Simone Leonardi ci racconta il suo punto di vista.
di Paolo Vitale
Qualche giorno fa sul sito del Barclays Teatro Nazionale è apparsa questa scritta:
Comunichiamo al pubblico la chiusura delle vendite e il conseguente annullamento dello spettacolo “Il giro del mondo in 80 giorni”, prodotto da Show4Fun, previsto a partire dal 27 Febbraio fino al 15 Marzo 2015. Il Barclays Teatro Nazionale prendendo atto della cancellazione rimane come di consueto a disposizione del pubblico per le operazioni di rimborso relative ai biglietti già acquistati (vedi sezione box office) e per ogni altra informazione necessaria. Pur se non dipendente dalla nostra volontà, ci scusiamo con tutto il pubblico per l’accaduto assicurando che stiamo lavorando per garantire a breve una sostituzione a calendario che rispetti i criteri di qualità promessi. A presto.
Abbiamo così intervistato Simone Leonardi, autore e co-regista dello spettacolo in questione.
Ciao Simone. Abbiamo saputo che lo spettacolo “Il giro del mondo in 80 giorni” è stato improvvisamente annullato. Vorremmo saperne di più di questa storia… ma cominciamo dall’inizio: come è nata l’idea di un musical sul romanzo di Verne?
La scorsa estate ho incontrato un produttore che ha espresso la volontà di mettere in scena un musical basato sul romanzo di Verne. Personalmente ebbi delle perplessità in merito giacché secondo me “Il Giro Del Mondo in 80 Giorni” non si presta ad una drammatizzazione per sua natura. Prima di tutto, essendo una specie di “Google Earth ante litteram,” aveva un suo motivo di interesse nella seconda metà dell’Ottocento, in piena rivoluzione industriale, quando le possibilità di viaggiare aumentarono e accelerarono grazie alla macchina a vapore applicata ai mezzi di trasporto; oggi, con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione non seguiamo più con la stessa fascinazione gli itinerari di Phileas Fogg. Secondo: il valore del romanzo di Verne sta nel taglio documentaristico che poteva forse rendersi con la macchina da presa (da qui il successo della pellicola con David Niven -in cui la trama fu comunque rimaneggiata-) ma non si offre, sempre a mio parere, a una visione teatrale. Terzo: il romanzo soffre la mancanza di azione. A parte la mite sottotraccia del poliziotto che insegue Fogg convinto che sia il ladro della Banca d’Inghilterra, è solo un insieme di descrizioni dettagliate. E a teatro vige la regola “show, don’t tell”. Esiste peraltro un precedente più illustre scritto da Cole Porter e Orson Welles che non è stato un grande successo. I due nomi succitati credo non abbiano bisogno di referenze eppure non sono riusciti a scrivere uno spettacolo che sia sopravvissuto nel tempo. Mi chiedevo come potessi con queste premesse scrivere qualcosa di valido e ho espresso i miei dubbi anche all’imprenditore di cui sopra. Ciononostante sono stato invitato a proseguire nell’intento con la tinta del “o lo fai tu o la fa qualcun altro”; giacché me ne muoio di lavorare come autore-regista sono stato portato ad accettare e mi sono “imbarcato”.
Tuttavia “Il giro del mondo” rimane uno dei romanzi d’avventura più amati di tutti i tempi. Forse l’intuizione di un grande show che riportasse sul palcoscenico le atmosfere esotiche dell’opera di Verne non era così sbagliata. Immagino già scenografie sontuose, cambiscena sorprendenti, coreografie monumentali… Cosa non avrebbe funzionato secondo te?
Hai ragione: un grande show, per l’appunto. Voler riportare sul palco le atmosfere esotiche e la possibilità di evocare i vari luoghi del Giro cambio di scena dopo cambio di scena, può ottenersi solo se l’idea iniziale è supportata da un grande budget e punta alla spettacolarità. Faccio per dire: se si decide di portare in scena “Il Signore degli Anelli” sai già che costerà un occhio sia per scene e costumi, sia per numero di personale, artistico e non, sul palco; se hai delle grosse limitazioni di budget (risorse pari a una panthomime inglese, per capirci) e puoi concepire un copione su un totale di quattordici presenze (quattro principals e dieci ensemble), diventa un’impresa più da contabili che non da artisti. Se lo spettacolo avesse ricreato il “mondo” in tutte le tappe toccate nel romanzo con la spettacolarità degli Universal Studios allora sì che avrebbe potuto funzionare; ma pensare di “girare il mondo” con i mezzi di un nocchiere sarebbe dura perfino per Phileas Fogg. E qui torniamo all’inizio: secondo me non era una buona idea.
Chiaro. In sostanza era quindi la solita produzione all’italiana “vorrei ma non posso”. E allora nel momento in cui hai accettato il lavoro come hai pensato di risolvere il gap sceneggiatura/budget?
