La coppia Guidi-Ingrassia mette a segno un altro colpo.
No Way to Treat a Lady è un racconto di William Goldman del 1964 dal quale fu tratto, con alcuni cambiamenti, un film omonimo (1968) diretto da Jack Smight con Rod Steiger e George Segal (titolo italiano: Non si maltrattano così le signore).
Una ventina di anni dopo, il compositore Douglas J. Cohen pensò di trarne un adattamento per il teatro: fu così che il testo, conservando il medesimo titolo, divenne nel 1987 un musical-commedia noir con libretto, musica e liriche curati da Cohen. Lo spettacolo fu riportato in scena, come revival, nove anni dopo, nel 1996.
In Italia dobbiamo attendere il 2002 per vedere il primo adattamento del musical, diretto da Gianluca Guidi, con il titolo Serial Killer per signora che sebbene si discosti da quello originale dà modo di capire più facilmente l’argomento dello spettacolo: si potrebbe dire che il titolo italiano sia addirittura più calzante ed anche più accattivante, con il suo richiamo al Sarto per signora di Feydeau.
Chiariamo subito che, nonostante il tema principale noir ed i risvolti psicologici drammatici, il musical è costruito in modo leggero: principalmente si ride e si ride anche nei momenti più tragici. Si ride anche nel momento dell’assassinio, con le vittime strangolate; la chiave farsesca è sempre dietro l’angolo e arriva con la velocità di un battito di ciglia. Allo stesso modo non mancano, nel musical, momenti più seri e intensi.
Le musiche di Cohen sono coinvolgenti, di facile ascolto; ci si lascia subito prendere dai vari ritmi e melodie. Particolarmente piacevoli i duetti e i brani a quattro voci. Merito anche della direzione musicale del M° Marco Bosco che riprende quella del M° Riccardo Biseo.
Si nota e si apprezza inoltre l’attenzione a calibrare le voci nei momenti cantati, perché date le dimensioni ridotte del teatro, si deve stare attenti a non spingere troppo con la voce. Andrebbe tuttavia perfezionato ancora il volume della base musicale in relazione alle voci, perché in alcuni punti cruciali si è creato qualche piccolo problema e si sono perse alcune parole importanti, visto che i brani musicali in questo caso sono parti fondamentali della storia.
Della prima edizione italiana lo spettacolo mantiene, oltre alla regia di Guidi, l’adattamento di Gianni Fenzi, ripreso da Guidi, le liriche firmate da Giorgio Calabrese e la voce fuori campo di Aldo Ralli come speaker all’inizio dello spettacolo. Tre artisti scomparsi ai quali è dedicato il musical anche in locandina e che Guidi, durante i saluti al termine della prima per la stampa alla Sala Umberto di Roma, ha voluto ricordare ed applaudire.
Questa volta Guidi però non si è limitato a curare la regia, ma è sceso in campo anche come protagonista nei panni del serial killer del titolo, Cristopher Kit Gill, scegliendo come compagno di palcoscenico Giampiero Ingrassia che interpreta Morris Bromo, il detective che gli dà la caccia. E la coppia, come sempre, è vincente!
Kit è un attore fallito, al contrario di sua madre, una star da poco scomparsa, troppo impegnata dalla sua carriera e dai suoi fans per dedicare tempo e amore al figlio. Una donna vissuta con il mito della fama, che ha sempre fatto sentire Kit una nullità: «Un uomo importante non dovrebbe avere problemi a diventare importante». E ancora: «Non sei nessuno, non hai niente di me!».
Sull’altro fronte, anche Morris Bromo, soprannominato MoBromo, ha una madre “ingombrante”, che idolatra l’altro figlio – medico affermato e padre di famiglia – e non considera il poco ambizioso detective. Al contrario della madre di Kit, però, quella di Morris è fin troppo presente nella vita del figlio.
È interessante riflettere, dunque, sul peso della famiglia nella formazione di una persona e su come certi tipi di rapporto possano risolversi in modi differenti.
Sui piatti della bilancia c’è anche il rapporto con la carriera e la notorietà. Kit per colpa della madre è ossessionato dalla “fama”, non importa se per raggiungerla l’unico modo che ha è uccidere donne. L’importante è conquistare, secondo la sua mente malata, la stima postuma della mamma e l’agognata prima pagina del New York Times, la testata più importante, l’unica che continua però ad ignorarlo; del resto l’ossessione per la notorietà è parte della reale psicologia di molti serial killer. Al contrario di Kit, Morris subisce la notorietà, che gli causa non pochi guai, ma anche una bella svolta per la sua carriera – che ristagnava – ed una risalita nella considerazione di sua madre.
Assassino e detective, inseguitore ed inseguito instaurano così, su iniziativa di Kit, uno stretto rapporto, perché chi vuole essere cacciato ha bisogno di un cacciatore, ma anche il cacciatore, una volta che ha trovato una preda, non può farsela soffiare da altri. Per Gill c’è poi qualcosa di più: Morris diventa una sorta di amico, da sfidare ma anche con cui confidarsi, una persona da rispettare e, tutto sommato, da non toccare.
