Spamalot: i cavalieri di Re Elio fanno centro e conquistano il Graal del successo
di Paolo D. M. Vitale
Il teatro nel teatro, la parodia nella parodia, il genio nel demenziale. Questo e molto altro è Monty Python’s Spamalot.
Claudio Insegno ha avuto una giusta, giustissima, intuizione: non servono produzioni milionarie per portare il pubblico a teatro. Bastano solo (si fa per dire!) tre ingredienti: un titolo funzionante e intelligente, un nome di richiamo in locandina e un cast di talento. Punto. Nient’altro. Chi possiede questi tre doni può considerarsi in stato di grazia e ha le carte in regola per portare in scena tutto, anche un titolo praticamente sconosciuto.
E così l’operazione Spamalot è risultata essere la più felice e riuscita degli ultimi anni (anni in cui noi, poveri amanti del musical, abbiamo veramente sofferto!).
Insegno alla regia e Vitali al portafogli hanno creato una macchina strapparisate che merita centinaia di aperture di sipario, urbi et orbi.
Ma cominciamo dall’inizio.
Cos’è Spamalot? Spamalot, per chi non lo sapesse, è una commedia musicale americana del 2004 basata sul film Monty Python e il Sacro Graal, vincitrice di ben 3 Tony Awards. Si tratta di una esilarante parodia della leggenda di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda. Chi sono invece i Monty Python? I Monty Python sono un gruppo comico inglese celebre per il suo stile ironico e demenziale.
Ed è qui che dobbiamo fare la prima riflessione: “demenziale” non significa “stupido” e “comico” non significa “ridicolo”. Sembrerà banale ricordarlo, ma il teatro cade spesso vittima di una certa sicumera intellettuale che disdegna tutto ciò che “fa ridere”.
Quindi chiariamolo subito: Spamalot è l’icona perfetta del non-sense e proprio per questo è straordinariamente intelligente! I membri dei Monty Python, del resto, stupidi non erano, tanto che quando fondarono il gruppo, nel lontano 1969, erano tutti studenti di Cambridge e Oxford.
Tralasciando la lunga discussione sul perché il teatro comico non è da considerarsi di serie B, possiamo paragonare la comicità dei Monty Python all’arte di Magritte: folle, spiazzante, grottesca, surreale, apparentemente senza senso… In una sola parola: geniale!
Spamalot è un concentrato di sketch demenziali, canzoni ironiche e situazioni ben oltre i limiti della logica, il tutto confezionato in perfetto stile Broadway da Eric Idle e John Du Prez.
Ma il titolo, come abbiamo detto, è solo il primo degli ingredienti necessari per il successo.
Il secondo è il nome di richiamo e mai nome di richiamo fu più azzeccato di questo: Elio.
Se consideriamo infatti che la coltissima comicità di Elio è, in un certo senso, anche figlia dell’ironia dei Monty Python, è facile capire come il suo Re Artù sia praticamente perfetto, nonostante non intenda scopiazzare quello cinematografico di Graham Chapman. Non un tempo comico sbagliato, non un movimento del corpo fuori luogo, non una nota stonata. Elio ci ha regalato un divertentissimo e originale Re Artù che sarà molto difficile da superare. Ancora una volta il merito va a Insegno per aver scelto il “nome di richiamo” in perfetta coerenza col ruolo. Perché non basta il nome famoso in locandina…!
Terzo ed ultimo ingrediente del successo è il cast perché, citando Pino Caruso, “un testo drammatico sopravvive a una cattiva recitazione, uno comico no”.
Insegno (con l’aiuto regia di Simone De Rose), ha creato un team creativo e artistico straordinario, il cui affiatamento è evidente sin dalle prime scene. Gli attori sul palco si divertono, forse perfino più del pubblico. E non c’è niente di più bello, per uno spettatore, di vedere un attore felice di fare l’attore.
Primo fra tutti, nel team creativo, va citato Rocco Tanica che ha firmato traduzione e adattamento. Ovviamente, per spettacoli come questo, il traduttore ha il difficile compito di riproporre i giochi linguistici necessari a provocare la risata, oltre che a contestualizzare determinate battute che altrimenti non risulterebbero comprensibili. Rocco Tanica è riuscito perfettamente in questa impresa e lo spirito Monty Python è stato mantenuto più vivo che mai anche nella nostra italica lingua.
Le coreografie ironiche di Valeriano Longoni (assistito da Luca Spadaro), i costumi fiabeschi di Lella Diaz, le scenografie da varietà di Giuliano Spinelli e le luci canzonatorie di Alin Teodor Pop hanno così tutti contribuito alla perfetta riuscita dello spettacolo. Certo, rispetto all’impianto di Broadway lo Spamalot italiano risulta essere scenicamente più scarno, ma in tempi di crisi economica è un peccato veniale che possiamo facilmente perdonare. Completa il cast artistico un nome che è ormai una certezza: il direttore musicale Angelo Racz, “l’orecchio del musical italiano”, che ha magistralmente diretto dal vivo l’orchestra di 10 elementi.
Al fianco di Elio un cast talmente riuscito che sarebbe ridicolo commentare singolarmente e quindi rivolgiamo a tutti un unico grande plauso: Pamela Lacerenza, Andrea Spina, Umberto Noto, Giuseppe Orsillo, Filippo Musenga, Thomas Santu, Luigi Fiorenti, Michela Delle Chiaie, Greta Disabato, Federica Laganà, Maria Carlotta Noè, Simone De Rose, Daniele Romano, Alfredo Simeone, Giovanni Zummo.
Vogliamo tuttavia assegnare alcune menzioni speciali: a Pamela Lacerenza, ironica e grintosa Dama del Lago che speriamo di rivedere molto spesso sulle scene; ad Andrea Spina che col suo Galahad ha dimostrato ancora una volta grandi capacità comiche e attoriali; a Luigi Fiorenti e Thomas Santu che hanno dimostrato una versatilità davvero strabiliante rivestendo ciascuno i panni di numerosi personaggi uno più diverso dell’altro.
Concludiamo questa recensione con la nostra solita domanda di rito: vale la pena di prendere un taxi per andare a vedere Spamalot? Un taxi certamente si, ma anche due, tre o quatto… per tornare a vederlo e poi a rivederlo e poi a vederlo ancora!