Voglio specificare che non sono qui per esprimere un parere sulla produzione in questione; ma giacché tutto è stato sepolto per “ragioni tecniche” senza diritto di replica da parte mia, che pure sono stato esposto al pubblico (il mio nome figurava come autore e co-regista), credo di meritare la possibilità di spiegare come sono andate le cose, per lo meno dal mio punto di vista. Ancora una volta sottolineo che io sono stato “chiamato” a scrivere, non ho proposto di mia spontanea volontà un testo nuovo su cui scommettere. E ho messo sempre la committenza a parte del progetto, passo dopo passo. A partire dalla scelta drammaturgia. Che vi spiego. Come già detto, trovavo poco affascinante e impolverata la figura di Phileas Fogg nel 2015 e in pieno boom da EXPO. In più avevo una trama da riscrivere e molti cambi scena da eliminare. Per immaginare una nuova trama e un nuovo intreccio avevo bisogno di personaggi nuovi. Così ho pensato a un sequel. Phileas Fogg è scomparso nell’ennesimo tentativo di girare il mondo in ottanta giorni (impresa che gli è riuscita una sola volta) e ha lasciato la moglie AUDA il figlio WILLY, indebitati fino al collo (viaggiare costa). Tutte le proprietà di Fogg senior, compreso il diario dove sono annotate le tappe e le strategie di viaggio, vanno all’asta al Reform Club, dove vengono tutte vendute a caro prezzo. Tutte tranne il diario, alla cui vendita per pochi scellini, giacché non dimostra la validità dell’impresa dello scomparso Phileas, il giovane Willy si oppone. Ma il signor Cook, proprietario della prima agenzia di viaggi della storia, la Cook & Son’s, è determinato ad avere il diario per ricavare un itinerario di viaggio ampio e veloce e implementare così i propri affari. Nel frattempo Willy scopre di avere una sorella in India che rischia la morte per essersi opposta a un matrimonio politico e la madre, Auda, gli confessa per la prima volta di essere un’Indiana immigrata salvata dalla morte che ora teme per la vita della propria figlia, mai conosciuta, e gli chiede di andare a riprenderla e di portarla a Londra. Per far questo Willy accetta di fronte al Reform Club, di ripercorrere le tappe del padre col diario alla mano e solo quando ne avrà dimostrato il valore cederà il diario al signor Cook (che gli offre una lauta ricompensa per il servizio). La prima tappa è a Brindisi, dove Willy conosce un brillante cuoco italiano, di nome Gaetano, in fuga dalla polizia, per ragioni dapprima ignote, che si unisce a lui nel viaggio e lo cava d’impaccio nelle situazioni più disperate. Proprio quando Willy si sta affezionando al suo nuovo amico, nasce il sospetto che possa essere Gaetano Bresci, l’assassino di Umberto I. Naturalmente non svelerò tutta la trama perché in cuor mio spero che questo spettacolo veda un giorno la luce; ma posso assicurare che tra Faraoni capricciosi, Geishe in rivolta, fuga nelle fogne di Calcutta e un Passepartout, deus ex machina, che alla fine, come un moderno Poirot, rimette insieme i pezzi e fa luce sui fatti, si offriva al pubblico uno spettacolo dignitoso, divertente e, in molti momenti, toccante. Non solo: in piena EXPO ho sottolineato, con il personaggio di Gaetano, il valore della cucina italiana nel mondo; nella storia di Auda la difficoltà di essere integrati in un paese straniero e soffrire la lontananza dei cari; non ultimo il tema del pregiudizio nei confronti dell’immigrato. Sono solo alcuni dei punti forti di un prodotto che, alla fine, si rendeva meritevole di aver superato tanti limiti imposti. E fin qui non ho parlato delle straordinarie musiche di Federico Ferrandina, nostro orgoglio all’estero (tra i compositori della colonna sonora di DALLAS BUYERS CLUB, vincitore di un Oscar), che ho pregato in ginocchio di comporre i temi per questo spettacolo. Raramente ho ascoltato musiche così realisticamente teatrali in uno spettacolo italiano inedito e per il suo lavoro non lo ringrazierò mai abbastanza.
La committenza come ha accolto la tua proposta per la nuova sceneggiatura? Come si è svolto il processo creativo in funzione delle richieste delle produzione?
Ho incontrato il committente a luglio spiegando chiaramente e serenamente quello che ho spiegato in quest’intervista. L’idea del sequel è stata accolta nonostante le remore e nonostante avessi specificato che secondo me i tempi di realizzazione erano stretti. Mi è stato richiesto di scrivere il copione e far comporre i pezzi principali entro fine ottobre per fare un primo reading (il debutto dello spettacolo era stato fissato per fine febbraio). A novembre abbiamo svolto un primo reading con alcuni allievi volontari. Il committente ha approvato il testo specificando che pretendeva dallo spettacolo “divertimento, scena e ritmo” e che era preoccupato per una certa melodrammaticità dei primi 15 minuti. Come immaginerai e come immaginerà chi legge, la mia prima esigenza era quella di coinvolgere sia il pubblico che conosce il romanzo, sia quello che non ne sa nulla; di qui la premessa (in questo caso necessaria per “attivare” un seguito e per rendere chiaro il “pre”): Willy piange la morte di suo padre. Ammetto: l’apertura, contrariamente alle convenzioni, era piuttosto intima. Lo spettacolo inizia con un assolo di Willy molto coinvolgente. Eppure, un ragazzo che si sente perso e senza guida appare ai miei occhi un personaggio in cui molti si sarebbero identificati e ne sono ancora convinto. Per ovviare a questo ho proposto un temporale. L’elemento “spettacolo” si sarebbe potuto ottenere ricreando un acquazzone, con tanto di tuoni e fulmini (giacché l’ambientazione è Londra, nulla di più appropriato; in più avrebbe funzionato da “moto interiore” del protagonista). Con Federico Ferrandina, il musicista, abbiamo creato una Kick ass song nuova di zecca per rinforzare l’incipit. Il secondo problema sembrava essere la ballad di Auda, che racconta di come sia stata salvata da Phileas e di come gli abbia nascosto di avere una figlia illegittima (per la cui esecuzione avevo proposto l’animazione di una “scatola magica”, antesignana del cinema, che gli esploratori riportavano spesso dai propri viaggi); per il resto lo spettacolo era un insieme di numeri accattivanti e divertenti, ciascuno con la sua quota di riflessione e di storia ma anche con una sua idea di intrattenimento. Recuperato terreno su questi elementi, abbiamo completato il copione con tutti i meravigliosi underscore musicali che hanno conferito il ritmo che si richiedeva senza snaturare il copione. Insomma: credevamo di essere al pari con le consegne.
E poi cos’è successo? Quando c’è stato il dietrofront da parte della produzione?
Ed arriviamo alla richiesta più complessa: organizzare un workshop dello spettacolo, da eseguirsi dall’inizio alla fine. Ora: trovatemi chiunque nel mondo possa montare un’ora e mezzo di spettacolo musicale con sei numeri d’ensemble in CINQUE giorni e fare un ottimo lavoro; trovatemi qualcuno che riesca a raccontare quello che vuole raccontare senza poter scegliere i propri interpreti, ma essendo costretto a valersi di volontari (che ancora una volta ringrazio per l’enorme sforzo che hanno fatto ed un particolare plauso va a Cristian Ruiz che ha creato in poco tempo delle coreografie appropriate e fresche) senza nemmeno riuscire a raggiungere il numero totale di posizioni da coprire -il che è normale quando non hai budget-; trovatemi qualcuno che riesca, in tutto questo, ad incidere tutto lo spettacolo (cori compresi e cantando tutti i personaggi, incluse le donne) e a farlo sembrare uno spettacolo di Broadway; trovatemelo e io andrò serenamente a fare un altro mestiere. Se il committente mi avesse dato budget e avessi avuto il cast, la sala prove per tre settimane e quant’altro probabilmente il risultato sarebbe stato un altro; dico questo perché evidentemente, questo risultato non ha convinto. Tantopiù che due giorni dopo ho ricevuto una telefonata (attenzione: da un “intermediario”) in cui mi si liquidava, dicendomi che detto produttore non se la sentiva più di produrre questo spettacolo.
Quindi la causa ufficiale della cancellazione sarebbe da ricercarsi proprio in questo workshop? Non credi che magari possa essere stato un pretesto?
Non so dire con esattezza quale sia stata la causa della cancellazione, poiché non sono stato chiamato personalmente dall’impresario in questione, ma la sua decisione mi è stata comunicata da un “intermediario”. Non sei il primo a fare un’osservazione di questo tipo, ma, come ho già detto, non sono qui per esprimere un mio pensiero riguardo questa storia, bensì per narrare la vicenda così come l’ho vissuta e per lasciare che chi ha visto il mio nome esposto per la stessa, possa farsi un’opinione propria a riguardo. Potrei anche non aver fatto un buon lavoro ma forse, alla luce di quello che ho raccontato, se ne può eventualmente cogliere la ragione; e comunque sia non avrei nessun tipo di remora a condividere pubblicamente l’elaborato. Seguo, nella scrittura, metodi specifici, appresi con uno dei nostri più grandi padri della sceneggiatura italiana, Vincenzo Cerami; non mi sono improvvisato. Ho scritto tre spettacoli, di cui due andati in scena con successo; è vero, la mia attività centrale non è quella di autore ma semplicemente perché negli anni ho lavorato fortunosamente come attore. Sto tentando faticosamente di estendere le mie competenze alla parte più creativa. Certamente questo evento mi ha scoraggiato molto.
Noi di Musical! non possiamo, né vogliamo, giudicare i fatti qui raccontati, anche perchè non li abbiamo direttamente vissuti. Con questa intervista non vogliamo prendere le difese di nessuno e rimaniamo a disposizione per un’eventuale risposta da parte della produzione. Una cosa però vogliamo farla: vogliamo sostenere il lavoro dei nostri giovani creativi. Simone Leonardi ci ha dimostrato, più di una volta, di essere un ottimo artista, sia attorialmente che creativamente. Le sconfitte e le delusioni sono il prezzo da pagare per chi ha il coraggio di osare ed è per questo motivo che non bisogna scoraggiarsi… mai!