Sister Act al Brancaccio fino al 24 gennaio. Non vederlo è un vero PECCATO!
di Ilaria Faraoni
Lo aveva detto Saverio Marconi che il suo Sister Act sarebbe stato «Un musical divinamente divertente» (leggere QUI) e ha mantenuto la promessa.
Al Brancaccio di Roma la prima stampa/vip del musical, prodotto da Alessandro Longobardi (direttore artistico del teatro) per Viola Produzioni e dalla Compagnia della Rancia, è stata un trionfo, con applausi scroscianti, tempo battuto con le mani e grida entusiastiche. Il risultato non era scontato, data l’aspettativa molto alta che tanti avevano dopo la versione targata Stage Entertainment di qualche anno fa.
Con quella edizione il regista Marconi ha mantenuto due punti di contatto: la traduzione e le liriche italiane di Franco Travaglio e Felice Casciano nel ruolo del gangster Curtis.
Il musical originale, basato sull’omonimo film di Joseph Howard con Whoopi Goldberg, è scritto da Cheri e Bill Steinkellner (dialoghi aggiunti Douglas Carter Beane) con le liriche di Glenn Slater e vanta le musiche di Alan Menken: occorre subito precisare, per chi abbia visto solo la versione cinematografica, che non si ritroveranno in teatro gli stessi brani presenti nella pellicola, ma la garanzia di un nome come Menken dovrebbe mettere subito tranquilli. I quadri musicali sono travolgenti, i generi spaziano dal soul al funky, alla disco anni ’70 con tanto di falsetti alla Bee Gees, fino al gospel. Non mancano poi i brani più lirici, che aggiungono ad alcuni personaggi una nuova introspezione psicologica.
La narrazione, malgrado alcuni cambiamenti e l’inserimento di ruoli nuovi (TJ, il nipote di Curtis) o rivisitati (il commissario Eddie), rimane fedele alla storia che i più conoscono tramite il film: una cantante molto “appariscente” e sopra le righe, Deloris, si ritrova involontaria testimone di un omicidio ad opera di Curtis, suo amante nonché padrone del locale nel quale vorrebbe far decollare la sua carriera. Convinta a testimoniare al prossimo processo per incastrare il malavitoso ed i suoi scagnozzi, Deloris dovrà rifugiarsi, recalcitrante, in un convento di suore, dove dovrà assumere l’identità di Suor Maria Claretta, per la disperazione della rigida Madre Superiora. Quando Deloris si metterà alla testa dello scombinato coro, niente sarà più lo stesso.
La particolarità che ha fatto tanto parlare prima del debutto e anche dopo, inutile girarci intorno, è la presenza nel cast di Suor Cristina, la religiosa che ha spopolato a The Voice of Italy.
Non sono mancati pregiudizi, frecciate, polemiche. A prescindere dalla sua interpretazione (riuscitissima, tra l’altro) facciamoci una domanda: perché piacciono Don Camillo, Don Matteo, Suor Angela? Perché si ama Sister Act? Perché questi personaggi di religiosi rompono gli schemi, perché troviamo dei preti e delle suore vicini a noi, alla nostra portata, umani, simpatici, trascinatori, bonariamente scorretti e soprattutto… diversi. In Sister Act non ci sono forse suore che cantano e ballano, che finiscono sui giornali e in tv per avvicinare la gente a Dio, che “scandalizzano” per comunicare la propria fede in modo nuovo? E allora perché quando questo accade nella realtà e c’è una Suor Cristina che canta e balla, le si deve dare addosso a tutti i costi? Mistero.
Oltretutto Sorella Cristina, che ha ricevuto la sua chiamata proprio su un palco, si è dimostrata perfetta nel ruolo della timida e insicura Suor Maria Roberta, la novizia che ancora non ha ricevuto la sua chiamata e che prenderà coscienza di sé proprio grazie a Deloris. Chi meglio di lei, una suora vera, per spiegare la difficoltà di una scelta che implica tante rinunce, per trasmettere fede? Cristina Scuccia spicca, ha uno sguardo particolare che un po’ le deriva dal personaggio che interpreta, un po’ dal suo vissuto, diverso da quello di tutte le altre artiste sul palco. Nel primo tempo riscalda il motore per poi esplodere nel secondo, forse anche perché è il personaggio di Suor Maria Roberta che è scritto così, nel musical: viene fuori a pieno solo successivamente.
Saverio Marconi ha davvero radunato un cast di prima qualità che esalta la sua regia veloce e piena di ritmo: Belia Martin, la protagonista, scovata nella produzione spagnola del musical, non sbaglia un tempo; è una potenza irrefrenabile, non lascia un secondo al pubblico per annoiarsi o perdere l’attenzione, conquista e trascina veramente le altre, nella finzione e, sembra, anche nella realtà.
