La Autieri e Conticini presentano la “loro” Roma nella trasposizione teatrale di un cult della storia del cinema.
di Ilaria Faraoni
Con la nuova regia di Luigi Russo, Serena Autieri è tornata nei panni della principessa Anna di Vacanze Romane, lo spettacolo musicale in scena al Sistina di Roma fino al 15 novembre e poi in tour, tratto dall’insuperabile film diretto da William Wyler con Gregory Peck e Audrey Hepburn, che per la sua interpretazione, la prima in un ruolo da protagonista, vinse l’Oscar ed il Golden Globe.
La prima edizione italiana risale al 2003 e si deve a Pietro Garinei, che prese il musical di Paul Blake con le canzoni tratte da alcuni successi di Cole Porter e ne fece qualcosa di nuovo, chiamando Armando Trovajoli per integrare i brani musicali con creazioni ad hoc per la storia. Jaja Fiastri si occupò di adattare il testo e di scrivere le nuove, suggestive, liriche. Sta di fatto che la versione italiana di Vacanze Romane conta solo 5 brani di Porter (adattati questa volta da Vincenzo Incenzo) e ben 18 di Trovajoli (considerando anche le riprese) tra i quali c’è per giunta il trascinante tema principale ed identificativo dello spettacolo: va da sé che la commedia possa considerarsi, a questo punto, molto “nostra”. Del resto, uno dei personaggi principali è Roma e si potrebbe dire che nel film, che è ancora perfetto e attuale a distanza di tanti anni, si avverta uno sguardo straniero, esterno, sulla Città Eterna.
In poche parole si capisce che si tratta di una pellicola americana, senza che con questo ci sia intenzione di muovere una critica. Nella versione teatrale di Blake il distacco non poteva che essere ancora più accentuato. Le musiche di Trovajoli, con quelle sonorità tipiche del Maestro che con Rugantino aveva inventato un filone romano popolare (e ci sono qui molte reminescenze “rugantinesche”), hanno portato proprio questo: una visione di Roma dal suo interno. Se si pensa poi che il musical di Blake fu criticato da alcuni addetti ai lavori proprio per l’accostamento un po’ troppo giustapposto tra i brani di Porter (che erano nati per contesti differenti) e la trama, si comprende ancor di più il valore aggiunto dato dall’inserimento di canzoni scritte appositamente da Trovajoli con le liriche della Fiastri. Resta tuttavia, come fu notato anche per il musical originale, qualche quadro musicale che non porta avanti la storia ma che sembra più un inserto di canto e danza un po’ fine a se stesso, seppur molto piacevole.
La trama, come quasi tutti sapranno, narra le vicende della Principessa Anna che, in visita in Italia e oppressa da una vita di solitudine e doveri, scappa dall’ambasciata che la ospita per vivere la sua vacanza romana da persona qualunque. Destino vuole che si imbatta proprio nel giornalista (e nell’amico fotografo) che doveva essere presente alla sua conferenza stampa e che ha bisogno di uno scoop per dare una svolta alla sua carriera e per riparare ad una bugia detta al suo direttore. Un servizio sensazionale con una intervista carpita con l’inganno, corredata da foto poco consone ad una principessa, frutterebbe moltissimi soldi e i due complici fanno un ottimo lavoro… Ma l’amore e l’amicizia, la correttezza deontologica, il rispetto, almeno nei copioni (speriamo anche nella vita) possono vincere sul tornaconto economico e personale. Interessante perciò, oltre alla storia d’amore, il discorso su un certo tipo di giornalismo senza scrupoli.
Un piccolo suggerimento per gli spettatori che non avessero ancora visto la versione teatrale di Vacanze Romane: non aspettatevi di ritrovare i personaggi tali e quali come li ha proposti la pellicola. Pur con un copione che riprende molto fedelmente le situazioni ed i dialoghi originali, i caratteri dei protagonisti sono infatti molto differenti. Per godersi lo spettacolo, quindi, non bisogna entrare in teatro troppo legati ad una idea dettata dal ricordo cinematografico.
Serena Autieri è una Principessa Anna più moderna e meno regale: l’artista riconferma le ottime doti vocali e interpretative che il grande pubblico conosce e apprezza.
Paolo Conticini “spacca”: il suo reporter (non più lo statunitense Joe Bradley, ma il romano Gianni Velani) si carica della simpatia propria dell’attore e trascina subito gli spettatori a stare dalla sua parte. Il distaccato e volitivo Joe, lascia il posto a Gianni, con la sua arte romana dell’arrangiarsi, con i suoi pasticci, le debolezze e i sentimenti più vicini al popolo di cui si fa portavoce. Pur non essendo un cantante professionista, poi, Conticini porta a casa i brani musicali con grande efficacia e sicurezza: gli si perdona perciò anche qualche eventuale piccola imperfezione.
