Ma quanto sono bravi gli Oblivion? Andate a teatro per verificarlo
di Ilaria Faraoni – foto Angelo Radaelli
Amatissimi sul web, che ha fatto la loro fortuna, e successivamente anche in teatro, agli Oblivion – nati nel 2003 ed esplosi nel 2009 grazie alla loro parodia musicale I Promessi Sposi in 10 minuti – mancava ancora una tappa importante, una sorta di riconoscimento che provenisse dal Tempio della commedia musicale italiana, il Sistina, che finalmente ha aperto loro le porte (rimarranno nella capitale fino a domenica 15 maggio). Chissà se questo basterà ad esaudire la loro “petite/petitto preghiera” per essere presi in considerazione agli Oscar italiani del musical (organizzati da Niccolò Petitto, appunto) come detto con l’ironia che li contraddistingue al nostro Paolo Vitale davanti alla videocamera di Central Palc (il video QUI).
Intanto noi inseriamo di diritto su rivista Musical! il loro The Human Jukebox tra gli spettacoli da vedere: si tratta di un atto unico senza orchestra, balletto o scenografia (salvo i cubi ed i parallelepipedi portaoggetti ispirati a Mondrian) che si regge unicamente sul talento, l’acume e la straordinaria vocalità dei cinque componenti: Graziana Borciani, Davide Calabrese, Lorenzo Scuda, Fabio Vagnarelli e Clara Maselli in temporanea sostituzione di Francesca Folloni, al momento in maternità.
A suon di musica, con un repertorio vario che però non vuole comprendere Gigi D’Alessio (si sono allegramente e scherzosamente rifiutati di cantarlo, alla prima romana), i cinque artisti non risparmiano nessun cantante con le loro battute parecchio taglienti e le loro parodie, che spesso portano a riparolare a loro modo i brani più famosi o amati dagli spettatori.
Il pubblico ad inizio spettacolo scrive su alcuni bigliettini i nomi dei cantanti i cui brani vorrebbe divenissero protagonisti della serata: gli Oblivion, di tanto in tanto, estraggono i foglietti, con uno spettatore che, preso di mira, li verifica.
Ma niente in realtà è lasciato all’improvvisazione: i pezzi sono tutti collaudatissimi e precisi al millesimo.
Mash-up, sketch, canzoni “saltate” come si trattasse di un vecchio vinile che, grazie agli sbalzi orchestrati ad hoc, cambia il senso delle frasi originali, pur mantenendone le parole: ogni quadro è una prova di bravura e di sincronismo da applaudire spellandosi le mani, al di là del contenuto del singolo numero. Insomma: la cosa che si gusta maggiormente e per la quale si esce soddisfatti dal teatro, andando a vedere gli Oblivion, è la bravura per il gusto della bravura. E non è cosa scontata, di questi tempi.
In The Human Jukebox siamo davanti a dei veri “Esercizi di stile” teatral-musicali: sì, si potrebbe scomodare proprio il celebre libro di Raymond Queneau. Lì le varianti erano fatte su una situazione data, raccontata in tutti i modi e gli stili possibili. Qui si gioca sul mondo musicale in tutti i modi e le declinazioni possibili.
Gli Oblivion usano infatti ogni sorta di divertissement, comprese lunghe frasi monovocaliche (qui però non c’entrano le canzoni), “la vocalist” e “la consonant” o il riuscitissimo mimo fatto su brani cantati dagli interpreti originali (alla prima romana è toccato a Non me lo so spiegare di Tiziano Ferro)… In quest’ultimo “esercizio” la genialità è quella di saper utilizzare le soluzioni più demenziali per descrivere alla lettera tutte le parole. E viene giù il teatro. Vedere per credere!
Non mancano poi nello show anche la satira di costume e/o televisiva o quella d’attualità: va citato a questo proposito l’efficacissimo sketch ambientato all’ufficio postale.
Che dire? Nonostante il nome, gli Oblivion non si possono dimenticare.
Consulenza registica: Giorgio Gallione – Musiche: Lorenzo Scuda – Testi: Davide Calabrese e Lorenzo Scuda