Per lei sono pronte una raffica di battute da mettere a segno, come i palloni alzati a puntino per una schiacciatrice: e la Martin fa sempre punto. Quando poi si tratta di comunicare il cambiamento interiore di Deloris, Belia è altrettanto convincente.
Pino Strabioli, al suo primo musical, diverte e conquista con il suo Monsignor O’Hara. In un genere per lui nuovo, si è subito ambientato senza timori: si butta e il pubblico lo ripaga. Vien giù il teatro ogni volta che Strabioli ironizza su “quelli dell’altra parrocchia” (per usare le parole del monsignore), facendo il verso agli stilisti “Rocco e Barocco” che vorrebbero trasformare il convento nel loro enorme atelier.
Francesca Taverni, la Madre Superiora, si sa: è una fuoriclasse. La sua performance è divina. I suoi sfoghi con il Signore, le sue frecciatine, i suoi sguardi, sono quanto di più vero e divertente si possa chiedere. Il tutto dosato e misurato al millimetro. Grande, grande, grande! Come non amarla?
Felice Casciano, Curtis, è perfetto nel ruolo e riesce sapientemente a mescolare vocalità e gestualità da cattivo spietato con quelle ironiche e accattivanti da macho alla John Travolta, con il ritmo nel sangue.
Una rivelazione Manuela Tasciotti nel ruolo di Suor Maria Patrizia. Performer attiva già da diversi anni, con Davide Nebbia impazza sul web con video ironici e graffianti sul mondo del musical e dello spettacolo ed è finita alla ribalta qualche tempo fa proprio per essere stata attaccata poco correttamente sul personale dopo uno dei suoi appunti ad un talent che qui non nomineremo.
La Suor Maria Patrizia del musical non ha lo stesso spazio per la costruzione del personaggio che ha il suo corrispettivo cinematografico, eppure la Tasciotti quello spazio se lo crea e se lo prende con l’interpretazione, con lo sguardo; uno sguardo che parla e che brilla, che sprizza gioia per tutta la durata dello spettacolo e che sembra davvero pieno di ammirazione per Suor Maria Claretta/Deloris: impossibile pensare che lo stia solo recitando.
Claudia Campolongo sforna un’altra delle sue caratterizzazioni vincenti: qui è l’irresistibile Suor Maria Lazzara, una potenza acchiappa risate.
Marco Trespioli, esordiente, inizia bene il suo percorso con il commissario Eddie.
E ancora spicca per simpatia il TJ di Renato Crudo. Concludono i ruoli Silvano Torrieri (Joey) e Vincenzo Leone (De Niro). Una menzione speciale poi alle interpreti di Suor Maria Teresa e Suor Maria Valeriana.
Nell’ensemble troviamo: Brian Boccuni, Giancarlo Capito, Giulia Dascoli, Jessica Francesca Lorusso, David Marzi, Marzia Molinelli, Valentina Naselli, Elena Nieri, Rosa Odierna, Marco Pasquini, Helen Tesfazghi (anche cover di Deloris). Si ricorda infine Veronica Appeddu che si alternerà a Suor Cristina nella parte di Suor Maria Roberta.
Ognuno degli artisti in scena meriterebbe un commento specifico: purtroppo da queste pagine non si può che fare un applauso fragoroso generale a tutti.
Alla riuscita del musical, in grande sintonia con la regia di Marconi, contribuiscono le coreografie di Rita Pivano, piene di energia, che giocano molto anche sui movimenti di braccia, senza tralasciare i richiami agli anni Settanta. Non si può non citare poi il numero di tip tap dei Vangeli, usati quasi come nacchere.
La parola d’ordine è velocità e questa coinvolge non solo regia e coreografie, ma anche i costumi di Carla Accoramboni, che in un paio di punti mutano all’improvviso lasciando gli spettatori a bocca aperta, senza che possano riuscire ad accorgersi del trucco, davanti a numeri di vero trasformismo a scena aperta.
La direzione musicale, che ha saputo ricreare le sonorità anni Settanta, è di Stefano Brondi. Si apprezza poi in modo particolare il lavoro sui cori delle “sorelle”.
Le scenografie di Gabriele Moreschi sono sempre eleganti anche nello scintillio; per quanto riguarda i cambi, sono molto più apprezzate le soluzioni adottate nel secondo atto, quando si evita l’uso troppo ripetuto del sipario/muro e si lasciano mutare le scene a vista.
Il disegno luci è di Valerio Tiberi, che ben ricrea l’atmosfera del convento; il disegno suono è di Emanuele Carclucci.
Lunga vita a Sister Act, non esistono ragioni per non andarlo a vedere e, magari, anche rivedere!
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