Fioretta Mari è impegnata in un cammeo: la contessa addetta a prendersi cura della principessa. Apparendo molto più forte nelle parti in prosa, la Mari gioca in queste ultime con le coloriture e le intonazioni della voce e con la mimica facciale da attrice di lunga esperienza ed insegnante qual è (attualmente è docente al prestigioso Lee Strasberg Institute di New York diretto da Anna Strasberg): riesce dunque a portare il pubblico dove vuole cambiando sfumature vocali ed infatti nei saluti finali viene acclamata.
Laura Di Mauro è un’altra artista che “spacca”, come si è già detto per Conticini. Se fosse in cinema si potrebbe dire che “buca lo schermo”, in teatro si può dire: “buca la quarta parete”. Ha una personalità artistica che cattura. Qui riprende il ruolo di Francesca, che già fu suo con la regia di Garinei. La sua interpretazione aggiunge verve e ritmo alla narrazione; quando c’è la Di Mauro in scena c’è una marcia in più. Bisogna poi riconoscere anche che la parte di Francesca, reinventata totalmente per la commedia, è scritta molto bene e contribuisce a dare quel sapore romano aggiuntivo alla storia.
E ancora c’è Fabrizio Giannini nel ruolo di Otello, lo spregiudicato (ma alla fine bonaccione e leale) fotografo amico di Gianni, nonché fidanzato di Francesca. Divertenti le gag che lo vedono protagonista; quello di Otello, di cui si enfatizza ancora una volta la romanità (anzi: la si inventa visto che nel film il suo corrispettivo si chiamava Irving Radovich) è un personaggio che suscita simpatia e Giannini lo rende molto bene.
Per finire c’è Gianluca Bessi nella parte del direttore de Il Messaggero, che dà inizialmente filo da torcere all’incauto Gianni.
Le scenografie sono firmate da un’eccellenza quale Gianni Quaranta, premio Oscar e non solo. Chi non conosce Fratello Sole e Sorella Luna o il Gesù di Nazareth di Zeffirelli? Oppure Camera con vista? Farinelli? Solo per citare qualche titolo… Il lavoro di Quaranta è di levatura internazionale e spazia dal cinema al teatro (molta opera lirica) anche in vesti di regista e costumista. In Vacanze Romane si avvale di Unità C1 come visual designer.
Di grande effetto è la famosissima scena del giro di Roma in vespa: come in un virtual tour, scorrono alle spalle dei protagonisti tutti i luoghi caratteristici della Capitale, a tutto campo, sulle note penetranti di “Roma mia” o “Ti presento Roma mia”… e scatta l’applauso.
Tutte le ambientazioni dello spettacolo però sono risolte con le video proiezioni (che andrebbero rese un po’ più nitide in alcuni punti) e pochissimi sono gli elementi scenografici reali: il più articolato è il monolocale di Gianni. Qualche ricostruzione in più, anche con pochi tratti, in alcuni momenti sarebbe stata più suggestiva e vera.
Gli affascinanti abiti di Serena Autieri sono della Maison Sarli, eleganti e, in alcuni casi, da sogno, mentre Paolo Conticini veste Sartoria Condotti. Gli altri costumi sono firmati da Silvia Frattolillo (come nella prima edizione) e sono tutti ben inquadrati nel clima della Roma anni Cinquanta. Gli abiti delle dame del ricevimento con cui si apre lo spettacolo, spiazzano per i colori molto accesi, moderni: lilla, viola, fucsia, verde smeraldo, arancio, giallo fluo… c’è poca “favola” ma forse è un effetto voluto, visto che si tratta di un ambiente dal quale la principessa Anna si sente oppressa.
Le luci, di cui si apprezza in modo particolare l’alternanza continua dell’occhio di bue sui due protagonisti nel brano Io con lei, sono firmate da Francesco Adinolfi.
Le coreografie di Bill Goodson puntano sull’energia del forte e preparatissimo ensemble: Gianluca Bessi, Stefano Martoriello, Luca Paradiso, Raffaele Cava, Felice Lungo, Francesco De Simone, Domenico Pisapia, Michele Moretti, Francesco Loschiavo, Gianluca Francese, Cristina Da Villanova, Laura Contardi, Beatrice Zancanaro, Valentina Tarsitano, Ginevra Campanella, Giusy Pepe, Carla Palumbo, Angelica Bosca, Francesca Cama, Giusy Chianese. Non ci sono invenzioni coreografiche particolarmente innovative, ma tutti i momenti ballati sono fortemente in linea con la grande tradizione di uno spettacolo sistinese: sono molto, molto piacevoli da vedere.
A livello registico, su alcune situazioni potenzialmente molto comiche si potrebbe spingere ancora di più sul pedale dell’acceleratore. Convince molto la scena finale, risolta con le proiezioni delle ombre dei due protagonisti, che sopperisce all’intenso scambio di sguardi del film che in teatro non si poteva certamente replicare, non disponendo di primi piani.
Il resto del cast tecnico/artistico: Sound Engineer Giordano Pastorini; Direttore musicale Maurizio Abeni. Una produzione Engage.