Del resto letteratura, fumetti e cinematografia non sono nuove al racconto del rapporto (visto nelle chiavi più diverse) tra malvivente e tutore della legge che deve acciuffarlo: pensiamo solo ad Arsène Lupin e all’ispettore Garimard o al detective Herlock Sholmes (chiaro riferimento ad Holmes) nei romanzi di Maurice Leblanc; al Lupin III (discendente del Lupin romanzesco) e all’ispettore Zenigata del manga di Monkey Punch; e sempre per restare in tema manga, citiamo anche Occhi di gatto di Tsukasa Hojo, con l’ispettore Toshio (Matthew) ignaro fidanzato di una delle tre sorelle che formano la banda di ladre cui dà la caccia. E come non citare, nel cinema, un caposaldo come Guardie e Ladri di Mario Monicelli e Steno con Totò e Aldo Fabrizi, o il recente Prova a prendermi di Spielberg, con Leonardo Di Caprio (tratto dal romanzo di Frank Abagnale Jr). E ancora con risvolti diversi si potrebbe pensare a Batman e Joker, Topolino e Gambadilegno e chi vuole aggiungere titoli e personaggi ne aggiunga.
In Serial Killer per signora, uno degli elementi vincenti, che fanno apprezzare da subito la regia, è proprio il modo in cui questo rapporto si concretizza sul palco, nella costruzione delle scene.
Il personaggio di Guidi entra ed esce con una velocità fluida, insinuandosi nella vita del detective ed entrando perciò anche nei suoi spazi scenici, anche quando in realtà dovrebbe trovarsi altrove. Gill è nello spazio reale e fuori dallo spazio reale, libero di muoversi senza limiti, tanto da poter interagire con Morris tirandolo con il filo della cornetta telefonica, seduto sulla scrivania del suo “amico”.
Gianluca Guidi è stato molto abile in questa costruzione scenica, con una regia che cattura immediatamente gli spettatori e li immette in un vortice visivo dove un ruolo importante per la riuscita dell’effetto finale ce l’ha anche la scenografia, firmata da Annamaria Morelli; il primo aggettivo che viene in mente per definirla è: dinamica. Subito dopo si nota anche che è di gusto, e riesce con pochi tocchi a creare le atmosfere. Elementi che escono e rientrano da una parete che si solleva e si richiude, porte girevoli, pannelli che illuminati nel modo giusto permettono di vedere azioni in semi trasparenza, un piano rialzato da cui dominare la scena. Tutto fa parte di un superiore movimento coreografico, cui partecipano anche le luci.
Lo spettacolo è tutto giocato sulla velocità, sul condensarsi in un unico ballo di avvenimenti che si snodano lungo un tempo in realtà molto più lungo, come gli appuntamenti tra Morris e Sarah, la donna di cui il detective si è innamorato svolgendo le indagini.
Un applauso anche al coreografo Stefano Bontempi, che ha curato tutti i movimenti scenici.
Alcune situazioni ed emozioni sono inoltre integrate o amplificate dalle videoproiezioni, soprattutto quelle con i volti giganti dei protagonisti, dietro la scenografia.
C’è poi da sottolineare che, se il ritmo è un grande merito della regia di Gianluca Guidi, lo è altrettanto degli artisti in scena, perché lo spettacolo scorre con apparente disinvoltura grazie a loro: ai già citati Guidi e Ingrassia e alle due interpreti femminili, Teresa Federico e Alice Mistroni.
La prima, che interpreta Sarah, ha un ruolo più poetico, è la ventata di normalità, di sentimento romantico che ci vuole all’interno di una trama del genere e Teresa Federico è veramente giusta per il ruolo, anche nei suoi guizzi più volitivi; Alice Mistroni è straordinaria in tutte le caratterizzazioni che propone, considerato anche il rapido passaggio dall’una all’altra durante le due ore di spettacolo. A lei tocca infatti interpretare non solo tutte le diversissime vittime di Gill, ma anche le due madri, colonne portanti della storia: quella dell’assassino e quella del detective.
E poi ci sono loro, Guidi e Ingrassia, rigorosamente in ordine alfabetico, le colonne che rendono tutto facile, che catturano con le loro interpretazioni, che al di là della comicità che regalano, non risparmiandosi nelle gag, comunicano con intensità anche le emozioni che scaturiscono nei momenti più drammatici o teneri. Le insicurezze di Morris nel rapporto con Sarah, o l’infantilità di un bambino mai veramente cresciuto di Gill quando parla con la madre morta, colgono nel segno senza stridere con il resto.
Lo spettacolo resterà in scena alla Sala Umberto di Roma fino al 5 febbraio, per poi proseguire il tour. Sul sito di Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro che produce lo spettacolo, tutte le date.