LA STORIA DEL MUSICAL DENTRO GYPSY
di Enrico Zuddas
Chi è stato a Londra in questi ultimi mesi speriamo non si sia perso l’ultimo revival di Gypsy, con una Imelda Staunton che riesce a superare le grandi Rose del passato – da Ethel Merman ad Angela Lansbury, da Bernadette Peters a Patti LuPone:
Per tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di essere fra gli spettatori del Savoy Theatre, la BBC ha fortunatamente ripreso lo spettacolo!
Come è noto, si tratta della storia vera di una donna, Rose, che vuole a tutti i costi imporre sulla scena le proprie figlie, June e Louise, la prima bionda ed estroversa, la seconda timida e poco talentuosa. Alla defezione di June, è l’altra ad essere portata alla ribalta dalla madre, con scarso successo, fino a quando non diventerà la Regina dello Spogliarello, con il nome di Gyspy Rose Lee, mettendo da parte l’invadente genitrice.
Il musical è rilevante sotto tanti aspetti. Intanto con esso termina l’apprendistato come liricista di Stephen Sondheim, che fu convinto dal suo maestro Oscar Hammerstein ad accettare l’offerta dello sceneggiatore Arthur Laurents (poi anche regista degli ultimi revival di Broadway) per due motivi: sfruttare l’occasione di scrivere per una stella del calibro di Ethel Merman e lavorare su un personaggio così complesso da essere ribattezzato l’Edipo del musical. Ed effettivamente il giovane Sondheim dà prova della sua mirabile arte di combinare rime, tra cui quella goes/egos/amigos in Together, wherever we go, che sorprese Cole Porter, il quale, dopo l’amputazione delle gambe, aveva espresso il desiderio di ascoltare le canzoni in anteprima (come racconta lo stesso Sondheim in Finishing the hat, raccolta delle sue liriche commentate, del 2010).
Ma quello che a noi qui più interessa è la ricostruzione della scena teatrale del primo Novecento, dominata dal genere del vaudeville. Rispetto alle armonie jazzate e dissonanti adottate da Leonard Bernstein nel precedente capolavoro di Sondheim, West Side Story, la partitura di Jule Styne è perfetta nel ricreare l’atmosfera di un’epoca e nel dare vita a un musical “vecchio stile”, di cui finisce per costituire l’ultimo e forse il migliore esempio.
L’azione comincia negli anni ’20, quando gli spettacoli erano caratterizzati dalla mescolanza di ogni forma di intrattenimento: a cantanti e ballerini si affiancavano contorsionisti, statue viventi, acrobati, uomini forzuti, nani, mangiafuoco, giocolieri, perfino animali (in particolare cani e scimmie, ma anche elefanti). Insomma, più circo che teatro.
L’ideatore del vaudeville americano, Tony Pastor, a metà Ottocento, aveva eliminato ogni elemento volgare o “politicamente scorretto” (aggiungendo il divieto di fumare o bere alcolici) per renderlo accessibile a donne e bambini: per la prima volta si profilava un tipo di spettacolo per tutti, tradotto poi anche nel varietà televisivo. I numeri erano scollegati tra loro e il pubblico apprezzava, rumorosamente, le performance più colorite e fantasiose. Tra le principali catene di teatri si segnalava l’Orpheum Circuit, ricordato anche in Gypsy, attivo fino al 1927 (quando fu acquisito dalla RKO, uno dei principali studios hollywoodiani). Per pubblicizzare i propri artisti i produttori si inventarono la stampa di volantini – i famosi bills – che pubblicizzavano l’elenco degli acts della serata (in genere otto). Un posto rilevante era assicurato ai nomi di richiamo, tra cui potevano spiccare quelli di Houdini o Sarah Bernhardt o Fanny Brice, nota a tutti per la rappresentazione che se ne offre in Funny Girl:
Fanny Brice, come tanti altri, è una scoperta del grande talent scout Florenz Ziegfeld, le cui Follies, un misto di numeri musicali e interventi comici ispirati al cabaret parigino, andarono in scena a Broadway fino al 1931. Per Ziegfeld lavorarono alcuni dei più promettenti compositori, come Jerome Kern o Irvin Berlin. I suoi varietà sono ancora oggi sinonimo di spettacolarità e di stuoli di belle ragazze. La rivista si distingue dal vaudeville per la maggiore coesione dei vari numeri e per l’unitarietà del contenitore, con una certa cura dell’opening e del finale di atto. Tutti questi spettacoli conobbero un rapido declino negli anni Trenta, a causa della Grande Depressione, quando il pubblico, dovendo stringere i cordoni della borsa, si rivolse a forme di intrattenimento più a buon mercato, in primis al cinema hollywoodiano.
Un altro musical che ci fornisce un’idea degli spettacoli in voga a inizio Novecento è Love Never Dies, ambientato a Coney Island, dove il Phantom ha creato una specie di luna park, Phantasma; qui, insieme a una compagnia di freaks, si esibisce un corpo di ballo capitanato da Meg Giry, che manda in visibilio il pubblico con numeri di spogliarelli:
E così si torna a Gypsy. All’inizio del secondo atto, ormai nei primi anni Trenta, Louise è una giovane donna, e la madre cerca di vendere il numero “I Toreadorabili di Madame Rose”, composto di sole ragazze, ad un giro di teatri di vaudeville ormai in estinzione. Il numero viene prenotato in uno show di burlesque a Wichita, in Kansas, come copertura per la polizia. Quando l’ultimo giorno del contratto una spogliarellista viene arrestata, Rose offre la figlia come sostituta; Louise, per compiacere la madre, accetta di esibirsi mettendo in pratica, con successo, i consigli di tre colleghe, secondo le quali per avere successo serve un “trucco” che renda l’esibizione speciale e personale. Louise imparerà a presentare uno spogliarello elegante, ripescando una canzone che cantava da bambina con la sorella, Let me entertain you (una delle più efficaci reprise della storia del musical):
Il burlesque è a tutti gli effetti una delle tante espressioni del varietà dell’epoca, con cui condivide l’aspetto satirico, lo sfarzo di scene e costumi, l’impiego dell’orchestra per i numeri musicali. Il nome stesso riflette l’intenzione di parodizzare gli spettacoli seri (come la tragedia, l’opera e il balletto), anche ricorrendo a elementi di travestitismo. Solo progressivamente il dialogo si fa sempre più piccante e il momento dello striptease diventa centrale. Per celebrare questo genere e l’arte di Gypsy salutiamoci dunque rivedendo una delle più esilaranti interpretazioni di You gotta get a gimmick, lo showstopper di Tessie, Mazeppa ed Electra, qui interpretato da Bernadette Peters, Julia McKenzie e Ruthie Henshall: