dei fiori”?” e parte la canzone “Grazie dei fiori”. Oppure ancora “Lui è troppo grande per te. Ancora sei piccola, non hai l’età!” e parte, indovinate un po’, “Non ho l’età” di Gigliola Cinguetti. Per non parlare delle battute del tipo “l’amore è come il vitello tonnato”. Più che di “testo” bisognerebbe parlare di “pre-testo”, cioè di una scusa per fare cantare in ordine più o meno cronologico i brani più famosi del Festival di Sanremo. Senza contare poi che nel secondo atto la storia viene praticamente messa da parte lasciando spazio a lunghi e ben riusciti medley. Ma il “musical”, inteso come specifico genere teatrale, è ben altra cosa!
Problema numero due: trascurando le enormi lacune del “pre-testo”, la regia non ha minimamente donato spessore ai personaggi che risultano così stereotipati e piatti. Abbiamo la ragazza tonta, quella diva, quella dura-fuori-ma-tenera-dentro e poi ancora il ragazzo figlio-di-papà, quello della borgata romana, lo sfigato… Tutto insomma di una banalità sconcertante.
Come se non bastasse vengono poi inseriti momenti trash di rara bruttezza. Uno su tutti: l’ingresso di tre improbabili (e inspiegabili!) “angiolette” con tanto di cappello argentato a forma di imbuto e lucina on/off sulla fronte che cantano in playback! Una sola domanda: perché?
Veniamo adesso ai punti positivi e in primis all’ottima vocalità del cast, perché dobbiamo essere sinceri: nonostante il copione sia da dimenticare e la recitazione sia degna di un recita scolastica “Sanremo il musical” si lascia guardare o meglio si lascia “ascoltare”.
Il cast, ottimamente composto da Giovanni De Filippi, Marco Gabrielli, Paolo Gatti, Alice Grasso, Gustavo La Volpe, Roberto Lai, Rosy Messina (cui va la nostra menzione speciale), Michelangelo Nari, Eleonora Pierie e Fabiola Poretti, è la vera colonna portante dello spettacolo, anche se ovviamente i meriti non sono uniformemente distribuiti. La recitazione non è in nessun caso al livello del canto, ma con testi di quel genere non possiamo pretendere miracoli. Il gruppo risulta in definitiva ben affiatato e capace di sostenere bene tutti i numeri dello show colmando, almeno in parte, le macro-lacune di fondo.
Altro punto degno di lode sono le coreografie di Giordano Orchi, mai banali e sempre energetiche. Orchi, supportato da un buon corpo di ballo, ha cercato di spingere un po’ più su l’asticella della drammaturgia fornendo alla regia degli interessanti spunti, spunti che tuttavia non sembrano esser stati colti! Anche qui, come per le canzoni, il risultato è stato quello di un susseguirsi di coreografie, senza un vero filo conduttore, con un’impostazione quasi televisiva.
Osvaldo Pizzolli, Gino Zandonà e Silvio Melloni firmano invece le musiche e gli arrangiamenti. Se musicalmente il prodotto è accattivante e coinvolgente, “l’operazione nostalgia” sembra venire meno. Infatti i brani vengono tutti riarrangiati in chiave così contemporanea che non c’è quasi più traccia del sound originale. Ne risulta quindi una generale omologazione che contrasta con l’obiettivo di partenza comunicato dagli autori: ripercorrere “anche la storia e le evoluzioni del costume italiano negli ultimi settant’anni”. Questa evoluzione, musicalmente parlando, non si è sentita. Qualche perplessità anche sulle tonalità dei brani, dal momento che è sembrato che i cantanti passassero da un pezzo all’altro senza reali adattamenti alla propria voce.
Efficace la scenografia di Maria Carlo Garrambone che, con le due scalinate mobili e i grandi schermi, ammicca con intelligenza alle celebri scenografie del Festival sanremese. Meno convincenti i video di Carla Tramacere che spesso sono scaduti nel kitsch (l’elicottero, la sala barocca, il paradiso…), come anche i costumi di Claudia Frigatti, troppo eterogenei e slegati. Pù da concerto che da teatro le luci di Giancarlo Toscani, ottimo invece il sound design di Silvio Melloni.
In definitiva Sanremo il musical è uno spettacolo che potrebbe avere una grande distribuzione e un grande successo di pubblico, ma a patto di eliminare quella cornice di testo insignificante e mal scritta e lasciando solo i numeri cantati. Al massimo si potrebbe pensare ad una voce narrante che accompagni lo spettatore nel viaggio musicale da Nilla Pizzi a Ermal Meta. Non sarebbe neanche in questo caso un musical, quanto piuttosto un grande concerto-tributo al Festival di Sanremo, ma sarebbe perlomeno uno spettacolo più onesto e senza cadute di stile.